Il cotechino: da necessità a prelibatezza culinaria
L’uomo ha da sempre cercato di vincere le avversità naturali in moltissimi modi, imparando a utilizzare le risorse offerte dall’ambiente esterno. Le tecniche di conservazione sono state scoperte per sopperire a questa importante necessità perché gli consentivano di combattere e vincere le avversità naturali e climatiche, assicurandosi scorte alimentari anche nei periodi in cui non erano disponibili.
Il cotechino rientra in questa categoria. Se ci pensiamo bene infatti, l’idea di mettere carne di maiale e altre parti in budelli, è sempre stata una soluzione che ha assolto bene questa funzione.
Le origini del cotechino sono antiche ma incerte, riconducibili, secondo alcune leggende, a periodi di fame e guerre che attanagliarono spesso il popolo emiliano. Indubbiamente è un prodotto di matrice povera, che veniva preparato in ambito domestico e rurale, differenziandosi così da famiglia a famiglia a seconda della modalità di preparazione e delle parti del maiale utilizzate.
È comunque composto dalle parti del muso e della gola del maiale con aggiunta di cotenne e pezzi magri, oltre a sale grosso, spezie ed aglio, il tutto impastato e insaccato in budello di varia origine. Dopo l’asciugatura di 24 ore in appositi locali, è possibile conservarlo fino ad un mese in ambiente umido.
Incominciò a diffondersi in modo più omogeneo verso la fine del Settecento, soprattutto nel modenese, come sostituto di un insaccato particolare che rese famosa la città nel Cinquecento: la salciccia gialla.
A partire dall’Ottocento il prodotto iniziò ad essere molto apprezzato e diffuso, anche grazie alle prime forme di industrie di lavorazione e trasformazione alimentare.
Visto l’imminente cenone di San Silvestro, se analizzassimo gli aspetti culturali e quelli legati alla tradizione, saremmo quasi inevitabilmente ricondotti al suo abbinamento alle lenticchie. Una tradizione che, come tutti sappiamo, è ben consolidata in ambito italiano, ma ha origini molto antiche e più precisamente dalla pratica presente nell’antica Roma di regalare la “scarsella”, cioè una borsa in cuoio legata alla vita e contenente lenticchie, augurando in questo modo che si sarebbero trasformate in tante monete.
Un piatto straordinario quindi, che nacque per esigenze pratiche (come del resto molte nostre tipicità), e si caricò poi di simbologie culturali e sociali, divenendo così non solo un’autentica fonte di piacere gustativo, ma anche un rito benaugurale che quasi ogni famiglia italiana compie all’ultimo pasto di ogni anno.