Il viaggio interattivo del Museo Lavazza a Torino, miscela di cultura del caffè e stupore sensoriale
L’epistemologia mutata alchemicamente da assioma razionale a tumulto sensoriale, di converso l’esotica ambrosia del risveglio che da input per l’eccitazione delle sinapsi si eleva a riflessione panica sulla biodiversità antropica, mentre in mezzo il lemma cultura in un bagno di umiltà torna alla radice semantica latina del verbo còlere per ricordare che dalla coltivazione della terra tutto nasce ed evolve, anche ogni istanza intellettuale: il Museo Lavazza a Torino è l’ammirevole materializzazione di un enorme saggio filosofico, in cui l’apparato di idee funge da solida base per reggere una dinamica osmosi di divulgazione, celebrazione e prospettiva.
Già raggiungerne la sede è un’illuminazione, poiché la struttura fisica del museo è inserita in quel monumentale capolavoro di ingegneria creativa quanto responsabile rappresentato dalla Nuvola Lavazza, 30 mila metri quadrati che il genio dell’architetto Cino Zucchi è riuscito a trasferire dalla mestizia dell’abbandono al trionfo del significato, metabolizzando l’incarnato murario ottocentesco della dismessa centrale elettrica di via Bologna per sublimarlo in uno stupendo spazio polifunzionale capace di farsi narrazione di valori aziendali ma anche simbolo aggiunto di un’intera città.
Nel suo essere sineddoche della Nuvola, quello della Lavazza si inserisce così nel pregiato novero dei musei d’impresa che hanno investito progettualmente non soltanto per apportare meraviglia alla propria sede ma anche per contribuire scientemente alla riqualificazione di un ambito urbano, riportando bellezza e funzionalità nei propri quartieri grazie alla sensibilità di archistar dalle visioni ampie: basti citare due casi del milanese, come l’omaggio diffuso a Depero operato da Mario Botta per la Galleria Campari a Sesto San Giovanni e lo squarcio cromatico nella periferia industriale con cui Paolo Balzanelli e Valerio Cometti hanno interpretato l’edificio del MUMAC di Binasco.
L’ode architettonica goduta a cielo aperto prosegue all’interno in forma di elegia della lievità concentrica in cui lo sguardo ingaggia un divertito e quasi ipnotico inseguimento delle continue fughe delle linee, ora tese a curvarsi sull’osservatore come se volessero fargli avvertire il peso aereo di un heritage aziendale…
… ora impegnate invece a evocare metaforicamente la sinuosità irregolare e avviluppante del vapore di una fumante tazza di caffè.
E’ tempo di conquistare l’ingresso, non senza incontrare altri bagliori cognitivi, questa volta tesi spudoratamente a toccare le corde dell’emozione, con la piena “cooperazione interpretativa” (Eco dixit) del visitatore che si lascia ghermire da due irresistibili vellicazioni nostalgiche, quali la presenza di un mezzo di trasporto che ricorda l’abbrivio dell’epopea del boom economico e quasi ammonisce sul sacrificio romantico alla base di un’impresa di successo, se essa è storica…
… e la bella mostra di sé delle icone Caballero e Carmencita, indimenticabili protagonisti dei Carosello Rai che pubblicizzavano Lavazza già nel 1965, icone del successo commerciale raggiunto ma ancor di più testimonial della raggiunta familiarità del marchio, capace di diventare scansione del quotidiano per milioni di famiglie.
Nel dare il benvenuto il Museo Lavazza sottolinea che “le opere non sono solo da vedere, ma anche da toccare, provare e sperimentare attraverso suoni, immagini e aromi che coinvolgono tutti i sensi in un itinerario imprevedibile, un percorso multisensoriale e interattivo che ripercorre la storia di un’azienda e della filiera del caffè attraverso cinque aree tematiche”.
Entrati nello spazio espositivo infatti inizia il dialogo con pannelli in cui parole che rimangono semplici anche quando descrivono la complessità si intrecciano con fotografie storiche e immagini documentali tramite un’infografica ecumenica capace di parlare a tutti con la medesima efficacia, partendo da un perfetto incipit di Alessandro Baricco secondo il quale “i musei sono mappe: le uniche che abbiamo per risalire il labirinto della memoria”, parte di un testo che per la grazia della prosa ricorda le dichiarazioni d’amore verso i piccoli musei vergate da Orhan Pamuk.
Si prosegue con le geometrie cromatiche che incorniciano quale impalpabile “aere perennius” oraziano il ritratto dal sapore dagherrotipico del fondatore…
… mentre vettori simmetrici spingono lungo i ferrei binari della cronologia la timeline essenziale della cosmogonia del brand…
… passando per vibranti gigantografie che cristallizzano un’era…
… realistiche riproduzioni di pattern che arredavano negozi d’epoca…
… introducendo quindi ibridazioni con l’illuminotecnica al massimo della sua eleganza…
… e linguaggi digitali privi di esibizioni muscolari…
… senza dimenticare l’efficacia nell’orientamento dell’osservatore della classicità stentorea di una mappa…
… e la seduzione immaginifica dello scatto artistico…
… fino a una cascata di video-arte che adagia i suoi pixel su uno schermo di tessuto che si lascia scivolare addosso fili di luce, incantando con la contradictio in terminis di volere evocare percezioni da land art.
E’ il contesto laterale che lascia il centro dell’attenzione a eccellenti ricostruzioni tridimensionali che fugano il rischio di scivolare nell’apodittico grazie alla raffinatezza del tocco e alla densità dello storytelling di cui sono portatori, irretendo il visitatore con la vetrinistica d’antan…
… la secolare banconistica liberty…
… l’invito alla tangibilità esperienziale della manipolazione…
… l’ineluttabilità del reperto prezioso e irripetibile posto sotto teca…
… senza disdegnare l’insostituibile effetto verità di mockup e modelli iper-realistici…
… fino al gran tocco di classe di un display vintage che aggiorna in tempo reale il consumo di caffè Lavazza nel mondo…
… e alla commozione assicurata dal meraviglioso autobar itinerante…
… che (tras)portava l’atmosfera del bar inteso come ambiente laddove magari non era presente.
Questi i punti forti dell’allestimento, cardini che sorreggono la scansione quasi letteraria dell’allestimento il cui percorso “inizia da Casa Lavazza, uno spazio intimo e familiare, dove si ripercorrono le tappe principali che hanno segnato gli oltre 120 anni di storia dell’azienda”, ripercorrendo “le tappe fondamentali della vita di Luigi Lavazza e delle tre generazioni a seguire”, in cui si rende subito utile la Lavazza Cup, tazzina di caffè interattiva in guisa di guida multimediale personalizzabile che consente l’accesso ad approfondimenti non immediatamente visibili.
La Fabbrica è invece “lo spazio dedicato ai processi della produzione del caffè: dalla piantagione, alla raccolta del caffè, fino all’arrivo a Torino dove i chicchi vengono tostati e macinati ad arte”, illustrando questo lungo viaggio denso di connotati socio-antropologici e gli “elementi necessari per un lavoro di qualità e sostenibile”.
Si passa quindi per La Piazza in cui si “celebra il rito del caffè in un ambiente aperto e conviviale” dove “i rituali, la visione e le icone di Lavazza si incontrano e dialogano armoniosamente tra loro”, in un sentiero che conduce “dalla prima macchina per l’espresso a quella nello spazio”.
Eccoci così all’Atelier, l’angolo “dove tutto converge” tra design, storia e avanguardia concentrati in una sorta di set cinematografico che rappresenta forse la sezione maggiormente ludica, inclusiva verso gli adulti che vi possono “ritrovare alcuni personaggi iconici dell’infanzia, i mitici Caballero e Carmencita, protagonisti degli indimenticabili anni di Carosello della tivù italiana e ammirare la storia dei calendari Lavazza realizzati in collaborazione coi più celebri fotografi mondiali”.
Non a caso qui “sono presenti 4 postazioni per scattare foto ricordo con le icone della storia creativa dell’azienda”, usando perfino pezzi di scenografia di celebri spot televisivi.
Ancora un passo è si è dentro L’Universo con “proiezioni a 360° gradi in ambientazioni affini al mondo del caffè per essere ovunque, tra il fantastico e il realistico: in una piantagione, in piazza seduti al tavolino di un bar o immersi in un mare di caffè”.
Chiusura in chiave experience in un’area degustazione in stile bar moderno con understatement tipico da specialty coffee, dove assaporare con tanto di spiegazione le creazioni provenienti “dalla caffetteria classica con miscele monorigini ai Coffetail Lavazza” e le ricette esclusive di Coffee Design, fantasia organolettica sgorgata “dalla collaborazione del Training Center Lavazza con i grandi chef internazionali”.
Lavazza però riserva sorprese anche all’esterno, attraverso un sito archeologico rinvenuto durante i lavori di scavo della Nuvola nello scorso decennio, comprendente “i resti di un’antica Basilica Paleocristiana collocabile tra la seconda metà del IV-V secolo d.C., un’area archeologica di circa 1.600 metri quadrati: la chiesa, a navata unica, potrebbe essere quella dedicata a San Secondo martire, le cui reliquie furono spostate all’interno delle mura della città durante l’invasione saracena, all’inizio del X sec”.
Lavazza in questo modo rappresenta la summa assoluta delle istanze dell’intero mondo dei musei d’impresa e raggiunge inequivocabilmente gli obiettivi programmatici che esso si è dato nelle sue forme associative, ottenendo pieno riconoscimento della propria attività nel settore culturale tout court e quindi superando i confini angusti che nel passato relegavano tali esposizioni nella nicchia della cultura materiale o nel limbo del mero saper fare.
Oggi la “c” maiuscola della Cultura viene unanimemente riconosciuta al Museo Lavazza, anche grazie al rigore della sua attività didattica collettiva cui si aggiunge una più specifica pedagogia legata a laboratori ed eventi, facendo scuola nella gestione dei servizi aggiuntivi museali e manifestando attenzioni verso la collettività che vanno ben al di là della pur rilevante responsabilità sociale d’impresa.
Un successo di rilevanza siderale nell’asfittico panorama di una cultura italiana ingessata tra immobilismo capzioso e accademismo distratto, il cui merito va reso anche alla brillantissima azione del direttore del museo Marco Amato che ha messo a frutto elevate competenze e apertura mentale partite da una Laurea in Comunicazione Istituzionale e d’Impresa per maturare in attività manageriali composite dallo sport di primissimo livello (vedi Milan AC) a eventi internazionali (vedi Expo).
Occupandosi pure della Corporate Communication del Gruppo Lavazza e degli Eventi dello spazio Nuvola, Amato ha avuto in mano uno scacchiere di potenzialità che ha concretizzato in un turbine di iniziative tali da rendere il Museo Lavazza protagonista del fermento intellettuale torinese e di assumere anche rilevanza nazionale, incidendo nell’opinione pubblica in particolare grazie alle azioni congiunte svolte con l’associazione Museimpresa che sotto la direzione di Antonio Calabrò sta conoscendo nuovo e rafforzato slancio. Un esempio su tutti, la recente partecipazione di Lavazza e Museimpresa al Salone Internazionale del Libro di Torino come partner del Caffè Letterario, dove hanno curato “un palinsesto ricco di interviste con illustri ospiti, talk ed eventi dedicati alla cultura d’impresa e al valore del patrimonio storico delle aziende italiane” (fonte ANSA).
Tali innumerevoli azioni del museo sono benedette da un forte riscontro mediatico alimentato dalla professionalità di un ottimo ufficio stampa capace di portare in azienda il valore aggiunto di un AVE (Advertising Value Equivalency) sicuramente di rilievo, segno del formidabile stato di salute dell’intero sistema museale e culturale di Lavazza.
Info: https://www.lavazza.it/it/museo-lavazza.html