Il vino di Brescia: l’Invernenga
Sì, avete letto bene, “il vino”: uno solo. Non perché gli altri vini territoriali non valgano, anzi, il bresciano offre varie delizie, dalle bollicine della Franciacorta al sottovalutato ma splendido Groppello del Garda.
Ma qui parliamo di un vino bresciano nel senso vero e proprio, perché si tratta dell’unico vitigno autoctono di Brescia, l’Invernenga, così intimamente legato alla città da crescere addirittura dentro il perimetro urbano.
Documentato con certezza fin dai primi dell’800 ma forse presente già in epoca romana, così chiamato perché era possibile conservarne l’uva e consumarla nella stagione invernale, i locali garantiscono che questo vitigno a bacca bianca esiste soltanto in un fazzoletto di terra che cinge il castello di Brescia, altri si spingono a sostenere della sua presenza anche intorno alla città, ma poco importa: è un’uva identitaria di una comunità come poche al mondo.
E’ certa invece la limitatissima quantità della produzione, anche perché le sue vigne sono arrivate a un passo dall’essere del tutto abbandonate.
Una produzione talmente limitata che i Masserdotti ne avevano appena finito le ultime bottiglie, quando siamo arrivati. Minacciando di darci fuoco se non ce ne avesse fatto assaggiare almeno un goccio, il buon Michele si è attaccato al telefono e ha scomodato chiunque per trovarne ancora qualche avanzo di cantina.
In men che non si dica, abbiamo visto arrivare trafelata una bella signora in bicicletta, con un sorriso intatto per nulla offuscato dalla sgambata e un cesto di vimini contenente due bottiglie per noi preziose più dell’oro: i due vini realizzati dal Progetto Urbano dell’Associazione Brescia per Passione, uno dei quali è proprio l’agognata Invernenga!
La signora in bicicletta? E’ semplicemente Laura Castelletti, ovvero, il vicesindaco di Brescia (sic!), nonché assessore alla Cultura, Creatività e Innovazione. Non l’abbiamo lasciata andare via prima di raccontarci cosa sia il Progetto Urbano che ha condotto alla produzione di questi vini.
Alle parole del vicesindaco Castelletti, aggiungiamo il racconto di chi questo vino lo fa: “salite in Castello, raggiungete “Torre dei Francesi” e arrivati alla ringhiera, quello che vi trovate sotto il naso sono i sopra citati quattro ettari, mentre alzando il testone vi trovate dinanzi a un piccolo anfiteatro vitato alla base del quale c’è quell’ettaro e mezzo che Andrea Arici io e Nico Danesi abbiamo scelto di prendere in gestione dopo l’esperienza che dal 2004 ci vede vinificare l’Invernenga, un vitigno esclusivamente bresciano a bacca bianca. Il vigneto è composto per il 65% da Invernenga di cui un 70% con piante molto vecchie (alcune davvero vecchissime) allevate a pergola, mentre il restante 30% a cordone speronato di circa dieci anni in prevalenza ancora Invernenga e il restante Chardonnay. Il resto è ancora una vecchia pergola a nebbiolo, marzemino, barbera e schiava, tipiche varietà della fascia prealpina; da questo pezzo di terra nel 2011 abbiamo ricavato poco meno di 6mila bottiglie suddivise nelle due tipologie e dopo un anno, il vino è pronto per essere venduto. Abbiamo realizzato due vini a partecipazione condivisa con l’associazione “Brescia per Passione” la stessa che si occupa con noi della vendemmia e la stessa che con questi vini (con una parte del ricavato) autofinanzierà le proprie attività a favore della città di Brescia e non solo. Le etichette sono state disegnate da Filippo Minelli (uno dei più importanti artisti contemporanei in attività) e dell’ormai moglie Marta Comini e sono bellissime!”.
(Info: www.terrauomocielo.net)
Eccoci infine alla prova. Il Ronco di Collefiorito, grazie all’Invernenga, al palato è talmente originale nel suo mischiare freschezza, acidità e sentori floreali, da rendere unico il bouquet e gradevolissimo il gusto. Di buona struttura, può reggere tutto il pasto, affermando ancora una volta che quando il vino si sposa al cibo del territorio, salta completamente la convenzione degli abbinamenti-tipo bianco col pesce e carne col rosso.
Meno esaltante il blend del rosso Colle del Cidneo, il quale comunque ha la tipica sincerità del vino contadino. Il nome del vino è un omaggio proprio a quel Colle Cidneo lungo il cui versante settentrionale si sviluppa il vigneto urbano di cui abbiamo parlato, certificato come il più grande d’Europa.
Da qualche parte l’Invernenga viene definito un vino “introvabile”: lo sarà per tutti, ma non per l’Osteria al Bianchi! Qualunque desiderio di brescianità enogastronomica voi abbiate, basta chiedere a loro e lo esaudiranno!
Info: www.osteriaalbianchi.it