Frank Cornelissen: il vigneto come filosofia di vita
“La nostra filosofia di coltivazione è fondata sul principio che l’uomo è incapace di capire la Natura nella sua totalità, la sua complessità e le sue interazioni. Abbiamo scelto di osservare per imparare dai vari passaggi e cambiamenti energetici e cosmici di Madre Natura perché preferiamo seguire le indicazioni che essa ci dà piuttosto che decidere noi cosa fare e non fare”: questa premessa sintetizza perfettamente un personaggio unico del panorama enologico italiano, Frank Cornelissen.
Italiano per scelta, visto che Frank è belga. Nella sua vita precedente girava il mondo occupandosi di vino sotto il profilo commerciale, fino a quando non si è imbattuto nell’abbagliante bellezza della zona vitivinicola più vocata della Sicilia, quella striscia di Etna che va da Castiglione di Sicilia a Randazzo, passando per il celeberrimo Passopisciaro e Solicchiata. Proprio in quest’ultima località decide di reimpostare la propria esistenza, coinvolgendo la moglie Aki Misono.
Così, tredici anni fa, ha dismesso gli abiti eleganti da broker internazionale del vino e indossato quelli umili e laceri del contadino che affonda le mani nella terra nuda. Facendolo con una radicalità che ha fatto molto discutere la comunità degli appassionati di vino.
“Questa scelta ci ha portato ad evitare di arare la terra e qualsiasi altro tipo di trattamento chimico, tradizionale, biologico oppure bio-dinamico” spiega sul suo sito, “perché rimangono degli interventi dell’uomo che dimostrano la sua incapacità ad accettare ed interpretare la Natura come è, e come sarà”.
Cornelissen, con grande umiltà, ha attinto alla sapienza dei vecchi contadini etnei, facendosi spiegare tecniche, riti, metodologie, tempistiche, integrandosi magnificamente anche con l’ambiente rurale in cui ha deciso di sviluppare la sua attività. Un’integrazione talmente ben riuscita che oggi Frank domina perfettamente la lingua siciliana e conosce tutti i termini tecnici dialettali della viticoltura etnea.
Il risultato oggi è un’azienda “di circa 12 ettari, di cui 8,5 vigneti ad alberello e la rimanente parte di alberi di olivo, frutta tradizionale, mandorle e orto. Per evitare la monocoltura abbiamo deciso di ripiantare alberi da frutta in mezzo ai vigneti, insieme ad una gestione di erbe spontanee; inoltre la presenza di api permette di arrivare ad un ecosistema più complesso, che evita tante malattie della viticoltura”.
Nella videointervista che segue, Cornelissen descrive l’ambiente in cui ha deciso di ricollocare la sua vita, tra vigne vecchie inscritte in muri a secco secolari. Scopriamo con lui le piante che coltiva con amore radicale, insieme al sacro rispetto per la terra, la quale non deve essere tormentata dalla meccanica, ma lavorata con le mani e al massimo con strumenti che non la traumatizzino.
Una lezione di interpretazione naturale e quasi lucreziana della viticoltura.
Info: www.frankcornelissen.it