Dalla cantina Brigaldara nel veronese, un’antologia da bere di tutti i vini della Valpolicella
Mille anni di storia vitivinicola territoriale, quasi un secolo di attività aziendale, quarantasette ettari vitati lavorati, divisi in quattro diverse zone: numeri che spiegano l’importanza di una cantina come Brigaldara e rendono congruo il suo porsi alla stregua di “scrigno vitivinicolo che racchiude le diverse anime della Valpolicella”, capace di dare vita a un’antologia da bere che contempla soltanto capolavori.
Eppure tanta eccellenza non si spiegherebbe senza aggiungere la sensibilità e la competenza di Stefano Cesari che in quarant’anni di conduzione ha portato l’azienda di famiglia a una crescita portentosa quanto la qualità di ciò che ha fatto arrivare nei bicchieri di tutto il mondo, frutto di un’osmosi tra l’umiltà dello studio empirico di impronta contadina e la brillante lungimiranza dell’imprenditore moderno, un trait d’union tra rigore della produzione ed empatia con il gusto del consumatore.
Pregi cui aggiungere una prodromica visione d’insieme della Valpolicella che lo ha portato a contribuire in maniera determinante alla sua esplosione planetaria.
L’azienda ha sede nell’omonima via Brigaldara di San Pietro in Cariano, in provincia di Verona, località dalla “vocazione millenaria alla vite”. Il toponimo Brigaldara infatti “fa la sua comparsa nel XII secolo in alcuni atti di compravendita” secondo cui “al centro della Valle di Marano doveva già sorgere un casolare, il cui podere era vocato da tempo immemore alla vite, alla coltivazione dell’olivo, degli alberi da frutto e dei cereali”.
Diverse altre citazioni si rinvengono in documenti emessi nel corso dei secoli, nei quali si fa sempre riferimento all’attività vitivinicola di questo territorio. Una scansione temporale nella quale si inserisce all’inizio del XX secolo “l’atto di nascita dell’azienda agricola Brigaldara come oggi la conosciamo, con l’acquisto, nel 1928, da parte di Renzo Cesari” che ha come conseguenza “la specializzazione vitivinicola, fatta con amore e passione dal figlio Lamberto il cui impulso maggiore avviene a partire dagli anni ’80, quando la direzione passa nelle mani di Stefano, nipote di Renzo che si fa affiancare dall’enologo Roberto Ferrarini, forse uno dei più importanti innovatori della storia dell’Amarone e della Valpolicella”.
E’ del 2000 un profondo rinnovamento che vede Stefano Cesari e i figli Lamberto e Antonio impegnati nel miglioramento delle strutture produttive, della cantina, mentre i vigneti vengono specializzati “in base alle varietà più vocate per ciascuna zona” con vitigni autoctoni della Valpolicella quali Corvina, il Corvinone, Rondinella e la riscoperta Oseleta.
L’azienda oggi vede come sempre la famiglia Cesari “impegnata nella valorizzazione di un patrimonio viticolo di proprietà, ricco ed eterogeneo”…
… missione nella quale si fa assistere da “un team di giovani enologi e agronomi dedicati allo studio e alla personalizzazione di ogni intervento in vigna, per valorizzare l’espressione varietale dei terroir e dei microterroir che compongono le diverse anime dei vini qui prodotti”.
Il lavoro di squadra prevede scelte “condivise e progettate nel massimo rispetto della biodiversità e dell’equilibrio vegeto-produttivo dell’ecosistema in cui è inserita la vite, prestando massima attenzione alla piena maturità delle uve e tenendo conto dei bisogni e delle necessità di ogni singolo vigneto”, richiedendo “tempestività degli interventi, delicatezza delle operazioni e una riduzione dei trattamenti allo stretto indispensabile”.
Tra le azioni più suggestive, il trasformare un’area produttiva in un vero ecosistema rurale, come accade negli oltre 70 ettari di Case Vecie, a Grezzana, in cui “uomo, piante e animali completano un ciclo virtuoso: accanto ai vigneti si pratica la silvicoltura, si curano i campi e i muretti a secco, si gestisce la tartufaia e si reintroduce l’allevamento di pecore negli ampi prativi da secoli dedicati alla pastorizia”.
Il citato team di giovani enologi proviene dalla scuola di quel professor Roberto Ferrarini che “più di ogni altro ha contribuito alla rinascita dell’Amarone in Valpolicella”, puntando oggi a “uno stile improntato sulla tradizione, senza rinunciare alla bevibilità, alla freschezza e, sopra ogni cosa, al rispetto varietale di tutte le uve coltivate a Brigaldara, con particolare attenzione ai vitigni principe della zona, la Corvina, il Corvinone e la Rondinella, dal cui uvaggio nascono nuance e interpretazioni territoriali dell’Amarone e del Valpolicella”.
Per questo “in cantina non esistono ricette” bensì “il rispetto del vitigno, delle uve, della stagione che cambiano di anno in anno”, pertanto da incognite dalle quali deriva l’impossibilità di una standardizzazione.
Da qui un coraggioso cambio di rotta rispetto alla tendenza affermatasi negli anni ’80 di creare in Valpolicella “uno stile di vino basato sulle grandi concentrazioni, creando Amarone con appassimenti, colore e residui zuccherini a volte estremi”, una moda ricusata da Brigaldara che invece agisce “recuperando parte della freschezza e della leggerezza che era tipica dei vini della tradizione”, ponendosi l’obiettivo di dare vita a “uno stile pulito, rigoroso, attento alla bevibilità e alla preservazione dei profili aromatici delle uve, con concentrazioni alcoliche e zuccherine mai preponderanti, sempre attente a cogliere l’anima e l’espressività delle uve e dei territori da cui provengono”.
Per riuscire in tale scopo, in cantina viene impostato “un doppio passaggio in legno per l’affinamento dell’Amarone e del Recioto”, il quale comporta “partire da vinificazioni separate per ciascun vigneto”, quindi “pone i vini in barrique nella prima fase dell’affinamento, per poi completarla in botte grande da 20 e 25 ettolitri: il legno piccolo favorisce l’ossigenazione e la fissazione del colore, mentre quello grande completa la maturazione del vino, donando rotondità, struttura e contribuendo a sviluppare la naturale aromaticità dei vitigni di partenza”.
Per abbracciare le sfumature più particolari e autentiche dei vini qui prodotti, si fa in modo di donare a ciascuna etichetta “il compito di rappresentare un’anima squillante e peculiare delle terre d’origine” distribuite in diverse zone della provincia scaligera, tra le quali Valpolicella Classica, Valpantena e Valpolicella Orientale.
La traduzione organolettica di un progetto così articolato e preciso ne conferma la validità, perché tutte le referenze sono ben riconoscibili e aliene dall’omologazione, esprimendo sempre qualità ampiamente fuori dal comune, fino a vette raramente raggiunte.
Si sente che i vini di Brigaldara sono l’esito del lavoro di un vignaiolo che svolge il mestiere da quarant’anni, poiché è evidente che Cesari ha perfetta memoria dei vini della Valpolicella che furono e pertanto quando parla di tradizione lo fa per conoscenza diretta, perché nel suo corredo genetico è custodito un DNA enoico basato su una tradizione agreste genuina in cui perfino l’inevitabile difetto tecnico diveniva una peculiarità.
Oggi quei difetti della tradizione di un tempo Brigaldara è in grado di prevenirli e correggerli senza alcun tradimento della natura intrinseca dell’acino e del suo dono alla vinificazione, consentendo al degustatore di avvertire una costante naturalezza che scaturisce non soltanto dalle attenzioni in vigna ma anche dall’oculata delicatezza dei parchi interventi in cantina.
In questa maniera il frutto è in grado di esprimersi in tutto il suo pieno corredo sensoriale, mantenendo sempre una freschezza silvestre che attraversa ogni stilla e mette una firma riconoscibile in ciascun sorso.
E’ così che la monumentalità di ciascuno dei vini di Brigaldara, inevitabilmente votati alla grandiosità dalla sfrenata generosità del terroir della Valpolicella, non si traduce mai in eccesso muscolare ed evita costantemente derive sciroppose nonché ammiccamenti nerboruti, perché in essi la potenza è sempre tenuta sotto il necessario controllo dalla mano equilibrata del vigneron che non perde mai di vista l’eleganza della beva e una piacevolezza ecumenica che si specchia nella sincerità degli intenti.
E’ così che l’Amarone nella perfetta sineddoche del Valpolicella Classico – da uve Corvina 47%, Corvinone 39%, Rondinella 6% e altre per un saldo dell’8% – irretisce l’olfatto con un complesso bouquet in cui ai toni muschiati e speziati si affianca l’afflato balsamico delle erbe officinali, preludio alla golosità di un corpo spesso e un sorso carnoso che conducono al palato composta di prugna, succo di melagrana, sorbo ben maturo, con cenni di cioccolato di Modica.
Nel finale emerge un’evidente impronta di pepe di Sichuan che lo rende davvero piccante, suggellando un’esperienza di rara emozione.
Su questi binari si avviano l’Amarone Valpolicella Cavolo e il Case Vecie, prima di assumere le proprie cifre distintive.
Il primo nel mettere insieme Corvinone 21%, Corvina 59%, Rondinella 17% e altre uve per il 3%, non ha paura di porgere in maniera carezzevole una spiccata propensione alla dolcezza tanto al naso che alla bocca, suggerendo la saba e la cannella, al fianco di evocazioni di sciroppo d’acero e zuppa inglese.
Il secondo, derivando da Corvina 39%, Corvinone 30% e Rondinella 31%, conduce all’estrazione di un bouquet di frutta essiccata ed echi torbati, mentre il gusto avverte piccoli frutti rossi quali ribes rosso, Cranberry (mirtillo rosso americano) e corbezzolo.
Arriviamo così all’Amarone Valpolicella Riserva che con la formula Corvina 55%, Corvinone 25% e Rondinella 20% si pone come compendio delle varie declinazioni omologhe, assumendo come elemento di riconoscibilità intriganti variazioni sul tema della ciliegia, passando dal frutto fresco a quello candito, dalla densità della marasca alla selvaticità della visciola.
La scansione del Valpolicella da blend di Corvina 55%, Corvinone 25%, e Rondinella 20% parte all’olfatto da tutta la ricchezza espressiva del sottobosco, portando al palato lampone e gelso nero, ma anche barbabietola, sfoderando una bevibilità clamorosa che lo rende la quintessenza del vino universale da tutto pasto.
Passando al Valpolicella Superiore Case Vecie, esso dichiara il suo porsi come base del citato amarone con cui condivide non soltanto il vigneto di provenienza ma anche la composizione delle uve e quindi buona parte dell’espressione sensoriale, introducendo però una stuzzicante componente di amarena sotto spirito, mentre il resto dei frutti riscontrati (ribes in testa) incrementa l’immediatezza.
Capitolo a parte quella meraviglia del Valpolicella Superiore Ripasso Il Vegro, dallo stesso blend della versione base (Corvina 55% Corvinone 25%, Rondinella 20%) che sorprende già dall’intensità del bouquet di bacche, radici e vegetazione boschiva, esaltandosi in bocca tra susina di Dro, carruba, fragola Candonga caramellata, melagrana e cenni di Cirmolo.
Rotondo, vellutato, conquista con un’acidità in grado di rimettere in equilibrio tanto gli spunti zuccherini che quelli amaricanti, fino a un magnifico finale di fico dottato.
Ma il titolo di vino identitario dell’azienda dovrebbe toccare a quello che è anche il più antico per lignaggio, il Recioto Valpolicella con i suoi duemila anni di gloriosi trascorsi che oggi nella composizione Corvina 55%, Corvinone 25% e Rondinella 20% si traducono in una rara compostezza per un vino dolce, preferendo una ghiotta amabilità che condensa lo cherry al naso e un insieme di aromi al palato tra i quali sembra di inseguire rabarbaro, fragolina di bosco, litchi, pera Madernassa cotta e l’antica icona del maraschino.
Tutti gli altri dettagli li abbiamo chiesti direttamente a Stefano Cesari che ci ha risposto nel video disponibile qui di seguito.
Info: https://www.brigaldara.it/it/
Distribuzione: https://www.propostavini.com/produttori/produttore/brigaldara/