Good Guys a Legnano, esempio di locale alla moda amato dalle donne
Luci soffuse da club londinese, dominanti scure nell’arredo interno come insegano i locali newyorchesi, la sempre più diffusa pinsa invece della pizza tradizionale e l’ormai dilagante cocktail in accompagnamento al pasto principale in alternativa a birra o vino: segue tutti i dettami della moda ristorativa Good Guys a Legnano, locale di recente apertura baciata dal successo.
Colpisce che la clientela sia in stragrande maggioranza composta da donne, in una quantità così impressionante da farci interrogare sulle ragioni di tale fenomeno, anche perché abbiamo visto intere tavolate con oltre una dozzina di signore senza alcun uomo e quasi tutti gli altri tavoli occupati da donne senza alcuna presenza maschile, tanto da farti sentire nella stessa atmosfera dell’8 marzo.
La prima spiegazione potrebbe essere l’innata sensibilità del pubblico femminile per ciò che è, appunto, alla moda, o forse il locale risponde a precise ricerche di neuromarketing per catturare clientela muliebre.
In tanta perfezione architettonica, ci è sembrato però incongruo incontrare una vetrata che espone impasti in lievitazione lungo il percorso che conduce alle toilette.
La presentazione del locale tuttavia smentisce ciò che noi abbiamo rilevato e interpretato, poiché sostiene che “varcando la soglia di Good Guys, l’atmosfera che si respira è quella di un tempo, dove è ancora ben presente lo stile architettonico classico che ha animato gli anni tra la fine dell’800 e inizio ‘900”, con “oltre 600 mq di location, tra ampie sale interne ed estivo, nata su quella che un tempo era l’industria tessile Giulini-Ratti, una tra le più famose fabbriche nella tessitura del cotone che dava lavoro ad oltre 1600 dipendenti”.
Quindi “oggi Good Guys si presenta al pubblico come una location dalle grandi metrature, unica nel suo genere capace di ospitare 100 persone al suo interno e oltre 60 nel suo meraviglioso giardino esterno”.
A fronte del gigantismo vantato, va allora osservato che la quantità del personale e la sua organizzazione non è del tutto congrua, perché le distanze da coprire sono tali da rendere lunghi i tempi del servizio, mentre il numero di clienti pretenderebbe una maggiore vicinanza con i pur volenterosi camerieri che a volte occorre andare a cercare per ottenere qualche assistenza.
Da rilevare però la buona preparazione e la valida attitudine degli addetti al servizio.
Il piatto forte è la pinsa, lievitato ancestrale che risale agli antichi Romani, una sorta di focaccia, per alcuni progenitore della pizza, il cui impasto da sempre è caratterizzato dalla miscela di farine diverse.
Il locale definisce la propria versione come depositaria di “friabilità, croccantezza e la sua preziosa lievitazione di 48 ore”, una declinazione del Terzo Millennio che “è ancora più digeribile rispetto alla sua illustre antenata, perché la miscela di farro e kamut egiziano è stata sostituita con l’unico ed originale mix di farine (farina di frumento, farina di riso, farina di soia e pasta madre), tutte rigorosamente non ogm”.
Alla prova della degustazione l’impasto è piacevole e fragrante ma certamente non brilla per personalità organolettica, una scelta probabilmente, perché tale impostazione della base è adottata dalle pizzerie gourmet per fare risaltare il cosiddetto topping, i condimenti che effettivamente sono particolarmente curati e fantasiosi.
Ingredienti che contemplano salsa di pomodoro San Marzano, bocconcini di bufala, ‘nduia calabra, olive taggiasche, acciughe del mar Cantabrico, capperi fritti, carboncini di olive, basilico fritto, provola affumicata, bocconcini di salsiccia fresca, chips di patate al rosmarino, chicche di Zola, pomodori confit, stracciatella di burrata, prosciutto crudo di Parma, mortadella IGT, stracciatella di burrata, pesto di pistacchi, zest di limone, crudo di Parma, stracciatella di burrata, fichi, petali di pecorino, glassa all’aceto balsamico, crema di zucca, brie, funghi porcini, bacon croccante, speck IGP, provola affumicata, trevisana stufata al vino rosso, gocce di zafferano, salmone marinato, crema di robiola, avocado, semi di sesamo tostati, salsa teriaky, mozzarella fiordilatte, guanciale al pepe, pecorino romano.
Tutti abbinamenti validissimi che risultano golosi e ben bilanciati.
Funziona anche l’abbinamento con i cocktail, da scegliere da un’intelligente Drink List divisa in varie sezioni, come Nobiltà italiane “completamente dedicata al mondo italiano”, proponendo un “viaggio nelle atmosfere di fine ottocento” in cui ogni creazione “può essere una chiave per entrare nei retrobottega dell’epoca”. Si alternano così nel bicchiere Di Saronno distillato, Rittenhouse ryewhiskey, Marsala Targa Florio, Bitter Angostura, Rabarbaro Zucca distillato, Genever oude Zeer, Vermouth rosso Del Professore, China Martini distillata, Portobello London dry gin, succo di mela verde Granny Smith, Galliano l’Autentico distillato, succo di arance sanguinella, Vermouth dry Mulassano, Fernet Branca distillato, tisana di vaniglia bourbon, Cognac Camus V.S., bitter al mandarino.
Ma si cono anche declinazioni esotiche e richiami all’America.
Noi abbiamo molto apprezzato il Family Affair che ci ha consentito di scoprire il Lillet bianco, prima versione francese in assoluto del vermouth, essendo stato prodotto nel 1872 dai fratelli che gli hanno il nome. Qui il servizio si è superato per gentilezza e sensibilità, poiché ci ha consentito di assaggiarne un goccio anche in purezza.
Ma sono ottime anche le birre prodotte per il locale dall’eccellente Birrificio di Legnano.
Un plauso anche alla cura del verde, con alberi di notevole impatto estetico.
Nel complesso un’esperienza gradevole, anche per chi non subisce il fascino del trendy.
Info: https://www.goodguyslegnano.it/