I vini autoctoni di Terre di Plovia, progetto di Albino Armani per le viticolture dell’Alto Friuli
C’è da commuoversi davanti all’enorme sensibilità che sta dietro al progetto Terre di Plovia che grazie all’intelligenza e alla statura morale del vignaiolo Albino Armani si propone di salvaguardare la tradizione vitivinicola nell’Alta Grave Friulana, a ridosso dell’arco prealpino in cui scorre il fiume Tagliamento in un’area in cui si incontrano le province di Pordenone e Udine, zona di preziosa biodiversità ampelografica capace di vantare antichi autoctoni fragili quanto preziosi ma soprattutto meritevoli di recupero, tutela e valorizzazione.
Si tratta di una missione che Albino Armani “porta avanti da decenni in Trentino nella valle dell’Adige e che ora introduce nell’alto Friuli, a Valeriano”, frazione del comune di Pinzano al Tagliamento in provincia di Pordenone, in quelle Terre di Plovia nelle quali “le montagne e i boschi che proteggono da nord i vigneti, garantiscono brezze costanti e decise escursioni termiche, preziose in vendemmia”.
Parliamo di un luogo dalla storia nobilissima dato che “la dinastia feudale dei Plovia in epoca medievale si insediò tra le ubertose colline tra Vacile di Spilimbergo, Usago e Valeriano in provincia di Pordenone, dove oggi sorgono i vigneti di Terre di Plovia: anticamente a Plovia era situata una villa, circondata da una piazza e da una cortina a difesa delle sue Terre; qui hanno avuto dimora le generazioni di feudatari che in circa 80 anni hanno custodito il manso, come è testimoniato negli atti degli Ailini di Maniago”.
Ecco perché il logo Terre di Plovia “è una rielaborazione fedele dell’antico stemma araldico degli Armanni, il cui capostipite è la figura storica e leggendaria di Ermanno da Pinzano: libero feudatario, crociato e probabilmente templare, che attorno all’anno 1130 d.C. istituì la sua signoria a Pinzano al Tagliamento, nella fascia pedemontana dell’Alto Friuli”…
… “la mezzaluna montante, ovvero rivolta verso l’alto, rappresentata sull’etichetta veniva utilizzata come buon auspicio negli stemmi degli antichi casati: nel periodo delle Crociate veniva associata all’Oriente e veniva utilizzata spesso nei sigilli e nelle monete”.
In tale prestigioso contesto delle Terre di Plovia “si compie un cronosisma che mette in relazione diretta passato e futuro: un territorio enologicamente poco esplorato, fortemente radicato nell’identità selvaggia dell’Alto Friuli, addomesticato dall’expertise nella viticoltura sperimentale che da sempre contraddistingue Albino Armani”.
Tutto parte dal pensiero di Albino Armani secondo il quale a rendere memorabile un vino è la sua “capacità di essere identitario, di comunicare un luogo le cui caratteristiche non sono replicabili altrove”, perché “l’identità più vera di un luogo non può che essere testimoniata dalle sue varietà autoctone che vanno perciò recuperate, tutelate, valorizzate”…
… per questo Terre di Plovia è “un’avventura enologica collettiva con l’intento di salvaguardare le viticolture antiche, a tutela delle culture pedemontane dell’Alto Friuli, un eden simultaneo, un mondo ideale dove passato e futuro dell’enologia sperimentale si fondono in un prodotto inedito, figlio delle proprie radici che affondano nei secoli”.
Quindi “così come Ermanno da Pinzano mille anni fa ha custodito queste terre, allo stesso modo oggi Albino Armani custodisce e valorizza il patrimonio territoriale, ponendosi fra gli esponenti di riferimento per l’enocultura conservativa e sperimentale in Friuli”.
Tra le priorità del progetto “c’è la tutela della biodiversità intravarietale: per mantenere l’origine delle varietà autoctone, le viti del progetto Terre di Plovia vengono propagate attraverso la selezione massale, ovvero selezionando annualmente le marze dalle migliori viti, le cui gemme produrranno le nuove barbatelle da piantare l’anno successivo, per regalare ai vigneti una rinnovata resilienza”.
I vitigni autoctoni riportati a nuovo splendore sono Sciaglin, Ucelut e Piculit Neri, coltivati “in un territorio pedemontano ancora integro dal punto di vista ambientale, poiché isolato e poco antropizzato”.
Tali vitigni autoctoni recuperati dal progetto Terre di Plovia “affondano le loro radici, oggi come ieri, nel terreno millenario composto da limi, sabbie e argille”.
Un territorio incidentalmente “dall’identità enologica ed enogastronomica originaria, dove la fedeltà alle materie prime endemiche si fonde con l’orgoglio nel valorizzarle”.
Per tali ragioni “ogni vino Terre di Plovia è un portale verso un mondo che sembrava estinto e riemerge grazie alla sperimentazione enologica dal pensiero di Albino Armani 1607, da sempre impegnato a tutelare l’identità dei vitigni autoctoni ed esaltarne la migliore espressione all’interno di blend inediti dal profilo sensoriale evoluto; assaporando i vini di Terre di Plovia si ha la sensazione di accedere a un mondo passato, rievocato dalle tecniche di viticoltura rispettose delle peculiarità degli autoctoni”.
Vini per adesso divisi in due referenze, come due sono i “simboli che compongono lo stemma araldico di Ermanno da Pinzano, il triangolo e la mezzaluna, identità visive complementari che veicolano un concetto bifronte: un territorio e un popolo, la natura e l’uomo che oggi come ieri se ne prende cura, il fiume e il pellegrino che lo attraversa, il territorio sfidante, aspro incontaminato e l’indole dei casati – dai Plovia ai da Pinzano, da Ermanno agli Armani – in perenne ricerca, che nei secoli si sono impegnati a comprenderlo, coltivarlo e difenderlo”.
Due unità “che si scindono per diventare indipendenti sull’etichetta dei due vini d’esordio, Flum e Piligrin, due serrature metaforiche attraverso le quali passa la chiave interpretativa di questo progetto enologico”.
Da sottolineare che il bastone del pellegrino “simboleggia il passato di questa terra come luogo di passaggio di uomini in perenne ricerca”.
Il triangolo rovesciato con incisione di onde invece “nella simbologia alchemica medievale rappresentava l’acqua che scorre: memento del passare del tempo, eco di un passato remoto e di un futuro anteriore legati indissolubilmente al territorio dell’Alto Friuli”.
Piligrin in friulano indica proprio il pellegrino, ovvero “colui che in tempi antichi percorreva il Cammino del Tagliamento per raggiungere Venezia e quindi la Terra Santa, transitando per le Terre di Plovia”.
Fonte massima di ispirazione è il nome “di Pelegrinus de Plovia, antico proprietario del manso feudale in queste terre che furono per molti secoli meta di pellegrinaggio verso la Terra Santa, lungo il cammino del Tagliamento”.
Tale nettare nasce da uno “slancio verso la ricerca in campo enologico” grazie al quale è stato “riscoperto il vitigno autoctono Piculit Neri in accordo con il Merlot storicamente coltivato nell’Alta Grave Friulana”.
Il bouquet è un trionfo di spezie immerse in un’atmosfera olfattiva silvestre, mentre al palato giungono gelso nero, ribes rosso, radicchio variegato, cioccolato bianco e karkadè.
Tannico, corposo, dotato di una buona acidità, conquista con la prevalenza di un’irresistibile impronta zuccherina.
Flum in friulano indica il fiume e in questo caso ricorda “la potenza del grande re dei fiumi alpini, il Tagliamento che scorre nella zona pedemontana delle Alpi Carniche e sbocca nella pianura friulana”.
Un prodotto derivato dalla riscoperta della varietà autoctona Sciaglin.
I profumi sono erbacei e mantengono l’afflato selvatico, mentre in bocca si riconoscono salvia, limone, nespola e yuzu.
Manifesta intensa acidità impreziosita da una leggera screziatura amaricante, con l’aggiunta di un retrogusto aspro agrumato.
Beva notevolmente golosa.
Visto che questo meraviglioso progetto onora la parte migliore del nostro Paese, non possiamo esimerci dal chiedere un approfondimento alla mente generosa e capace di chi l’ha reso possibile, Albino Armani, intervistato nel video seguente.
Info: https://www.terrediplovia.it/