Cantine del Notaio a Rionero, tempio della cultura enoica del Vulture
Una sede che riesce a mettere insieme archeologia, biologia, museologia, enologia, storia, memoria, territorio, tradizione, turismo e accoglienza, ti fa già capire quanta Cultura elevatissima, formidabile competenza e passione sfrenata vi siano dietro l’azienda che l’ha realizzata: infatti le Cantine del Notaio a Rionero (PZ) nascono da una missione emotiva sostenuta da studi approfonditi e una sterminata Conoscenza.
Tutto si riassume nella figura di Gerardo Giuratrabocchetti, già luminare delle scienze agrarie, insignito di incarichi accademici e scientifici di alto prestigio, il quale giusto venti anni ha fa ha sentito forte il richiamo delle tradizioni di famiglia, scegliendo di lasciare una vita ricca di affermazioni per catapultarsi nel mondo della produzione vitivinicola, ripartendo da zero.
Una svolta adottata per obbedire all’eredità morale del nonno omonimo che gli aveva passato le consegne quando lui aveva soltanto sette anni: “ti chiami Gerardo” gli disse, “ti chiami come me, per questo le mie vigne ti apparterranno”.
A distanza di oltre trent’anni le parole di quell’investitura hanno preso a echeggiare nella mente e soprattutto nel cuore di Giuratrabocchetti, portandolo a ritrovare “fiero, le mie radici, raccogliendo quell’eredità di mio nonno e decidendo di farne il centro della mia vita”.
E’ così che viene recuperata l’antica passione per la viticoltura che si è tramandata per generazioni nella famiglia Giuratrabocchetti, giungendo nel 1998 alla fondazione delle Cantine del Notaio, con il dichiarato obiettivo di Gerardo e della moglie Marcella “di valorizzare l’Aglianico del Vulture coltivato nelle proprie vigne, unendo tradizione, innovazione, storia e cultura del territorio”.
Alla passione romantica viene affiancata un’altra robusta iniezione formativa, con Giuratrabocchetti che si rimette a studiare, questa volta enologia, per poi indagare la vitivinicoltura nel territorio del Vulture come nessuno aveva mai fatto prima, per capire le ragioni di tanta eccellenza e come mettere a regime la valorizzazione di tale patrimonio.
E’ proprio Gerardo Giuratrabocchetti a raccontarci la sua storia e quella della nascita dell’azienda davanti alla nostra telecamera, nel video che segue.
E’ stato così sviscerato ogni aspetto dell’area del Vulture, dominata da questo vulcano spento che troneggia nel Melfese, nel nord della Basilicata, compreso nella provincia di Potenza.
Una mappatura che ha creato diverse conseguenze virtuose. Una maggiore consapevolezza collettiva per i vitivinicoltori di tutta la zona. L’emersione della densità antropologica identitaria dell’Aglianico per la comunità locale. Fino alla creazione di grandi vini, come quelli delle Cantine del Notaio.
Tutto questo si avverte non appena si fa ingresso nella sede delle Cantine in via Roma 159 a Rionero in Vulture.
La cura del dettaglio è assoluta: dall’architettura all’arredo, non c’è un solo aspetto benché microscopico che non racconti una storia.
I muri dichiarano la pietra viva caratteristica delle abitazioni rurali lucane. Le sedute e gli appoggi sono recuperati da oggetti dismessi di origine bucolica, come antichi carri e vecchie botti.
In questo abbraccio di eleganza agreste, vieni condotto per mano in una visita aziendale da personale di rara cortese empatia che irretisce con uno storytelling accattivante.
Man mano che si dipanano oggetti e racconti, ti rendi conto però che non di mero factory tour si tratta, bensì di un’autentica visita museale, perché l’esposizione, apparentemente decorativa, segue invece sottesi criteri scientifici, ricreando idilli di vita quotidiana e raffigurando attività lavorative di un tempo.
Vengono così evocati mestieri scomparsi, usi millenari, pratiche ancestrali, suggestioni apotropaiche.
Quando pensi di essere già al vertice dell’emozione, scopri che il meglio deve ancora venire: si esce dalla sede espositiva e ci si ritrova in “una piccola e deliziosa piazzetta, chiamata Facìle, tipica dell’architettura locale”, la quale aveva la funzione di raccogliere le acque piovane. Qui ci si trova davanti a un remoto sistema ipogeo che lascia sbalorditi.
Si tratta di grotte risalenti al 1600, utilizzate dai Padri Francescani, le quali si diramano nelle viscere del borgo, insinuandosi sotto i segni della civiltà odierna e isolandoti da essa: una volta ingoiato da questo reticolo di ambienti litici, vieni risucchiato in un tempo sospeso e proiettato in una dimensione mistica, probabilmente contigua a quella che mosse chi per primo creò tanta meraviglia.
Si tratta di “antri naturali, scavati nel tufo vulcanico”, tutti collegati tra loro, i quali, “grazie ad un perfetto e naturale equilibrio di temperatura, umidità costante e ventilazione, garantiscono condizioni eccezionali di affinamento del vino, che vi riposa all’interno di barrique di rovere francese”.
Si rimane a bocca aperta osservando i segni nella pietra, le rugosità del tempo, i solchi lasciati dalla mano dell’Uomo…
… le tracce della dimensione spirituale che muoveva chi popolava questi ambienti, con la croce scolpita in segno di auspicio per la buona riuscita del vino, così essenziale per la sopravvivenza da chiedere la protezione divina per la sua corretta maturazione…
… l’austera magnificenza architettonica delle strutture di sostegno.
Il percorso è talmente esteso e intenso da indurre pensieri estatici, amplificati dalle luci basse e dalle inevitabili poetiche cupezze sotterranee, trasportando la mente a galleggiare tra suggestioni auliche, sospese tra il platonico mito della caverna e la ricerca baconiana degli idoli della spelonca. Per fortuna c’è il vino che riposa nelle botti a ricondurti verso un materico annuncio di gioia ludica.
A rendere ancora più indimenticabile la visita, è un monumentale presepe artistico che rimane allestito tutto l’anno.
Nato da un’idea di Giuratrabocchetti e realizzato dall’artista locale Edelmondo Paolella detto Mondino, è un vero capolavoro, tanto di ingegno manuale quanto di riferimenti simbolici.
Disseminato di dettagli da cogliere attraverso attentissima osservazione, vuole esprimere “un patrimonio di valori che appartengono alla nostra terra, alla nostra storia, alla nostra gente”.
Ciò avviene attraverso la rappresentazione della “gente del Vulture con i suoi lavori, i suoi pensieri, i suoi dolori, le sue gioie, le sue speranze di riscatto e di salvezza” che si concretizzano in scene di vivido realismo lirico.
Sembrano prendere vita così la Vigna, la Cantina, la Bottega del Bottaio, La Lucerna, La Fontana e la Lavandaia, La Trattoria, Lo Spazzacamino, La Donna che fila, Il Cestaio, il Popolo in Cammino, La donna incinta, fino all’omaggio più toccante, il Notaio, evocazione della tradizione famigliare cui è dedicato il nome dell’azienda.
Abbiamo cercato di condensare la fascinazione della visita in alcuni appunti visivi colti dal nostro obiettivo, nel video qui sotto.
I vini prodotti dall’azienda sono pregni del rigore e della sensibilità riscontrati in tutti gli altri aspetti della Cantina. Si tratta di una solenne ode all’Aglianico del Vulture in tutte le sue possibili declinazioni di terroir, maturazione e stile di vinificazione, dal puramente varietale al più densamente barricato, passando anche per surmaturazione e spumantizzazione.
Abbiamo provato alcune delle tipologie più significative.
Il Repertorio, Aglianico del Vulture in purezza, dieci giorni di macerazione secondo il modello tradizionale, maturazione di almeno dodici mesi in rovere francese, ha un intrigante bouquet di Corbezzolo, mentre in bocca colpisce con un’acidità spinta e seducente che veicola magnificamente il sorso verso melograno e spezie.
La Firma, ancora Aglianico del Vulture in purezza, ma questa volta con macerazione di venti giorni e maturazione di dodici mesi in legno e altri dodici in bottiglia, sfodera uno straordinario bouquet di sottobosco, mentre lo sguardo viene catturato da un’unghia che annuncia lo spessore del sorso. Al palato, sensazioni di more selvatiche si portano dietro note linfatiche, innervate di spezie, con in evidenza una punta di pepe bianco. Vino di serena appagante classicità, dal pronunciato finale intriso di mineralità.
La Stipula è uno Spumante Bianco Brut Metodo Classico Millesimato da uve di Aglianico del Vulture in purezza: i profumi sono di canditi, con accenni floreali, mentre alla vista colpisce uno splendido colore giallo-ocra intenso. In bocca, si presentano albicocche essiccate, con deliziosa sfumatura abboccata. Il sorso è denso e appagante. Tra le caratteristiche sensazioni minerali si inseriscono degli spiazzanti sospiri balsamici.
Tutti vini che scaturiscono da tecniche di coltivazione ispirate a “criteri biologici e biodinamici, atti a potenziare l’accumulo di riserva idrica, nonché il contenuto di sostanza organica”.
Ulteriore forma di rispetto per la loro terra di origine.
Quella terra decantata, promossa e valorizzata in maniera eccellente nel sito della cantina, dove i Vini sono direttamente collegati all’Antico Territorio del Vulture e la Basilicata è definita “una piccola e incotaminata regione nel cuore verde del Sud Italia”. L’apposita sezione chiamata Il Territorio, propone una Basilicata da scoprire offrendo una visita guidata lungo un Itinerario tra i vigneti e le cantine del Vulture.
Siamo dunque alla vetta assoluta della responsabilità sociale d’impresa ma anche della filantropia, una delle più compiute dimostrazioni presenti in Italia di quanto il vino rappresenti un elemento della Cultura, fino a essere volano turistico e stimolo intellettuale.
Il sincero afflato di Gerardo lo abbiamo verificato di persona, testando la sua enorme preparazione su ogni aspetto dell’intero territorio lucano.
Siamo usciti dalla cantina umanamente arricchiti, scolpendo nella nostra memoria una lezione di stile di cui tutta l’Italia dovrebbe fare tesoro.
Info: http://www.cantinedelnotaio.it/it/#Home