Il riscatto del Corinto Nero, vitigno autoctono delle Lipari
Sottovalutato da troppo tempo, relegato a semplice vino da taglio, usato come mero rinforzo di nettari ritenuti più pregiati, ma adesso è giunto il tempo del riscatto per il Corinto Nero: finalmente vinificato in purezza, si annuncia come la next big thing dell’enologia italiana.
Se il nome dichiara nobili e remoti ascendenti nell’antica culla enoica mediterranea, negli ultimi decenni lo abbiamo conosciuto soltanto perché girando le bottiglie della meravigliosa Malvasia della Lipari compariva un 5% (o poco più) di Corinto Nero. Ci aveva sempre incuriosito questo vitigno che non si trovava vinificato da solo al 100%.
Poi, un giorno, abbiamo incrociato una versione in purezza di Caravaglio: ottimo vino di rara potenza che credevamo potesse appagare la curiosità maturata negli anni verso questo bistrattato vitigno.
Quando pensavamo di non avere null’altro da chiedere al Corinto, ecco spuntare invece un’altra sua interpretazione, meno lineare e più scapigliata della prima, in grado di sconvolgere ed emozionare come pochi altri vini al mondo: quella creata dal più grande personaggio mai apparso nella storia del vino siciliano, Salvo Foti. E’ lui a parlarmi con pudico orgoglio del Corinto firmato dai suoi Vigneri per la Tenuta di Castellaro di Lipari, nelle isole Eolie che galleggiano a ridosso della costa tirrenica in provincia di Messina.
Viene il momento di provarlo, un momento indimenticabile: se al naso ti senti avvinghiare da profumi materici che ti fanno sentire in pieno bosco al tempo della maturazione dei frutti, è quando arriva in bocca a scatenarsi con un’intensità inaudita. Un vino selvaggio, irruento, scalpitante, il quale monta trionfante con lo stesso impeto di un crescendo di Wagner, facendo accapponare la pelle per l’emozione. A ogni sorso, si rinnova l’incanto. Inutile cercare riferimenti in altri vini e chi dovesse trovarne, starebbe bluffando: è un vino unico e indefinibile, quindi rinunciate a cercare sentori già noti e godetevelo.
I dati tecnici parlano di uve allevate ad alberello che crescono in un clima “temperato caldo mediterraneo, con importanti escursioni termiche tra giorno e notte” su terreno “sabbioso vulcanico, profondo, fertile e ricco in microelementi”, quindi di un affinamento che passa da un anno in botti da 500 litri e poi da otto mesi in bottiglia.
I dati emotivi parlano invece di uno dei vini che bisogna assolutamente provare nella vita, se si vuole comprendere il significato della parola felicità.
Info: www.tenutadicastellaro.it