Il catalogo 2018 di Proposta Vini: le novità più interessanti
Il catalogo per il 2018 di Proposta Vini non soltanto conferma i pregi culturali e professionali dell’inarrivabile struttura trentina, ma si spinge in tutti i sensi oltre i confini della sua già miracolosa qualità, alla ricerca delle più pregnanti esperienze enoiche al di là di ogni limite territoriale.
A partire da quello geografico, visto che Proposta Vini questa volta ha valicato con ancora maggiore convinzione i confini nazionali per andare a pescare gioielli e racconti partendo dalla suggestione storica delle traiettorie enologiche degli antichi Romani tra il Mediterraneo e l’Europa, per approdare alla scoperta di zone vinicole storiche millenarie del Vecchio Continente non ancora baciate da doverosa notorietà.
Nasce così la sezione Il Circolo di Vienna, ideale regione storico-enoica transnazionale che mette insieme vini provenienti da Austria, Croazia, Germania, Polonia, Repubblica Slovacca, Romania, Slovenia, Ungheria, ma anche le nostre Trieste e Gorizia, tutte rientranti in una sorta di cerchio tracciato da un ideale compasso.
Ci ha spiegato tutto nei dettagli Gianpaolo Girardi, davanti alla telecamera, nel video che segue.
Per l’Italia la ricerca di Proposta Vini si è concentrata, come sempre, sui territori non banali, portatori di istanze culturali significative e di qualità sensoriali che esulano dall’omologazione del gusto.
Abbiamo chiesto a Italo Maffei, responsabile della ricerca e della selezione dei vini per conto di Proposta Vini, di indicarci alcuni dei nuovi ingressi più interessanti del catalogo.
Seguendo i suggerimenti di Maffei, abbiamo testato i prodotti delle realtà citate tra quelle che hanno fatto ingresso per la prima volta nel catalogo di Proposta Vini.
Partiamo dall’Azienda Agricola Picchioni Andrea (http://www.picchioniandrea.it/) che si trova nel cuore dell’Oltrepò pavese, in un “fazzoletto di terra di dieci ettari ubicati nella piccola Valle Solinga su un versante collinare che volge a mezzogiorno e sul quale profonde venature di suolo sciolto, perfino ciottoloso, s’inerpicano in pendenze proibitive”. Siamo nel territorio di Canneto Pavese, dove Picchioni ha operato il “recupero di alcuni vigneti particolarmente vocati” con una “una costante attenzione ai valori dell’ambiente”.
Il suo Buttafuoco Cerasa 2016 è in assoluto il più originale della categoria mai provato: a un bouquet di selva segue un approccio abboccato, srotolando un velluto di rara eleganza, con un sorso appagante, soffice, di straordinaria pulizia, con spunti acidi e ricchezza fruttata; si sentono le fragoline di bosco e gli echi speziati, immersi in una straordinaria beva dal magnifico finale zuccherino.
Ancora personalità unica per le declinazioni del Prosecco operate dalla cantina veneta L’Antica Quercia (http://www.anticaquercia.it/) di Scomigo di Conegliano, in provincia di Treviso, “nell’asse che unisce le alte vette dolomitiche a Venezia, incastonati tra colline uniche”. Già citata cinquant’anni fa da Mario Soldati nel volume Vino al Vino, L’Antica Quercia coltiva in regime biologico certificato l’uva Glera, “un vitigno autoctono presente da sempre tra le colline di Conegliano e Valdobbiadene” che “appartiene ormai da lungo tempo alla cultura di questi luoghi: il legame tra la Glera e queste colline è inscindibile ed è proprio tra questi pendii che si sviluppano le sue qualità migliori”.
Fa piacere sapere che “per fermentare i nostri mosti usiamo sempre di più i lieviti indigeni, naturalmente ricchi di quel patrimonio microbiologico che appartiene alla nostra vigna, convinti così di interpretare al meglio il nostro Terroir”.
Il capolavoro assoluto è il Sù Alto, “vino frizzante rifermentato in bottiglia conservato sui lieviti indigeni colfondo”, metodo familiare frutto di vendemmia manuale in cassetta, “affinamento sui lieviti in inverno e imbottigliamento con la quarta luna nuova dell’anno successivo alla vendemmia”, con “ulteriore affinamento per almeno quattro mesi a 2000 metri ai piedi del Monte Civetta nel cuore delle Dolomiti”:
Tutte queste attenzioni si ritrovano nel bicchiere, a partire dai profumi di frutta a polpa bianca, proseguendo al palato con un carattere secco di bucolica austerità che ricorda la terra ed evoca, grazie ai suoi lieviti, la fragranza del pane; il frutto rimane appartato nel retrogusto, con un’acidità ben bilanciata, mentre nel corso della beva l’ossigenazione smussa la severità del vino, stendendo sulla lingua un velo di dolcezza.
Interessanti le variazioni sul tema degli altri vini, quale la rara e pregevolissima versione ferma del Morene Prosecco Conegliano Tranquillo in cui si evidenza al massimo ogni caratteristica varietale del vitigno, con una travolgente complessità fruttata.
Il Matiù Prosecco Superiore Brut Conegliano con il metodo Martinotti tira invece fuori l’anima vegetale dell’uva, spingendo su una freschezza quasi balsamica.
Più denso e spesso il sorso nell’Ariò Prosecco Superiore Extra Dry Conegliano ancora metodo Martinotti, quasi da masticare, tanto è materica la sua pienezza, stesa su una suadente mineralità.
La Cascina Bretta Rossa (http://www.brettarossa.it/) di Tagliolo Monferrato, in provincia di Alessandria, dal 1920 propone classici piemontesi, oggi tutti certificati DOC e DOCG, tra i quali i Dolcetti, un Barolo e un blend di Shirah, Pinot e Albarossa, quest’ultimo anche in purezza.
La Cascina produce pure due spumanti metodo classico Alta Langa bianco e rosé “che vantano un affinamento sui lieviti di almeno 36 mesi”, i quali si fanno notare per l’interpretazione austera di tale tipo di bollicine.
In particolare il Rosé Alta Langa Brut che sotto la patina seducente di un bouquet floreale sviluppa uno spumante dal piglio nobile che bandisce ogni piacioneria, in cui il Pinot Nero in purezza si esprime in maniera non comune, fin da quel suo ingresso stuzzicante dal tono aspro, bilanciato da una dolcezza che si adagia sulla punta delle lingua, fino a un gran finale di carruba.
Più lineare il percorso organolettico dell’Alta Langa Brut Cuvée Leonora, da uve Pinot Nero al 70% e Chardonnay al 30%, il quale preferisce conquistare con la delicatezza e aromi più freschi.
Cascina Melognis (https://www.facebook.com/cascina.melognis/) è portabandiera di un territorio emergente ancora poco noto ma di cui presto si sentirà parlare, le Colline Saluzzesi, i cui vini derivano da “rari e straordinari vitigni ai piedi del Monviso”, come recita il volantino di una delle iniziative promosse per fare conoscere il territorio, con in prima linea proprio la titolare di questa cantina, Vanina Carta.
Siamo esattamente nel borgo di Revello, in provincia di Cuneo, regno dell’altro Pelaverga, quello “autoctono saluzzese dalla storia pluricentenaria” che “non ha nulla a che vedere con il Verduno DOC Pelaverga, nemmeno ampelograficamente” (http://www.storienogastronomiche.it/i-vini-autoctoni-del-saluzzese-cuneo-presidiati-da-melognis/).
Il rosato Sinespina, assemblaggio di diverse uve autoctone, “è nato per dare una risposta moderna a una domanda antica: c’è un modo per unire le virtù e le caratteristiche di tanti vitigni autoctoni sparsi nelle vigne delle colline saluzzesi? Noi crediamo che la risposta sia un colore delicatissimo, con profumi inaspettati e una vena acida tutta da godere”. Alla considerazione dei produttori aggiungiamo i profumi floreali e l’anima minerale di questo vino, oltre a un velo di ricordo tanninico e un tocco che unisce amaro e aspro, fino a un’impronta di corbezzolo.
E’ un blend anche il robusto Novamen, “frutto della caparbia convinzione” di produrre un vino da invecchiamento che lasci il segno, in questo caso frutto dell’incontro “fra il più borgognone e il più piemontese dei vitigni”.
Molto interessante Ardy che a una Barbera da manuale associa lo Chatus che sarebbe il Nebbiolo di Dronero, esplodendo in nerbo e spezie.
Zona magica più che mai per San Martino, cantina collocata nel Vulture, intorno al lussureggiante vulcano spento che impreziosisce la sfavillante area settentrionale della Basilicata. L’azienda è frutto degli studi approfonditi e della passione di Lorenzo Piccin, approdato in terra lucana con la famiglia per trovare nuove opportunità di libero sviluppo, dopo che la natia Toscana è stata invasa dalle ferali “aziende multinazionali pronte ad investire solo per ritorni di immagine”.
L’attrazione è stata esercitata da un vitigno storico ancora ricco di potenzialità di crescita, l’Aglianico del Vulture, vinificato in purezza in tutte le referenze.
Il vino di bandiera è il Kamai che si presenta con un bouquet di sensazioni ipogee che tendono al muschio fresco, approcciandosi alla bocca con un’intensa acidità e un carattere vinoso evidente quanto la sapidità; delicatamente speziato, lascia emergere more selvatiche, senza mai essere invadente, bensì lasciando un bel ricordo con il suo finale persistente.
Il Siir valorizza le uve sul versante delle note fruttate e di una bevibilità più immediata, mentre Arberesko si contraddistingue per una raffinata complessità che estrae suggestioni esotiche supportate da evocazioni litiche.
L’ultima novità che qui citiamo riguarda il mondo della liquoristica, con una delle più originali esperienze presenti in Italia, Amacardo (http://amacardo.it/) che “a Santa Venerina, ai piedi del vulcano Etna, nella più antica distilleria di Sicilia” ha deciso di concentrarsi esclusivamente sulla lavorazione del Carciofino dell’Etna o Cacucciuleddu Spinusu Catanisi, come viene chiamato da quelle parti il Cardo selvatico (Cynara Cardunculus Sylvestris), pianta della famiglia delle Asteraceae che “cresce spontaneamente nelle aree collinari intorno al vulcano Etna”.
L’iniziativa nasce per merito “dell’esperienza di Angelo, conoscitore di piante selvatiche e per volontà di due giovani imprenditori, Maurizio e Andrea, spinti dalla passione di valorizzare la propria terra”.
Le note linfatiche e l’aromaticità erbacea sono le note comuni dei tre prodotti, a partire dall’Amaro di Carciofino Selvatico dell’Etna, in cui il carattere amaricante si fonde mirabilmente con l’apporto dello zucchero, creando una commistione sensoriale unica.
Note zuccherine ancora più evidenti nell’Amaro di Carciofino Selvatico dell’Etna e arancia rossa, grazie alla possente presenza dell’agrume simbolo del territorio etneo, capace di avviluppare di dolcezza e profumi le basi sensoriali del cardo.
Un vero prodigio la Grappa Al Carciofino Selvatico dell’Etna, la quale affascina già lo sguardo grazie alla presenza fisica nella bottiglia dell’estremità spinosa del piccolo cardo: in bocca poi è un tripudio di clorofilla e sapori nudi grazie all’assenza del forte contributo dello zucchero presente negli amari, restituendo l’essenza profonda dell’infuso, con magnifica bevibilità che lascia il palato pulito e profumato.
Si tratta di alcune delle perle del più importante catalogo di vini in Italia (e non soltanto), scelte che confermano l’indefessa ricerca di prodotti che abbiano enorme valenza culturale e siano testimonianza di un territorio oltre che portatori di storie umane di grande dignità.
Info: http://www.propostavini.com/