Chi era il Cocho Bergamasco?
Grazie.
Grazie, caro Cocho, per aver accolto l’invito dei tuoi amici buongustai ed aver riportato in scrittura il tuo grande sapere gastronomico. Ti immaginiamo seduto al tavolo vicino al camino della tua cucina, tra vasi, caldarini, fiamengine, tavelli e testi, mentre, al lume di candela, dopo aver accantonato la tua naturale ritrosia e modestia, stanco ma soddisfatto per la buona riuscita della cena appena servita, ti dedichi a chi ambisce a divenire un cucinaro alla casalenga. La tua missione di donare piacere con vivande buone e ben saporite, continuerà così nel tempo.
Siamo a fine Seicento, inizio Settecento quando il Cocho, anonimo per modestia o discrezione, realizza il suo ricettario che permette di cogliere nel vivo la realtà gastronomica bergamasca così come compariva sulle mense borghesi e della piccola nobiltà.
Chi sia il Cocho non è dato sapere. L’unico dato certo è che fu allievo di un certo Teofilo Fagacci di cui peraltro non si hanno notizie. L’anonimo cuciniere è sicuramente bergamasco. Lo si deduce dalla terminologia marcatamente dialettale: gniferi sono le carote (da gnifer), cazzuli i mestoli (da cassùl), sgotolare significa sgocciolare (da sgutulà), struccare significa spremere (da strocà), sbroiare significa scottare (da sbrojà) e così via.
I termini bergamaschi da lui utilizzati sono spesso conformi a quelli riportati nel Vocabolario bergamasco italiano latino di Giovan Battista Angelini (1679-1767), nato a Strozza di Valle Imagna. Inoltre utilizza come ingredienti molte erbe spontanee ed in particolare chiama l’Achillea millefolium L. con il termine dialettale erba pimpinella che Enrico Caffi nel suo Vocabolario Bergamasco Fauna e Flora, rileva essere utilizzato solo nei territori di Sant’Omobono Imagna e Fontanella del Monte. Il Cocho era forse nativo di queste zone? Non vi sono per ora conferme.
Il manuale ha scopo eminentemente didattico: a ogni ricetta segue un’interrogazione, cioè una domanda di chiarimento di un ipotetico allievo. Il fine pedagogico è dichiarato già nelle prime pagine: “annotazioni necessarie […] per chi desidera imparare a fare il cucinaro alla casalenga”. Con attenzione e perizia il Cocho spiega, passo per passo, i singoli procedimenti con minuzia di particolari; la fonte di calore, il punto di cottura, la temperatura al momento di mandare il piatto in tavola, la decorazione e la presentazione del piatto preoccupano il Cocho. Trasmette le sue conoscenze ai suoi ipotetici allievi senza segreti e con spontaneità; pare di essere in cucina con lui mentre si muove con mestiere e pazienza antichi e sceglie il tipo di pignatta corretto per la vivanda in preparazione.
Oppure sembra di sentirlo raccomandare a viva voce di sbattere l’uovo prima di inserirlo nell’impasto in modo da amalgamarlo bene o consigliare con garbo di preparare lo stufato la sera per la mattina. Le sue ricette prevedono differenti procedimenti per la stessa preparazione qualora la materia prima sia diversa; ad esempio cambia il procedimento per fare il brodo a seconda della tipologia di carne utilizzata ed è diverso il tipo di ripieno se varia il taglio o la tipologia della carne.
Le sue ricette sono ricche di materie prime del territorio bergamasco, e risentono sia dei contatti con la dominante Venezia (carpioni dolci e garbi, minestra con l’anguilla, anatra con le verze), che con la vicina Milano (busecca, trippa e minestra di riso con lo zafferano). Ma il suo estro non si ferma alla conoscenza delle cucine limitrofe, utilizza con mano sicura i prodotti delle Americhe quali tacchino e peperoni, e trae spunto dalle innovazioni francesi: sarebbero sue le prime frittelle chiamate “bignè” messe per scritto in Italia.
Con oltre due secoli di anticipo, inoltre, abbandona il servizio alla francese (tutte le vivande poste in tavola contemporaneamente) e segue un suo ordine logico: prima la minestra e poi il bollito, secondo lo stile attualmente detto alla russa. E così, grazie al Cocho, riscopriamo la bontà di ricette bergamasche antiche ma attuali; semplici, ma gustose perché preparate con eccellenti materie prime, competenza, grande manualità e passione, tenendo conto della saporitezza delle medesime.
Andiamo a scoprire le…ANTICHE RICETTE DEL COCHO BERGAMASCO (1700 ca).
Trascrizione dall’originale e trasposizione in chiave moderna di Silvia Tropea Montagnosi
Per fare una Insalata assai saporita
Prendi endivia, o quella Insalata tu voi, lavala bene e ben monda, mettila sopra una tovaglia netta, doppo che ha sgotolato ben bene; di puoi metti di sopra un altra salvietta o panno di lino netto, e legermente premendo la salvietta di sopra, assiugala ben bene dall’aqua.
Di puoi metti nel mortaro tre o quattro spiche d’aglio, erba Pinpinella, Pebriselino, Mader Salvia, Menta fina, porini, Ricola, due o tre Anchiove, Capere otto o dieci, e con il pistonzino va triturando destramente tutte queste cose, aggiungi il suo oglio con sale a proporzione, ma di novo mescolando; di puoi per fine aggiungi l’aceto a proporzione ben forte, mescola di novo con fregare lentamente con il pestonzino; di puoi con panno di lino biancho strucca e cola sopra l’insalata preparata sul piatto, di puoi volgi e rivolgi so sopra detta insalata, acciò bene s’imbeva di detta conza, che averai una insalata ben bona e saporita. Avertendo che quando l’aceto fosse ben forte, vi puotrai aggiungere un puocho di zuccaro verzino e mescolarlo con detta conza a sieme con l’altre cose.
Per fare un insalata assai saporita
Prendi un’invidia o un’altra insalata che preferisci. Lavala e mondala bene, poi mettila su un asciughino pulita in modo che sgrondi bene e poi ponile sopra una salvietta o un panno di lino pulito e premendo leggermente, asciugala bene dall’acqua.
Poi metti in un mortaio: tre o quattro spicchi di aglio, erba pimpinella (achillea millefoglie), prezzemolo, salvia, menta sottile, piccoli porri, rucola, due o tre acciughe, otto o dieci capperi. Con il pestello piccolo trita attentamente tutte queste cose. Aggiungi olio e sale necessari, ma sempre mescolando, ed infine aceto ben forte. Mescola nuovamente con il pestello, premendo lentamente. Poi, con un panno di lino bianco, spremi e cola il composto sopra all’insalata preparata sul piatto; girala e rigirala affinché si imbeva del condimento. Avrai un’insalata buona e saporita. Qualora l’aceto fosse ben forte, si potrà aggiungere un poco di zucchero di canna integrale e mescolarlo insieme alle altre cose del condimento.
Interrogazione
Sarebbe bona per altre cose questa conza? Per molte altre sarebbe bonissima: per far insalata con fette di Manzo et anche di Vitello tagliate ben sottili. Per far insalatta con fette di peri Francesi cotti nel fuocho in una carta bagnata nella cernice, di puoi si mette sopra il fuocho. Per far insalata di rape rosse, e di Gniferi et anche di rape bianche tutte tagliate in fette sottili. Detta conza serve anche da metter sopra il luzzo fatto in biancho, e sopra il pesce persico fatto in biancho. Et anche sopra la trotta, abbenché sopra questa si costumi, mettervi solamente oglio et aceto. Ma per fare le vivande in magro, si discorrerà qui a dietro a suo luogo.
Domanda
Sarebbe buona per altre cose questo condimento? Per molte altre sarebbe buonissimo, ad esempio con fette di manzo ed anche di vitello tagliate sottili. Per fare un’insalata con fette di pere grosse cotte nel fuoco in una carta immersa nella cenere della brace. Per fare un’insalata di rape rosse e di carote ed anche di rape bianche tutte tagliate a fette sottili. Questo condimento serve anche per metterlo sopra il luccio fatto in bianco (ricetta 47) e sopra il pesce persico fatto in bianco, ed anche sopra la trota, benché sopra questa è usanza mettere solo olio ed aceto. Ma delle vivande di magro si discorrerà più avanti, a tempo debito.
Dal volume: Il Cocho Bergamasco alla casalinga – Lubrina Editore 2012, prefazione di Chicco Cerea | Domenico Liggeri | Silvia Tropea Montagnosi
Info: www.lubrina.it