I vini del biellese di Giuseppe Filippo Barni, l’unicità del Mesolone e altre opere d’arte vinicole
Pochi prodotti ma praticamente unici, frutto di decenni di lavoro tesi a mantenere tradizioni tanto antiche quanto a rischio d’oblio per le difficoltà della loro lavorazione, ma capaci di produrre vini esaltanti come pochi al mondo: è la missione di Giuseppe Filippo Barni, uno che non ha tempo da perdere con le tecnologie (niente sito né social) perché lo impiega tutto nei vigneti e nelle lavorazioni di pregiate uve che esegue nella sua sede di Brusnengo, in provincia di Biella.
C’è venuto appositamente qui negli anni ’90, dopo una prima esperienza a Gattinara, con il preciso scopo “di ridare vita ad uno dei cru epici del nord Piemonte il Mesolone” come spiega il sito di Proposta Vini che amorevolmente ne distribuisce le fantastiche referenze, aggiungendo che “sulle colline di Brusnengo sorge questo vigneto già citato da Soldati e da Veronelli: viti secolari coltivate di Croatina e Uva Rara, coltivate a Maggiorina”.
Un luogo non a caso diventato particolarmente rinomato, poiché dispone di un microclima perfetto per assecondare la maturazione di uve a loro volta ben esposte e sottratte alla virulenza dei venti, ponendo così i vigneti in una posizione perfetta per esprimersi al massimo.
Barni non crede nel mito del biologico formale e nelle sue certificazioni, ma pur in mancanza di timbri burocratici in realtà applica un severissimo rispetto della terra che vive e lavora, rinunciando a ogni intervento della chimica e adottando invece antichi criteri tradizionali che hanno come conseguenza una minore resa ma un innalzamento clamoroso della qualità, mantenendo questa propensione alla naturalezza nelle lavorazioni in cantina, dove evita ogni scorciatoia enologica puntando alla pura espressione della materia prima.
La sensibilità di Barni è tale da esprimersi anche in forme d’arte, come i suoi dipinti, nel tempo usati pure per le etichette dei vini.
Tre le referenze, una più importante dell’altra, a partire da una vera leggenda del vino italiano, come certificato dall’amore nei suoi confronti messo per iscritto da Luigi Veronelli diversi lustri fa: si tratta del secolare Mesolone di antica tradizione biellese, prodotto dall’800 sulla collina della Meisola, piccola conca nel territorio di Brusnengo da cui prende il nome.
E’ ottenuto “dalla vinificazione delle uve rosse tipiche della zona tra cui spicca la Croatina con piccole aggiunte di Uva Rara e Vespolina: viene affinato per circa due anni in botti di rovere”.
Meraviglioso il suo bouquet che mette insieme composta di lampone e fogliame fresco, mentre in bocca sviluppa mora di rovo, barbabietola, Erba di san Pietro, fragola, mirtillo, fino a echi di carruba.
Dalla beva strepitosa, incanta con un sorso tenue ma elegante, ricco di acidità, dalla lieve impronta zuccherina molto suadente.
Grazie alla sua collocazione geografica, la cantina ricopre pure il ruolo di rappresentante del nobile Bramaterra, tratto da Nebbiolo coltivato nella vigna Belvedere, sempre sulle colline di Brusnengo, non senza difficoltà, vista la posizione dei vigneti in coincidenza con terreni ripidi e sassosi sostenuti da caratteristici muretti a secco in pietra.
Al corredo olfattivo di sottobosco arricchito di spezie seguono al palato sensazioni di amarena sotto spirito, prugna, pepe del Sichuan e dei curiosi richiami di agrumi canditi.
Vino che non nasconde la sua monumentalità.
Una commovente ode alla fatica agricola e alla nobiltà bucolica è il Cantagal, sconvolgente vino dolce frutto di immensa dedizione. Necessita infatti del lavoro congiunto e manuale di un gruppo di circa venti persone che a settembre inoltrato raccoglie le uve, le porta al terzo piano di un edificio rurale e le aggancia a un sistema di stenditoi con un’asola ogni dieci centimetri, grappolo per grappolo. Un lavoro incommensurabile se si pensa che quell’attento gesto manuale di legare ogni singolo raspo viene ripetuto per i circa trentamila grappoli di Erbaluce che vanno a occupare i 150 metri di spazio disponibili, dove attenderanno per tre mesi di essere attaccati dalla muffa nobile della Botrytis cinerea affinché concentrino gli zuccheri degli acini e con essi tutto il corredo organolettico.
L’esito è un miracolo annunciato da uno strabiliante color oro dai richiami bizantini, seguito da profumi di agrumi e miele di Robinia, fino a esprimere sapori di melata, nocciola, arachide tostata, albicocca, fico essiccato, cotognata e caramella di carruba.
Di complessità infinita quanto la sua armonia che si estende nel lunghissimo finale zuccherino, entusiasmante.
Vino da godere a occhi chiusi, con espressione sognante.
A riportarci la densità di quaranta anni di lavoro sono le parole di Giuseppe Filippo Barni, pronunciate davanti alla nostra telecamera: le possiamo ascoltare accedendo al video seguente.
Info e Distribuzione: https://www.propostavini.com/produttori/produttore/barni/