Colazione a bordo della Regia Nave Vittorio Emanuele, nel 1909
Il pannello presenta un menu molto sobrio ed elegante, servito a bordo della Regia Nave Vittorio Emanuele, in sosta nel porto di Brindisi, il 12 maggio 1909.
La corazzata Vittorio Emanuele apparteneva alla Classe Regina Elena, insieme alla Capo classe, alla Napoli e alla Roma, tragicamente affondata nel 1943 al largo delle coste della Sardegna.
Varata nel 1904 nell’Arsenale di La Spezia, entrò in servizio nel 1908. Aveva un equipaggio permanente effettivo di settecentocinquanta uomini, che arrivavano a quasi quattromila con le forze di complemento. Fu radiata nel 1923.
Era una Classe di navi ordinata dal Ministro della Marina del tempo, l’Ammiraglio Giovanni Bettòlo di Camogli e costruita su progetto elaborato dal Generale Cuniberti.
Era considerata un’eccellente Unità, dalle caratteristiche ben equilibrate tra le necessità del minor tonnellaggio, della massima protezione e della potenza di armamento. Realizzata per contrastare efficacemente i nuovi incrociatori corazzati francesi, risultò essere più veloce delle navi da battaglia inglesi e francesi dell’epoca, ma più armata degli incrociatori. Queste unità furono le antesignane delle nuove corazzate monocalibro, adottate poi da tutte le Marine. Partecipò alla guerra italo–turca e alla I guerra mondiale.
Dal punto di vista prettamente gastronomico, dopo le ostriche di Taranto (d’obbligo! Siamo a Brindisi… no?), ecco la gioia del palato per il Carnevale di altri tempi, il tradizionale pasticcio di maccheroni alla romana, di cui si trova traccia anche nella cucina ferrarese e che vede l’utilizzo della crema pasticcera, abbinamento lungamente comprovato dalla tradizione pasticcera di Roma, ancor prima del ‘700.
Il pasticcio di maccheroni alla romana consta – come tutti i pasticci – di tre elementi [pasticcio est omnis divisus in partes tres]: la parte interna formata dai maccheroni e da un abbondante ripieno, poi uno strato di crema pasticcera, che ricopre i maccheroni, e finalmente un involucro di pasta frolla inzuccherata che racchiude ogni cosa.
A noi contemporanei può sembrare inusuale e fors’anche stridente l’utilizzo di elementi dolci, tipici della pasticceria, in un pasticcio di maccheroni, al quale diamo istintivamente una connotazione salata, ma l’unione del dolce e del salato era molto in voga nei secoli XVII e XVIII.
Il menu prosegue con un’interessante verticale di carni, la quale parte dal tacchino, prosegue con il vitello e termina con le quaglie, in un perfetto crescendo di umori e sapori e in un’altalena tra terra e cielo. L’insalata alla tedesca concede una pausa, ma sempre in tema carnivoro, data la presenza della pancetta, che trova nelle patate la sua perfetta compagnia.
Giungiamo, infine, alle secundae mensae, quella zona dove il dolce è sovrano e ci troviamo davanti a due colossi : il gelato alla siciliana e la Pasta principessa, entrambi ricordi – anche nel nome – di un passato lontano e fiabesco.
La parte “liquida” del menu presenta un trittico di notevole spessore, che inizia con due grandi rossi italiani: il Corvo Casteldaccia che rappresenta un mito, un brand italiano con oltre duecento anni di storia alle spalle e un grande Barolo Mirafiori, “Re dei vini e vino dei Re”, come è stato giustamente definito, nel quale c’era e c’è una tradizione di famiglia che inizia, appunto, agli albori del ’900.
Alla fine ecco il grande spumante Cinzano, nome che ha origini antichissime, tanto che una delle prime registrazioni ufficiali risale al 1568, negli archivi parrocchiali del piccolo borgo di Pecetto Torinese.
I Cinzano erano specializzati in colture di alberi da frutto e vite e producevano rosolio, un liquore derivato dal petalo della rosa, usato spesso come base per altri liquori, vini ed elisir, con proprietà benefiche.
Già nel 1703 la fama dei rosoli e degli elisir Cinzano varcano i confini del piccolo villaggio, tanto che il Maestro Acquavitaio Giovanni Battista Cinzano ottiene la licenza governativa per distillare e vendere elisir e rosoli fino a Torino. Dopo questo riconoscimento, gli eredi di Giovanni Battista Cinzano, Giovanni Giacomo e Carlo Stefano Cinzano, ottengono un’ulteriore licenza dalla corte Sabauda e aprono la bottega laboratorio di Via Dora Grossa, oggi via Garibaldi, nel centro di Torino.
La famiglia Cinzano diviene molto presto una produttrice eccellente di vermouth, tanto che nel 1786 viene insignita dai reali di Casa Savoia quale miglior produttrice di una specialità torinese di Vermouth (il Vermouth Rosso). Nel 1786 i Cinzano vengono incaricati dal Re di Piemonte e Sardegna di emulare i metodi francesi di produzione dello Champagne, nei domini reali di Santo Stefano Belbo e Santa Vittoria d’Alba. La ricerca e la sperimentazione porta alla produzione del primo spumante italiano e pone le basi per la rinomata tradizione nazionale di spumanti.
I Savoia continuano a incentivare le sperimentazioni dei fratelli Cinzano, offrendo loro le tenute di Santa Vittoria D’Alba come base per le loro ricerche.
Dagli anni Sessanta i Cinzano iniziano a produrre su scala industriale i loro prodotti, soprattutto i vermouth; negli stessi anni viene inaugurato il primo stabilimento a Santo Stefano Belbo che, con Santa Vittoria d’Alba e Chambery, diviene la base del successo di Cinzano nel mondo. In Europa, poi in Sud America e in Africa.
Si ringraziano lo Stato Maggiore della Marina Militare e l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia (A.N.M.I.).
Info: www.marinaiditalia.com