Il Prosciutto Cotto: tutto quello che non vi hanno mai detto
In pochi probabilmente lo sapranno, ma in Italia dal 2005 esiste una normativa comunemente chiamata “decreto carni” che regolamenta moltissimi aspetti dei salumi che troviamo ogni giorno al supermercato o dal nostro salumiere di fiducia. Recentemente aggiornata per adattarsi ad alcune direttive europee in materia.
Uno dei protagonisti di questo decreto è senza dubbio l’amatissimo prosciutto cotto che può contare su ben tre categorie di legge: prosciutto cotto, prosciutto cotto scelto e prosciutto cotto di alta qualità.
La prima e più generica denominazione include sostanzialmente tutto, poiché consente di utilizzare tutte le parti della coscia di suino che possono essere poi pressate e incollate fra loro utilizzando la gelatina alimentare: può contenere sostanzialmente qualsiasi tipo di conservante e aromatizzante consentito dalla legge per gli insaccati, inclusi nitriti e nitrati.
Per le successive due categorie invece la legge ci dice che deve essere possibile identificare almeno tre dei quattro muscoli principali della coscia suina e quindi ci avviciniamo a quel concetto di prosciutto che tutti noi abbiamo. Una coscia di maiale lavorata e cotta, non più un insieme di pezzi tenuti insieme da un collante.
Nello scelto sono egualmente ammessi moltissimi additivi che vanno da polifosfati e proteine di soia o del latte fino al glutammato monosodico.
L’alta qualità invece prevede un numero più ristretto di additivi (comunque consentiti) anche se con la revisione 2016 del decreto carni perdiamo la possibilità di sapere se sono stati aggiunti aromi di sintesi oppure naturali.
Un altro fondamentale parametro preso in considerazione dalle categorie di legge è l’UPSD ovvero il tasso di umidità su prodotto sgrassato e deadditivato. In pratica più il prosciutto cotto è umido, cioè più contiene acqua, minore è la qualità del prodotto. La legge stabilisce un UPSD da 81 a 82 per il cotto, da 78,5 a 79,5 per il cotto scelto, da 75,5 a 76,5 per il cotto alta qualità. Parametri estremamente interessanti, ma non sufficienti ad essere un completo indicatore che ci consenta una scelta consapevole su base qualitativa.
Molti prosciutti etichettati Alta Qualità si rivelano poi estremamente carenti da un punto di vista organolettico/gustativo. Come sempre la cosa migliore è conoscere il produttore del salume, i metodi di produzione che utilizza, la provenienza della carne, le tecniche di cottura. Nell’era di internet oggi possiamo davvero farlo con pochissimi click ed evitare cocenti fregature rifilate spesso anche a carissimo prezzo.
Fortunatamente in Italia abbiamo anche prosciutti cotti di altissimo livello, grazie a produttori che si sono impegnati a realizzare con passione e dedizione cotti che hanno poco da invidiare ai colleghi crudi, realizzati a partire da cosce intere di suino pesante italiano del circuito Parma/San Daniele.
Un esempio virtuoso su tutti è il Cotto 60’ della Branchi, vincitore di infiniti premi proprio per la sua qualità e semplicità. Zero aromi aggiunti e salagione in arteria per garantire un gusto uniforme, maiale in purezza!
Nel mondo della pizzeria purtroppo il Cotto è uno dei prodotti più mediocri e contraffatti che esistano. Nella maggioranza dei casi sulla nostra pizza non troveremo nemmeno un generico prosciutto cotto assemblato bensì la ben più economica spalla cotta. Spesso di provenienza tedesca, leader di mercato per questo tipo di prodotti. Motivo per cui viene solitamente infornato per mascherarne gusto, odore e consistenza.
Un malcostume che fa davvero poco onore alla nostra categoria. Un prosciutto cotto di qualità andrebbe sempre messo a crudo, in uscita dal forno. La temperatura della pizza consentirà al grasso di sciogliersi, ma non andrà a rovinare il prodotto, mantenendo intatte tutte le sue caratteristiche.
Info: Pagina Facebook “IGPizza”