Cappone, re delle tavole natalizie
Uno dei prodotti che per antonomasia è associato alle festività natalizie è il cappone. La sua presenza è saldamente unita alla storia di molti territori italiani, chiaramente in forme e modi assai diversi. In alcune zone infatti è bollito, in altre viene servito arrosto, e poi come non ricordare il fantastico brodo di cappone in cui si tuffano i gustosissimi tortellini?!
In realtà questo prodotto è conosciuto fin da tempi remoti, nell’antica Grecia era considerato un modo efficace per ovviare al problema di avere più galli in uno stesso pollaio. Tra le teorie volte a spiegarne la diffusione nell’antica Roma, la più accreditata sostiene che i capponi venissero allevati per aggirare una legge che vietava di allevare le galline all’interno delle case.
L’allevamento dei capponi e ancor prima la pratica per “produrli” fanno parte di conoscenze sedimentate nella cultura contadina e sono indubbiamente frutto di esperienza e abilità. Per aver pronte queste vere e proprie delizie del palato per il periodo natalizio, devono essere preparati ed allevati alcuni mesi prima; le date che scandiscono le varie procedure sono differenti a seconda del territorio, in Romagna per esempio la tradizione vuole che il processo iniziale avvenga il 16 agosto, il giorno di San Rocco. Ma cos’è un cappone? È un gallo che è stato castrato in modo che possa raggiungere particolari caratteristiche di gusto e morbidezza delle carni.
Fino a metà del secolo scorso (e in alcune zone, in forma diversa, ancora oggi) nella società contadina veniva utilizzato soprattutto come forma o parte del pagamento che spettava al signore e che avveniva il giorno di San Martino (quando scadevano i contratti agricoli annuali); oppure come regalo, come si dice in dialetto bresciano “fare le buone feste”, cioè come dono natalizio. A tal proposito nei diari contabili della villa di Verdi, per esempio, sono annotati annualmente il numero di capponi che i contadini dovevano corrispondere al famoso proprietario, suddivisi tra i due giorni che ho appena scritto.
In ultimo come augurio di buon Natale, vorrei condividere con voi un pezzo tratto dal racconto “Natale a Regalpetra”, dalla raccolta “Le parrocchie di Regalpetra” di Leonardo Sciascia (1956), insieme di racconti sulla sua esperienza come maestro nelle scuole del suo paese. Un documento di storia d’Italia forte e terribilmente stridente con le abitudini odierne; un augurio particolare quello che vi faccio, che vuol essere il desiderio di vivere questa festa con la felicità nel cuore.
“La mattina del Santo Natale – scrive un altro – mia madre mi ha fatto trovare l’acqua calda per lavarmi tutto. – La giornata di festa non gli ha portato nient’altro di così bello. Dopo che si è lavato, asciugato e vestito, è uscito con suo padre per fare la spesa. Poi ha mangiato il riso col brodo e il cappone. – E così ho passato il Santo Natale.”