Il vino di Bova (RC), da provare alla Degusteria I Platia
Bova è una delle località più culturalmente incontaminate d’Italia: lo dimostra l’avere preservato la sua lingua ellenofona con radici millenarie, ma anche una gastronomia dalla forte identità.
Non è da meno il vino. Infatti nel circondario di questo borgo in provincia di Reggio Calabria si coltivano rigorosamente vitigni autoctoni, come Nerello Calabrese, Greco Bianco e Guardavalle.
Merito del lavoro della Cantina di Bova (Pagina Facebook) che si trova all’interno del Parco nazionale dell’Aspromonte, “nata allo scopo di produrre vini tipici della zona utilizzando i vitigni autoctoni di pregio presenti nell’areale” e nel contempo per “dare un impulso alla salvaguardia del territorio affinché si riprendano le coltivazioni dei vecchi vigneti in stato di abbandono”.
Per l’80% questa produzione può essere considerata “come viticoltura di montagna”, poiché le vigne “sono infatti situate a partire da un’ altezza s.l.m. di 700 m. e sistemate a terrazze”.
Il capolavoro della produzione è Ambeli, un Nerello Calabrese in purezza affinato in bottiglia: il non aver fatto legno preserva tutte le note varietali del vitigno, offrendo sentori limpidi e freschezza fruttata.
La versione affinata in legno è lo Scerò, valido per chi ama i vini muscolari, irrobustiti dalla lunga maturazione nelle botti.
Vira verso la delicatezza invece il Marasà, rosato spogliato dai tannini che si arricchisce però di sensazioni floreali.
Tutto da scoprire il Fengari, perché assembla due varietà autoctone, il Greco Bianco e soprattutto il Guardavalle, tipico del versante ionico della Calabria. Un vino bianco dalle screziature erbacee non consuete unite a una speziatura che lo rende complesso e intrigante.
Tecnicamente questi vini rientrerebbero nella IGT Palizzi, ma in realtà ben si differenziano da una delle denominazioni di origine più confusionarie d’Italia.
Ci si chiede che senso possa avere sul piano della cultura enologica creare una denominazione che mette insieme la bellezza di ben trenta diverse uve! Avete capito bene, l’incredibile numero di trenta vitigni, tutti nella stessa denominazione, come riportato da Quattrocalici.it: come dire che va bene tutto, purché si venda il vino. Perché qui il concetto di legame storico con il territorio è completamente ignorato. Infatti quale rapporto possono avere vitigni come Malvasia nera di Brindisi, Semillon, Traminer aromatico e Trebbiano toscano con la storia ancestrale della Calabria ionica? Nulla se non lo scopo, legittimo, di fare commercio di vino.
E’ vero che perfino su Wikipedia si può leggere riguardo alle IGT che “generalmente in questa categoria rientrano i vini prodotti in territori molto estesi (tipicamente una regione ma anche zone provinciali molto grandi) secondo un disciplinare molto meno restrittivo e severo dei vini a DOC”, non mancando di sottolineare che “a volte la collocazione di un vino tra gli IGT è dovuta sia a scelte commerciali, sia all’impossibilità, per la loro composizione (vitigni utilizzati o altro aspetto del processo produttivo), di rientrare nei disciplinari delle zone di produzione a DOC e DOCG”.
Nel caso di Palizzi appare comunque esagerato il numero di vitigni alloctoni che rientrano nella denominazione, il cui unico comune denominatore è di essere coltivati in un determinato areale, senza che buona parte dei singoli vitigni abbia una tradizione in quella data zona.
Per questo va apprezzato il rigore dei vignaioli di Bova che mantengono viva la tradizione dei vitigni autoctoni, rinunciando alle tentazioni meramente commerciali, rimanendo invece fedeli alla coltivazioni delle uve che da secoli si trovano nel loro territorio.
Se volete provare questi vini nella loro zona di produzione, il luogo ideale è la Degusteria I Platia che si trova in pieno centro a Bova, visto che il titolare Pietro Casile ci ha informato di fare parte della cooperativa che li produce.
Così come ci ha confidato che, malgrado la fatica di associarlo ad altre attività, tenere aperto questo locale rappresenta un modo per dare un futuro alla prole (e scongiurarne la tentazione dell’emigrazione) ma anche per mantenere acceso un faro sulla produzione enoica della zona.