Chiafura e la storia dei “cavernicoli” di Scicli (RG)
Scicli è meta ambita da frotte di turisti che si sdilinquiscono per il (giustamente) celebrato barocco o di fanatici di Montalbano in pellegrinaggio tra le location della fiction: ma il luogo più carico di fascino della città è senza ombra di dubbio il sito rupestre di Chiafura, situato sulla parte meridionale del colle di San Matteo.
Un cuore di pietra, eppure ricco di calore umano. Perché tra queste pietre hanno trovato rifugio i diseredati, andando a vivere nelle grotte come gli uomini primitivi, senza luce né acqua e privi pure dei servizi igienici. Sul sito del Comune di Scicli, Chiafura viene descritto come “uno dei quartieri più antichi della città, con le sue centinaia di bocche nere. Quartiere abitatissimo fino agli anni ’50, oggi è deserto a seguito della legge Romita sull’edilizia impropria del 1954 che decretò il definitivo abbandono del quartiere e il successivo trasferimento nel nuovo quartiere di Jungi”.
Quindi un po’ di storia: “le origini di Chiafura sono remote. Si pensa infatti che abitazioni sparse risalgano addirittura al periodo neolitico anche se è stato scoperto che la maggior parte di esse appartenga all’età bizantina. In seguito all’insicurezza causata dal crollo dell’impero romano, le popolazioni cominciarono a salire verso la rocca fortificata, già sorta sul colle di San Matteo. […] Diverse migliaia di persone continuarono a scavare le proprie semplici abitazioni e a ricavarvi all’interno, gli spazi e gli arredi che servivano per la vita di tutti i giorni” (www.comune.scicli.rg.it).
Più appassionata invece la descrizione resa da chi a Chiafura ci ha vissuto, come lo scomparso Gaetano Mormina, medico e scultore, da bambino chiafurano per scelta. In un articolo pubblicato dal Giornale di Scicli il 15 novembre del 1998, Mormina raccontava che “erano specie di caverne, senza intonaco e con pavimenti di roccia. Le grotte erano umide, fredde, annerite dal fumo della tannura, specie di cucina fatta da due pietre parallele con due ferri messi trasversalmente”.
“C’era anche il forno di pietra, costruito dentro la grotta o vicino ad essa. In alcuni casi vi erano delle gallerie che penetravano nella montagna, attraversandola per decine di metri, dove era facile trovare stalattiti o stalagmiti di pietra. Quando la grotta non bastava più per accogliere la famiglia che diventava numerosa, si scavava la parete per ricavare spazi nuovi dove sistemare i figli”.
Ecco quindi la descrizione delle condizioni di vita degli abitanti di Chiafura, circa seimila all’inizio del XX secolo, famiglie povere e numerose stipate in grotte la cui superficie era dai 30 ai 70 mq.: “l’alimentazione era scarsa e molto povera: si consumavano prevalentemente legumi, pane, pasta, poca verdura, latte, uova e formaggio per chi aveva i soldi; la carne solo durante le feste di Natale e Pasqua. A Chiafura si usava il siero della ricotta per fare la zuppa la mattina”.
Qualcuno però colse la Poesia che albergava in questo piccolo mondo primitivo e per iniziativa del Movimento Culturale Vitaliano Brancati di Scicli nel 1959 furono invitati a visitare il sito artisti e intellettuali come Guttuso, Levi, Pasolini, affinché potessero osservare di persona quelle grotte che “a detta degli studiosi avevano una importanza superiore alle grotte di Matera”.
Pier Paolo Pasolini, reduce da questa esperienza, scrisse: “Chiafura era una specie di montagna del Purgatorio, con i gironi uno sull’altro, forati dai buchi delle porte saracene, dove la gente ha messo un letto, delle immagini sacre, dei cartelloni di film alle pareti e lì vive ammassata, qualche volta con il mulo. Si tratta di un rustico agglomerato troglodito, composto da cento bocche che si aprono nel lato sinistro del colle di S. Matteo. Le grotte furono abitate fino agli anni ’50 e per tale motivo furono oggetto di denunzie e di lotte sociali a livello nazionale. L’insieme delle grotte ha una visione veramente suggestiva, ma sono anche una testimonianza del sottosviluppo e dell’emarginazione del Meridione” (www.gaetanomormina.it).
Il ritratto pasoliniano dovrebbe far pensare a un popolo di disperati, invece i chiafurani piansero quando gli imposero di trasferirsi altrove, testimonianza di come si potesse essere felici anche vivendo in grotta. Tanto che dovettero distruggere quelle grotte con l’esplosivo, pur di non farci tornare a vivere la gente. Perché gli mancava tutto, tranne una cosa: la dignità. Come ci raccontava, da testimone oculare, proprio Gaetano Mormina.