Centesimino di Oriolo, riscoperta di un vino da raro vitigno romagnolo
Un vecchio vino contadino che ha rischiato di scomparire, ma che è stato salvato dal profondo amore dei vignaioli della sua zona di elezione, nel faentino: è il Centesimino di Oriolo, ben più di una curiosità enoica di nicchia, bensì un grande prodotto vinicolo dalla storia che affascina e commuove.
La sua storia la possiamo apprendere dal sito di uno dei più appassionati ambasciatori di questo vino, la cantina San Biagio Vecchio che lo produce in via Salita di Oriolo 13 a Faenza.
Si ricorda intanto che veniva chiamato comunemente Savignôn Rosso, malgrado non esista “alcuna affinità con il Cabernet Sauvignon”.
La sua nuova vita inizia attorno al 1940, “nel periodo post fillosserico”, la cui “riscoperta e diffusione si deve a un signore di Faenza, Pietro Pianori, soprannominato Centesimino per via della sua nota avarizia”. Fu lui a ritrovare questa varietà “nel suo giardino nel centro di Faenza”, propagandone “le marze del vitigno nel suo podere Terbato, a due passi dalla torre medievale di Oriolo dei Fichi”.
Si riporta quindi la tesi che “queste viti fossero arrivate in Romagna dalla Spagna e a supporto di questa origine si indicava la presenza, in alcuni vigneti del Faentino, di viti denominate Alicante coltivate insieme a Savignon Rosso”, mentre “l’analisi del DNA effettuata presso i laboratori dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige ha inoltre permesso di constatare che il Centesimino è una varietà unica e autoctona della Romagna”.
Si è dovuto attendere il 7 maggio 2004 per il suo riconoscimento ufficiale con il nome Centesimino o Savignôn Rosso.
Proprio la vigna di Centesimino di Pietro Pianori “è sopravvissuta fino al 1980/1981 nel Podere Terbato, situato in linea d’aria a circa 500 metri da San Biagio Vecchio”: prima che venisse estirpata però “Don Antonio Baldassari recuperò le marze e ricostruì il vigneto di Centesimino a San Biagio Vecchio”.
Risiede qui l’unicità della vigna di San Biagio Vecchio, confermata dai vivaisti che hanno evidenziato la particolarità botanica del biotipo di Centesimino qui coltivato, in base alla quale “le viti di San Biagio Vecchio custodiscono un DNA purissimo e non imbastardito”.
Sono stati i nipoti di Pietro Pianori a proporre ai titolari di questa cantina di gestire lo storico podere di Terbato. E’ qui che nel maggio del 2015 viene “riportato il Centesimino dopo oltre 30 anni di assenza”, realizzando un nuovo vigneto su selezione massale.
Il ritorno nel bicchiere del più classico Centesimino possibile ha così preso il nome di MonteTarbato, “per legarlo indissolubilmente alla terra dove è tornato a rivivere”, nonché al podere in cui negli anni ’40 è stato salvato il Centesimino dall’estinzione.
Il vino nasce da selezione di vecchi cloni di Centesimino in purezza, con vendemmia manuale in cassetta con selezione dei grappoli, “fermentazione spontanea con i propri lieviti indigeni” e maturazione di tre mesi in tonneaux esauste.
Il bouquet rimanda al mosto ancora fresco, mentre al palato è denso, seducente, con buona stuzzicante acidità, rallegrata da sentori di more selvatiche. Contrassegnato dalla freschezza aromatica, riempie la bocca di profumi preziosi di natura buona.
A sostegno di questo pregiato nettare, è nata nel 1995 l’Associazione per la Torre di Oriolo, per “tutelare il Centesimino nelle due tipologie, secco e passito, stabilendo un disciplinare di produzione che ne illustra tutte le precise caratteristiche”.
Importante anche il sostegno storico e intellettuale giunto da un apprezzato volume di Francesco Falcone, Centesimino di Oriolo. Un raro vitigno romagnolo, il suo territorio e i suoi vignaioli, ben documentato, molto apprezzato anche da chi gestisce la cantina San Biagio Vecchio che lo promuove in maniera convinta.
Per saperne di più sul Centesimino, abbiamo intervistato Andrea Balducci che gestisce la cantina con Lucia Ziniti: ci ha risposto nel video che segue.
Info: http://www.cantinasanbiagiovecchio.com/