Dalla cantina Argillae nell’orvietano vini umbri come inno sostenibile al terroir
Una storia familiare edificante che afferma la virtuosità dell’intervento antropico nel ciclo della natura, una storia partita da uno storico protagonista del mondo del buon bere come Giuseppe Bonollo e approdata a un presente affidato alla preparata quanto dinamica discendente Giulia Di Cosimo, creando una continuità capace di trattenere valori universali e pratiche eterne nel nome della materia più ancestrale, l’argilla, assorbendo al tempo stesso le istanze della modernità e individuando urgenze irrinunciabili, ma sempre tenendo ferma la barra del rigore etico: così ha assunto crescente considerazione e ipotecato un futuro ancora più luminoso la cantina Argillae di Allerona, borgo piccolissimo ma inserito tra i più belli d’Italia che si trova in provincia di Terni in Umbria.
Questa azienda agricola “si distende sulle colline fra Allerona e Ficulle a nord-ovest di Orvieto su di una superficie di circa 120 ettari che si snodano lungo il percorso dell’autostrada del Sole: il territorio è costituito dalla presenza di terreni argilloso-sabbiosi caratterizzati dai calanchi, ampie e profonde spaccature del terreno frutto dell’erosione creata dagli agenti atmosferici circa 2 milioni di anni fa”.
A testimoniare l’origine preistorica della zona sono i numerosi “reperti fossili (conchiglie, molluschi, etc), risalenti a epoche plioceniche in cui le acque occupavano tutto questa area fino a lambire Città della Pieve”.
In tale contesto si trovano i 15 ettari di vigneti di Argillae coltivati in terreno calcareo argilloso che godono di un’esposizione est-ovest “su pendici di ridenti ed assolate colline” a un’altitudine tra i 150 ed i 300 metri slm.
Vigneti che “sono gestiti in modo da salvaguardare il territorio e l’ecosistema che lo circonda”, infatti “le operazioni di potatura secca, verde e la vendemmia sono svolte rigorosamente a mano”.
Da applaudire la particolare attenzione verso vitigni autoctoni identitari anche poco noti per adesso come Procanico, Verdello e Drupeggio, oltre a gloriose varietà locali quali Grechetto e Montepulciano. Tra le uve internazionali spicca l’impiego dello Chardonnay.
Di particolare fascino estetico la curatissima cantina, dove “il primo piano è riservato all’affinamento e stoccaggio dei vini in serbatoi in acciaio inox, termocontrollati, nonché al laboratorio di analisi ed alla moderna sala degustazione”, mentre “il piano inferiore, seminterrato, è riservato allo stoccaggio dei vini imbottigliati in ambiente termocontrollato, alla barricaia per i vini bianchi e alla barricaia per i vini rossi (per gestire in maniera indipendente l’affinamento di prodotti che esigono condizioni di umidità e di temperatura diverse)”.
Forte il contributo dei legami familiari alla riuscita del progetto, a partire dall’intervento fondativo di Giuseppe Bonollo “discendente di una nota famiglia di distillatori che risale ai primi del ’900”, il quale “dopo aver realizzato la più grande distilleria vitivinicola d’Italia, era alla ricerca di un territorio altamente vocato per la produzione di vini di eccellente qualità: a metà degli anni ’80 quella zona ideale fu individuata nelle colline a nord di Orvieto, non lontano da Anagni e dalla sua distilleria”.
Dopo anni in cui pur “mantenendo sempre un forte legame con il territorio di appartenenza, l’attenzione di Argillae era rivolta quasi esclusivamente al mercato estero, dove tutt’ora gode di buona notorietà”, ecco il punto di svolta con l’ingresso in azienda nel 2015 della nipote Giulia Di Cosimo, alla quale “è affidato oggi il compito di gestire in prima persona l’azienda”.
Giulia ha manifestato molto rapidamente sensibilità agricola, qualità imprenditoriale e acume culturale, guadagnandosi enorme rispetto da parte del mondo vinicolo, anche grazie a idee originali e vincenti, come sottolineato pure dal distributore Proposta Vini che la loda perché “all’estro di Giulia si deve la realizzazione delle anfore impiegate in vinificazione, figlie dell’argilla dei vigneti aziendali”, oltre a riconoscerle l’attività di “valorizzazione di diverse varietà autoctone”.
L’impatto di Giulia ha dato vita anche a nuove produzioni, tra le quali spicca il fortunatissimo Primo d’Anfora, bianco vinificato nelle citate anfore di terracotta.
Punto cardinale del lavoro di Giulia e di tutta Argillae è il riconoscimento del ruolo fondamentale del terroir, del quale ha codificato una propria definizione: “la composizione del suolo, le peculiari condizioni climatiche, le varietà prescelte ed impiantate, ciò che circonda il vigneto (fiume, lago, bosco, o campo che sia…), le specie animali e vegetali che lo popolano… ma soprattutto il loro fondersi insieme in maniera unica ed irripetibile… tutto questo è il terroir ed esso svolge un ruolo cruciale nell’enologia moderna”.
In questo modo si spiega che “prendendo dunque ispirazione dal nostro terroir ed in particolar modo dalla componente principale del nostro suolo abbiamo chiamato la nostra cantina Argillae”.
In azienda puntano molto sulla peculiarità di disporre di terreni prevalentemente composti da strati calcareo argillosi, poiché “risultano più freschi rispetto ad altri tipi di terreno e questo è un vantaggio per regioni tendenzialmente calde come l’Umbria: l’argilla trattiene bene l’acqua, capacità che si rivela fondamentale per fronteggiare la stagione secca; la componente calcarea invece possiede ottime capacità drenanti, evitando così malattie dovute ai ristagni e all’umidità: da terreni calcareo argillosi hanno origine vini di ottima struttura, buona acidità e con ottime potenzialità di invecchiamento”.
Alla dote naturale esposta, Argillae associa pratiche per tutelarla e valorizzarla, attraverso un progetto di sostenibilità che “è parte integrante della nostra identità e riguarda l’architettura della cantina, gli impianti, il packaging e le attività agricole: è il nostro impegno a favore dell’ambiente e della salute del consumatore, un impegno che ci vede attivi nel cercare di migliorare sempre di più il nostro prodotto attraverso la qualità delle materie prime e le procedure di produzione adottate”.
Le soluzioni individuate riguardano: architettura della cantina studiata per ridurre l’impatto ambientale, attuazione di pratiche agricole sostenibili, ricorrere all’energia rinnovabile, utilizzo di un impianto di fitodepurazione.
Sul piano vinicolo l’azienda sottolinea con motivato orgoglio l’importanza storica del vino di Orvieto, la cui rinomanza parte dall’epoca etrusca per approdare al periodo d’oro medievale e rinascimentale, in particolare gli anni in cui Orvieto fu residenza pontificia arrivando così a produrre il “vino dei papi”.
Un prestigio celebrato perfino dalla Poesia, grazie a un componimento del mai abbastanza celebrato Giuseppe Gioacchino Belli che “nelle Regole contro le ubriacature – sonetto del 1835 – sottolinea come il bianco di Orvieto fosse considerato il vino delle grandi occasioni per le sue eminenti qualità rispetto ai vini comuni e fosse destinato esclusivamente alle tavole dei potenti e di coloro che ne potevano pagare l’alto prezzo”.
Argillae aggiunge al ricordo anche liriche precedenti più sferzanti come quelle presenti in una petizione “presentata per voce di Pasquino a Papa Paolo V Borghese in occasione dell’inaugurazione dell’acquedotto romano all’Acqua Marcia (fine del 1600): il miracolo è fatto, o Padre Santo, con l’acqua vostra che ci piace tanto; ma sarebbe portento assai più lieto, se l’acqua la cangiaste in vin d’Orvieto”.
Ma la storia di questo vino incrocia anche personaggi quali Garibaldi e i Mille, nonché Sigmund Freud.
Per parlare della produzione partiamo dall’imprescindibile Grechetto con il suo bouquet fruttato e un corredo sensoriale che comprende pesca, mela, pera e limone esaltati da un’intrigante nota minerale.
Alla freschezza diffusa segue un lungo finale in cui ne emerge la struttura importante.
La denominazione Orvieto ha due declinazioni.
Il Superiore deriva da un assemblaggio di Grechetto, Procanico, Malvasia, Chardonnay e Sauvignon Blanc, manifestando profumi esplosivi di fiori di campo sui quali si innestano cenni di frutti tropicali, mentre il palato avverte nettarina, annurca, arancia e pompelmo rosa. Irresistibile la nota sapida che lo accompagna con discrezione sorso per sorso.
L’Orvieto Classico Superiore Panata è “frutto della migliore selezione delle uve Grechetto, Procanico e Chardonnay” e pur confermando in buona parte i descrittori del precedente se ne distingue al palato incrementando la complessità con l’inserimento di sorprendenti cenni di mandorla fresca, insieme ad ananas e ancora pompelmo, per chiudere con un fantastico tocco di miele di robinia.
Confessiamo infine un innamoramento folle per l’Umbria Bianco Primo d’Anfora nato da “un ambizioso progetto con cui la famiglia Bonollo ha voluto coniugare antiche tradizioni e nuove ricerche: ottenuto da uve Grechetto, Drupeggio e Malvasia accuratamente raccolte a mano, questo vino viene fermentato e affinato per otto mesi in anfore di terracotta”
Conquista immediatamente con il suo suadente bouquet dall’impronta umidamente terrosa in osmosi con frutta matura a polpa gialla, preludio a una tavolozza di sapori che attinge a susina gialla, maracuja, pera Williams e alloro.
La sapidità è tonante e alimenta all’infinito la golosità del sorso, impregnando di sublime mineralità anche un finale che irretisce senza scampo.
Vero capolavoro.
Ulteriori particolari ce li fornisce proprio Giulia Di Cosimo nella video-intervista che trovate qui di seguito.
Info: https://www.argillae.eu/index.php/it/
Distribuzione: https://www.propostavini.com/produttori/produttore/argillae/