I vini archeologici di Gualandi: l’autentica Toscana da bere
Ci sono varie tipologie di vignaiolo, come il vignaiolo-scrittore, il vignaiolo-filosofo, il vignaiolo-manager, vignaiolo-nobile decaduto, il vignaiolo-contestatore, il vignaiolo-naturale e decine di altre definizioni ancora, ma di vignaiolo-archeologo ne conosciamo soltanto uno, il toscano Guido Gualandi.
Uno che ha fatto dell’archeologia il proprio mestiere ma che non ha resistito al richiamo della cultura del vino. Ha così deciso di mettere insieme i due mondi, operazione più che logica, vista la natura ancestrale del nettare di Bacco.
Lo ha fatto senza concessioni alle mode che usano certi aspetti delle antiche produzioni enoiche soltanto per fare colpo su media e consumatori: Gualandi fa vera archeologia del vino, applicandola nei modi di produzione ma soprattutto con il recupero dei remoti vitigni autoctoni toscani.
Come il monumentale Foglia Tonda, vitigno che era quasi scomparso e che invece adesso risplende nelle bottiglie di Gualandi. Ha la potenza della Storia, con sentori pieni e definitivi di quanto possa offrire un bosco che immaginiamo abitato da figure mitologiche. Una succosità austera che tuttavia non respinge il bevitore meno avvezzo, regalandogli un’esperienza unica.
Sempre in una selva ideale va in scena La Danza del Fauno, nome evocativo che Gualandi ha voluto dare al vino da selvaggio Colorino in purezza, vitigno colpevolmente snobbato fino a oggi da certi beceri mercanti di vinelli toscani che pensano soltanto al mercato.
Il Colorino invece è oggettivamente il più grande vino di tutta la Toscana, nessuno escluso: non esiste altro vitigno in grado di regalare complessità e godimento come questo concentrato di terre ribollenti reso succulento da ricordi di spezie orientali.
Gualandi non si tira indietro con il Sangiovese, prodotto però sempre con la sua attenzione verso gli aspetti più sinceri di questo diffusissimo vitigno. Il suo Gualandus ha grande acidità e un frutto succoso. Una carezza vellutata al palato.
Non poteva mancare il Chianti: il Montebetti ha un bouquet trionfale, un serra fiorita irrorata di spezie. Il sorso rivela marasche, accompagnate da una buona acidità. Un vino sontuoso con una serenità contadina.
Un Chianti diverso, fin dalla sua composizione, essendo “fatto con uve Sangiovese (90%), Colorino (5%), Foglia Tonda (5%) e piccola quantità di trebbiano: i cloni di Sangiovese, Colorino e Trebbiano sono per la maggior parte antichi, inclusi quelli ripiantati in questi anni (Abrusco e Foglia Tonda)”.
Il Gualandresco è il modo in cui Guido dimostra come sappia fare vino in ogni modo, sfidando e battendo gli enologi sul loro campo, quello dell’assemblaggio tra uve eterogenee. Vino di puro e massimo godimento.
Nelle note si legge che, in riferimento all’etichetta, “la forma della croce proviene dalle armature Pisane, nel XIII secolo patria del cavaliere Gualandi: attraverso la croce si può vedere un dipinto di battaglia di Guido Gualandi; il cielo stellato ricorda invece quello dell’affresco romano (IV secolo) nel mausoleo di Gallia Placidia a Ravenna”. Si svela così la passione per l’arte figurativa di Gualandi, altro elemento della sua sensibilità.
Ancora un virtuosismo con il Vinum Bianco di Toscana I.G.T., da uve di Malvasia Lunga (detta del Chianti) e Coda di Cavallo (Trebbiano), fermentato e stagionato in botti di castagno.
Un trionfo di aromi e complessità, anche culturali: “si è cercato di riprodurre un vino antico recuperando ricette di epoca romana (Columella, Plinio) e anche grazie a uno studio di immagini di lavori di vinificazione e vendemmia di origine etrusco romana”.
Per completare il quadro della personalità di Guido, si aggiunga che nel suo Podere Gualandi di Poppiano, frazione di Montespertoli (Firenze), grande attenzione viene rivolta all’ambiente, evitando erbicidi o pesticidi e usando fertilizzanti di origine naturale, per dare vita a vini preferibilmente non chiarificati e non filtrati.
Ci siamo fatti raccontare questo mondo di grandissimo fascino proprio da Guigo Gualandi.
Info: www.guidogualandi.com