Casa-museo Lodovico Pogliaghi, Sacro Monte di Varese: stupore eclettico
Un luogo espositivo fantasmagorico come la personalità di chi l’ha plasmato, testimonianza dell’infinito caleidoscopio di bellezza e stimoli intellettuali che possono scaturire dal talento e dalla curiosità culturale: tutto questo rende la casa-museo Lodovico Pogliaghi al Sacro Monte di Varese una tappa che dovrebbe essere imprescindibile nel percorso di formazione di ciascuno di noi, poiché in grado di illuminare nella ricerca della propria identità e di stimolare l’elevazione della sensibilità personale.
Una simile estesa wunderkammer emotiva non poteva che scaturire da un’autentica personificazione del concetto wagneriano di Gesamtkunstwerk, quella tensione sinestesica all’opera d’arte totale che si spinge a fare perfino della propria stessa vita a sua volta un’espressione artistica, come accaduto con Lodovico Pogliaghi nel suo tragitto terreno partito da Milano nel 1857 e conclusosi proprio nel territorio di Varese nel 1950, nel corso del quale ha divorato pittura, scultura, architettura, scenografia, grafica, glittica, oreficeria, arte vetraria e anche l’insegnamento a Brera.
Come riportato sul portale ufficiale www.sacromontedivarese.it che funge da sito di informazione per i visitatori e pellegrini interessati al Sacro Monte, “la sua opera più nota è sicuramente la porta maggiore del Duomo di Milano, il cui gesso originale è conservato presso la casa museo”, mentre “la casa museo ospita più di 1500 opere tra dipinti, sculture e arti applicate e circa 580 oggetti archeologici”.
La stessa collocazione della casa-museo è altamente simbolica, trovandosi esattamente dove si conclude il percorso ascensionale del viale delle Cappelle del Sacro Monte di Varese, come a volere sottolineare il rapporto tra Pogliaghi e questo sito che lo ha visto impegnato a lavorare per il restauro proprio di alcune cappelle e del santuario, fino a innamorarsi del posto, il borgo di Santa Maria del Monte, eleggendolo a propria dimora.
Iniziò nel 1885 ad acquisire terreni e spazi su cui erigere questa villa, autentica opera aperta essa stessa, poiché scolpita dall’estro infaticabile di Pogliaghi che vi apportò interventi incessanti fini al suo ultimo istante di vita, in una bruciante ansia creativa che ha trasformato un alloggio in espressione artistica perennemente in fieri.
Un’opera non finita ma non incompiuta, poiché tutto lascia pensare che non fosse la sua conclusione l’obiettivo di Pogliaghi che ne fece piuttosto una sorta di prova della propria esistenza in vita, una testimonianza della sua prodigiosa vitalità e dell’impressionante lucidità di una mente sfavillante anche passati i novanta anni d’età.
Una vicenda umana e creativa che di per sé rappresenta già un valore per il visitatore, messo di fronte alle infinite possibilità dell’essere umano, della sua mente come della forza di volontà, ma soprattutto un monito a non perdere mai l’entusiasmo e a coltivare le proprie passioni vitali fino all’ultimo alito di vita.
E’ stato lo stesso Pogliaghi a concepire tale abitazione “come un laboratorio-museo dedicato al ritiro, allo studio e all’esposizione del frutto della sua passione collezionistica”, il cui stile “riflette il gusto ecclettico dell’epoca e l’interesse del proprietario verso tutte le forme d’arte”.
Infatti “la collezione di Lodovico Pogliaghi comprende preziosi reperti archeologici egizi, etruschi e di età greco-romana, pitture e sculture databili tra il Rinascimento e l’epoca barocca, una ricca collezione di tessuti antichi europei e asiatici, pregiati arredi storici, curiosità e oggetti bizzarri da tutto il mondo”, ma anche “bozzetti, gessi, disegni e materiali di lavoro di Pogliaghi”.
Attraversare le sale regala diversi sussulti, come quando si incontrano una Madonna con il Bambino in legno policromo ritenuta opera cinquecentesca dello scultore tedesco Gregor Erhart…
… memorabilia dei rapporti di Pogliaghi con i grandi del suo tempo, prova della stima di cui godeva…
… chicche rarissime come il bozzetto in terracotta di una statua di Santa Bibiana degli inizi del ’600, ascrivibile a Gian Lorenzo Bernini, il quale ha attirato l’interesse dei discendenti dello scultore che sono venuti fin qui ad ammirarlo…
… e ancora medaglie e opere celebrative che hanno fissato momenti storici importanti.
Tutto esprime il gusto allestitivo di Pogliaghi, di impostazione classica nell’echeggiare criteri della museologia ottocentesca, con largo uso di vetrine e un ricorso alla monodimensionalità dell’esposizione del reperto per metterne in risalto il valore assoluto.
Si sviluppa anche un campionario di manufatti di ogni tipo in un’alternanza di materiali poveri e pregiati, dalla terracotta all’oro, dall’argento alla carta, dal vetro al bronzo, dall’avorio alla porcellana, fino ai tessuti, in un vortice di epoche, stili e provenienze.
Altamente suggerito sollevare lo sguardo durante il tragitto per non perdersi le decorazioni di soffitti e pareti…
… come il carmineo damascato che accende di passione la Sala Rossa, stemperata in tensione mistica da una teoria di putti inscritti in un rasserenante fregio turchese…
… mentre al centro vezzoso si lascia ammirare un enorme vaso Ming che, come se non bastasse il fascino endogeno, viene esaltato da una base bronzea dai richiami al tardo barocco.
Il clou delle stupore lo si raggiunge quando si viene inghiottiti dalla Galleria dorata, riproduzione in scala 1:4 del soffitto che Pogliaghi ha realizzato per il sontuoso bagno di un edificio regale di uno scià di Persia, davanti alla cui opulenza ci si può concedere di rimanere infantilmente a bocca aperta…
… mentre lo spazio muta in storytelling con le lastre di alabastro ricevute da Pogliaghi proprio per quel lavoro per il regnante persiano e da lui messe in dialogo con la luce esterna per evidenziarne la permeabilità alle fonti luminose e la capacità di mutarle in magia.
E’ sempre in quest’area che la meraviglia continua a ghermirti, quando si rivelano due sarcofagi egizi, uno risalente al 664-525 a.C. che si mostra nella propria nudità lignea e impressiona per tale essenzialità…
… mentre l’altro, datato 747-656 a.C., è in stato di magnifica conservazione, con i suoi cromatismi ancora pieni e accesi che incantano.
Si accede così al laboratorio in cui Pogliaghi esercitava l’ingegno, dove si possono ammirare modelli delle sue opere, a partire da quello per la porta centrale del Duomo di Milano che completò nel 1908.
Un ordito di classicismo puntiglioso che si concede quale unica eccezione un autoritratto in bronzo che Francesco Messina ha realizzato nel 1924, facendo così rientrare anche l’arte contemporanea tra gli sconfinati interessi di Pogliaghi.
Classicismo che però torna protagonista nell’Esedra, con la sezione archeologica allocata in una sorta di alcova che sembra volere creare uno scarto spazio-temporale, precipitando l’osservatore in un viaggio tumultuoso tra le antiche civiltà mediterranee, cui Pogliaghi contribuì con proprie interpretazioni scultoree dello spirito di quel tempo.
Parte integrante è il giardino all’italiana che cinge la casa, disseminato a sua volta di opere e reperti, intorno ai quali si svolgono le amorevoli attenzioni di chi appassionatamente cura anche gli aspetti botanici del sito…
… un palcoscenico in cui irrompe la Natura e che si può ammirare pure dalle aperture della casa che regalano scorci di rapimento.
Precisa e circostanziata “la scelta di non predisporre didascalie per le opere e di accompagnare il pubblico con visite guidate incluse nel biglietto”, rispecchiando la volontà di mantenere viva “la dimensione quotidiana e domestica della villa, concepita dallo stesso Pogliaghi come luogo abitativo e museale”.
Intanto la visita potete farla a distanza, con il supporto del video che segue.
Info: http://www.sacromontedivarese.it/luoghi/casa-museo-lodovico-pogliaghi-12.html