Musei Ferrari, mito e cultura d’impresa in mostra tra Maranello e Modena
I Musei Ferrari sono un compendio di come si possano fondere tutte le istanze della cultura d’impresa e tradurle in allestimento museale, creando una monumentale osmosi tra visione strategica legata al CSR e scientificità dell’allestimento, calore epico e rigore scientifico, divulgazione tecnologica e valori familiari, passione sportiva ed estetica del design, attività esperienziale e riflessione intellettuale.
Avviene attraverso due strutture espositive collocate a distanza di ventuno chilometri una dall’altra nel cuore dell’Emilia in grado di realizzare un affresco narrativo e socio-antropologico così vivido e dettagliato da porsi come luminosa sineddoche dell’intero Made in Italy, oltre che simbolo dell’identità vincente del Paese tra storia stratificata e insuperabile fascino in fieri.
Per comprendere l’imponenza di tale fenomeno, intervengono subito i numeri che decretano largamente come i Musei Ferrari di Maranello siano in assoluto i più visitati in Italia nella categoria delle esposizioni museali delle imprese. Nel 2019, ultimo anno intero di attività regolare prima della pandemia, i Musei Ferrari hanno dichiarato di avere “segnato un nuovo record registrando più di 600.000 ingressi e una crescita di circa il 12% rispetto all’anno precedente: entrambe le strutture espositive hanno beneficiato di un forte trend di crescita che nel 2019 ha portato il MEF di Modena oltre i 200.000 visitatori e il Museo Ferrari di Maranello oltre i 400.000 visitatori”.
Per fare un quadro complessivo, tra gli altri musei d’impresa italiani nessuno dichiara di superare gli ottantamila ingressi. In ambito associativo, mettendo insieme cento musei del settore in larga parte con ingresso gratuito si arriva a registrare un milione di visitatori complessivi. I musei Ferrari raggiungono seicentomila biglietti staccati soltanto con due strutture, entrambe a pagamento. Numeri che vanno oltre il mero dato statistico e impongono una doverosa attenta analisi.
Dalle citate note dell’azienda, emerge l’intento della “crescente specializzazione delle due strutture: il Museo di Modena celebra infatti la figura del fondatore, i motori e le vetture Ferrari Gran Turismo più eleganti ed esclusive, mentre il Museo di Maranello offre un’esperienza di visita alla scoperta della storia del Gruppo, della Scuderia Ferrari in Formula 1 e delle vetture sportive da pista e da strada più iconiche che hanno scritto e continuano a scrivere la storia del Cavallino Rampante”.
L’assunto comune è che entrambi “riservano ai visitatori l’opportunità di rivivere la storia del Cavallino Rampante e del suo fondatore in modo unico e coinvolgente”.
In particolare al Museo Ferrari di Maranello “gli speciali pacchetti Musei Fan Experience e Musei Vip Experience permettono di vivere in prima persona il sogno e l’autentica passione del territorio per i motori”, attraverso dispositivi altamente coinvolgenti come “provare l’adrenalina di un pit stop…”
… “e l’esperienza di un vero Gran Premio su un simulatore Scuderia Ferrari”.
La parte esperienziale giunge al termine del percorso espositivo che si apre invece con pezzi pregiati, come si conviene nell’ambito del museo di prodotto, con modelli mostrati anche in versione spoglia per evidenziarne le radici dell’intuizione ingegneristica…
… sul cui sfondo si stagliano pannelli dai testi bilingue essenziali e quindi immediati e altamente divulgativi…
… ma puntuali nell’indicare traiettorie cronologiche e approfondimenti tematici, accompagnati da suggestive foto d’epoca.
A supporto di uno storytelling tanto essenziale intervengono stimoli induttivi, quale il ricorso alla scenografia apodittica che consenta già con un colpo d’occhio di percepire lo scorcio di un’epoca, come accade con la ricostruzione dettagliata degli ambienti di lavoro dirigenziale legati al fondatore.
L’attenzione per il dettaglio è massima, senza mai trascendere però un’elegantissima forma di understatement che porta per esempio a non evidenziare l’utilizzo di un materiale costosissimo per le basi su cui poggiano le automobili, il cui valore è sotteso e percepibile ma non sbandierato.
Si tratta di una sorta di lastra sottilissima che consente di evidenziare l’oggetto esposto senza sollevarlo più di tanto dal terreno, in maniera tale in questo caso di mantenere l’automobile alla consueta altezza in cui siamo abituati a vederla nel mondo reale.
Si aggiunga la possibilità di utilizzare il bordo colorato come evidenziazione del limite invalicabile per il visitatore, con il quale così si stipula una sorta di patto di lealtà, poiché non esiste barriera fisica che protegga quanto esposto da un’eventuale invasione di campo, ma ci si affida al buon senso e alla civiltà dell’utente affinché egli non superi quel limite cromatico nella sua osservazione, responsabilizzandolo e mostrando fiducia nella sua intelligenza.
Per stimolare le sinapsi dell’osservatore tuttavia vengono variate le composizioni spaziali dell’esposizione adottando criteri ancora più spettacolari, come nel caso dell’utilizzo della forma avviluppante dell’emiciclo, in cui il segno architettonico del cerchio stimola intense sfumature percettive, suggerendo un moto centrifugo ascensionale che sembra irradiare a raggiera la leggenda agonistica.
In tal maniera al tempo stesso si mette al centro il visitatore, quasi a volere sottolineare come in ogni leggenda popolare sia necessario il contributo di quella che Umberto Eco chiamava “cooperazione interpretativa”, ovvero la capacità del soggetto di farsi ammaliare dall’affabulazione e di sentirsene parte, esattamente come avviene per ogni tifoso della Ferrari che si sente parte integrante (e integrata) dei successi della scuderia.
Anche per la Sala delle vittorie l’architettura propone un richiamo circolare come a ricordare la ciclicità dei trionfi, i corsi e ricorsi storici vichiani dettati dalla mutevole fortuna, le curve del tempo e quelle da affrontare in pista a velocità formidabile.
In questa sezione, si stagliano le figure che compongono una teoria di campioni dalla gloria imperitura che scorrono come fotogrammi d’un film epico, fino a quando non ci si arresta davanti all’icona di Michael Schumacher per un inevitabile tributo alla commozione empatica.
L’eleganza ieratica dell’illuminazione che in termini tecnici si definisce “sottotono” alimenta il senso di sacralità di questo tempio della mitologia moderna…
… in cui l’infografica si sostituisce al poema orale di omerica memoria…
… mentre perfino lo shop del Ferrari Store si manifesta in perfetta armonia con i criteri allestitivi, assorbendo la forma esemplare del negozio-museo.
Il museo aderisce a quei criteri fondanti della pratica museale delle imprese così come pionieristicamente individuati da Laurence Vail Coleman nel suo prodromico Company museums (Washington, D.C., The American association of museums, 1943), seminale volume pubblicato quasi ottanta anni fa ma ancora attuale nel chiarire anche il ruolo naturale dei musei d’impresa nei rapporti tra l’azienda e i suoi stakeholder, evidenziandone la capacità di attingere a tematiche universali in maniera convincente: “the educational efforts that museums do put fort may be as good for business, in proportion to cost, as anything that advertising or sales efforts can devise; history, including strict company history, is a very good vehicle for public relations” (p. 22).
Tra i classici strumenti del settore, non mancano il factory tour nella formula del Tour Fabbrica Ferrari, proposto come “un esclusivo tour panoramico in navetta all’interno della Pista di Fiorano e lungo il viale Enzo Ferrari in Fabbrica” durante il quale “una guida del Museo illustrerà, in italiano e in inglese, le caratteristiche e i contenuti del circuito della Ferrari, dove dal 1972 si sono svolti i test delle vetture da competizione e stradali, e della Cittadella Ferrari, cuore degli Stabilimenti dove vengono prodotte tutte le vetture del Cavallino”, occasione per ammirare “le strutture architettoniche realizzate da celebri architetti come Renzo Piano, Massimiliano Fuksas, Jean Nouvel, Marco Visconti e Luigi Sturchio” e la “parte storica accuratamente conservata, a partire dall’androne di ingresso che è lo stesso dal 1947”.
Altra esperienza speciale che arricchisce la visita ai Musei Ferrari è l’accordo con l’Autodromo di Modena che consente di “usufruire della convenzione per accedere con il proprio automezzo alla pista dell’Autodromo di Modena e girare per 15 minuti con una tariffa agevolata”.
E’ invece prerogativa del museo modenese il pacchetto Ferrari Legend Experience che “offre un punto di vista speciale sulle origini del mito e consente di scoprire anche alcune delle eccellenze che hanno reso famosa la città natale di Enzo Ferrari in tutto il mondo”.
Il Museo Enzo Ferrari di Modena cambia infatti registro rispetto a quello di Maranello, quasi spogliandosi dell’aura leggendaria per ricondurre il mondo del celeberrimo marchio all’aspetto più umano e romantico, tra elegia del lavoro e documento del saper fare, connettendo la vicenda intima privata di un geniale imprenditore agli eventi della storia collettiva che accompagna da decenni.
Qui la prima parola importante che incontri è “officina”, lemma non soltanto legato ai fasti degli allori sportivi, bensì intrecciato significativamente con la fatica quotidiana, riconducendo così gli slanci pindarici al necessario pragmatismo della nobile attività dell’Industria.
Quasi uno shock semantico e contenutistico che però apre le porte su tutto un altro mondo, quello dell’impegno indefesso cui è vocata la collettività che vive in terra emiliana, insieme alla tigna dei capitani d’industria che hanno fatto grande l’Italia, il talento di superare i limiti dell’ovvio, la capacità impressionante di immaginare un mondo inesistente e renderlo concreto.
Qui il cammino del visitatore prende le mosse dall’atmosfera raccolta del mondo del fondatore, partendo dai primi vagiti del marchio…
… passando dal peso scientifico della meccanica…
… a quello supremo della Memoria privata, con la galleria fotografica di colui che il mondo amava definire con ammirata metafora The Drake, “instancabile sognatore” nel ritratto che ne fece Enzo Biagi in un suo celebre libro…
… per porre ulteriormente l’accento ancora sul motore…
… cuore pulsante di meravigliosi rivestimenti che contrassegnano questo primo ambiente…
… al quale attraversando un cortile ne segue un altro che trascina con decisione verso l’empireo dell’Estetica parlante, una prodigiosa mostra permanente in cui l’intero enorme spazio espositivo diviene tavolozza tridimensionale in cui ogni forma automobilistica appare come materico dripping cromatico di inusitata razionalità…
… nel suo delinearsi come fiammante timeline che connette Capolavori senza tempo al tempo in divenire…
… evocando i reticoli vitali di vasi sanguigni portatori di notizie parallele alle evoluzioni delle forme…
… le quali non riguardano soltanto le auto ma anche tutto ciò che scandisce il progresso umano…
… con omaggi ad altre menti illuminate fondamentali del ’900 come Louis Armstrong…
… senza trascurare un doveroso riconoscimento alla parte documentale, quella sezione archivistica che rappresenta l’anima di ogni museo d’impresa.
L’apporto dell’elettronica è discreto e punta sulla massima funzionalità, sempre ancillare rispetto alla comprensione del messaggio cognitivo riposto nelle intenzioni del curatore…
… così saldamente elevato da non temere gli approdi pedagogici più raffinati, come nell’evocazione dell’arte contemporanea per quanto in chiave pop.
La visione di immagini in movimento si rannicchia in salette appartate quando vuole corredare di pixel l’indagine espistemologica…
… per esondare poi in rito collettivo aggregante con la magia ancestrale della proiezione in piazza.
Mettendo insieme tutti gli aspetti dei Musei Ferrari, è evidente come ci si trovi davanti a un autentico polo museale di grande complessità, in grado di declinare ogni peculiarità tematica del settore espositivo di appartenenza, ma distinguendosi dai competitor per originalità e personalità.
In questo modo offre cultura materiale e umanistica al tempo stesso attraverso ben due sedi territoriali distinte e una pluralità di ambienti, con uno spettro di argomentazioni e applicazioni molto ampio, contribuendo in maniera formidabile alla già elevatissima reputazione aziendale della Ferrari, fornendo vantaggio competitivo al marchio e consolidando una già robusta brand awareness.
Lo dimostra il suo riassumere gli aspetti fondamentali dei company museum così come postulato nella più importante sistematizzazione contemporanea del fenomeno ad opera di Victor J. Danilov nel saggio Corporate Museums, Galleries, and Visitor Centers: A Directory (Greenwood, Westport, 1991) che colloca le esposizioni del settore automotive al quarto posto tra le tipologie commerciali di questo compartimento, confermando che esse in generale “they are exhibit-based facilities owned and operated by publicly traded or privately held companies as public relations, marketing, and/or personnel relations vehicles”, in quanto costituiscono “a corporate facility with tangible objects and/or exhibits, displayed in a museum-like setting, that communicates the history, operations, and/or interests of a company to employees, guests, customers, and/or the public”.
Va rilevato che i Musei Ferrari sono tra i pochissimi del settore ad avere un biglietto d’ingresso e pertanto a generare un fatturato anche al di là del merchandising e degli effetti promozionali postumi, rappresentando quindi una sorta di impresa nell’impresa, in tutto e per tutto, oltre le ovvie funzioni di strumento di comunicazione e di marketing.
Un modo per rendere la responsabilità sociale d’impresa sostenibile economicamente, senza che venga a mancare l’afflato etico che ne è alla base.
Per i visitatori invece a imprimersi sono valori come la capacità di credere nei sogni e la volontà di lottare per farli divenire realtà, insieme alla forza dirompente del genius loci che tracima nel genio universalmente riconosciuto: così la definizione di Made in Italy esce dall’impalpabile novero delle locuzioni generiche, per affermarsi come elemento di un’identità collettiva condivisa.
Nota di merito anche per i servizi aggiuntivi: ottimo quello relativo al ristoro, spazioso, accogliente, elegante…
… ma soprattutto attento alla massima qualità, tanto nell’offerta gastronomica quanto nelle attrezzature per la mescita: dimostrazione inequivocabile di ciò, la presenza nell’ambito della caffetteria di un celebratissima eccellenza come La Marzocco, famosa tanto per le prestazioni che per il design, definita dagli addetti ai lavori e dagli esperti “la Ferrari delle macchine per il caffè”, guarda caso…
Ultimo plauso al generoso dinamismo dei Musei Ferrari nell’ambito dello sviluppo turistico, grazie a importanti e seguitissime iniziative che rappresentano un volano di presenze per tutto il territorio.
Lungi dal godere in maniera solipsistica delle proprie fortune, Ferrari si è infatti totalmente calata nella realtà socio-economica della comunità di riferimento, stringendo accordi e sodalizi con altre realtà di rilievo del posto, proponendo “la scoperta del mondo del Cavallino Rampante e delle più significative eccellenze del Territorio Modenese, grazie ai pacchetti Discover Ferrari & Pavarotti Land” che all’ingresso ai due Musei Ferrari e alla Casa Museo Luciano Pavarotti aggiungono visite guidate e degustazioni in aziende aderenti dei settori del Balsamico tradizionale, del Lambrusco e della salumeria, tutto da svolgere con l’ausilio di una navetta a disposizione per tutta la giornata.
Un modo concreto di mettere insieme slancio gnoseologico e appagamento ludico, confermando che alle radici di un mito c’è sempre una realtà esemplare in grado di conferire maggior spessore al presente e di rendere la vita più emozionante.
Info: https://www.ferrari.com/it-IT/museums