La Montecchia, secolare cantina del conte Giordano Emo Capodilista con i vini dei Colli Euganei
Una famiglia che arriva in Veneto oltre 1000 anni fa fregiandosi di essere stata al seguito di Carlo Magno e tra le fondatrici della Serenissima Repubblica di Venezia, annoverando nel corso del tempo tra i propri componenti Procuratori di San Marco, Governatori, Duchi di Candia, Ammiragli, fissando inoltre la propria dimora nella Villa Emo Capodilista progettata da Varotari allievo del Veronese nel 1568, il tutto segnato da una produzione vitivinicola attiva dal Medioevo: ha radici profondissime nella Storia La Montecchia, secolare cantina del conte Giordano Emo Capodilista situata a Selvazzano Dentro, ai confini del Parco Regionale dei Colli Euganei e pochi chilometri a sud di Padova, dove dà vita a bottiglie ricolme di istanze culturali e sensibilità agricola.
Giordano è il primogenito della ventiduesima generazione della famiglia e dirige l’azienda con impegno assoluto, seguendo non soltanto la realizzazione delle sue tante referenze ma anche le istanze culturali e sociali insite nell’attività agricola, ponendosi come custode di una tradizione antichissima.
Ne è dimostrazione il recupero dell’uva Turca, vitigno risalente “all’epoca dell’impero austriaco, in cui alcuni vitigni si sono trasmessi in Trentino e Veneto” spiega Giordano Emo Capodilista, aggiungendo che “dopo la Grande Guerra è stato sostituito insieme agli altri vitigni autoctoni che avevano scarsa produttività”. All’epoca il suo probabile impiego era nel blend per il vino sfuso.
Questa ammirevole azione di recupero è stata condotta nell’arco di diversi anni insieme a un vivaista del Friuli la cui collaborazione ha portato a salvarne le marze, per poi ripiantarle e metterle in produzione.
Il distributore Proposta Vini lo ha inserito “di rigore” nella collezione I vini nelle città italiane per rappresentare Padova nell’ambito di un progetto che consiste in una “collana nella quale sono elencati i principali vini consumati in alcune città italiane in un determinato periodo storico”, volumi a firma della “ricercatrice storica nel settore vinicolo” Iris Fontanari Martinatti.
E’ proprio quest’ultima a scrivere che la Turca è una “varietà coltivata un tempo sui Colli – già segnalata a pagina 102 nella relazione di Maddalozzo (1878) tra le viti del distretto di Este”, un antico vitigno che “l’ampelografo tedesco Hermann Goethe chiama Ortlieber, blauer (blu)”. Come Goethe, anche Molon “la cita con lo stesso nome e la inserisce fra le varietà austriache dello Steiermark (Stiria)”. Sull’origine della denominazione apprendiamo invece che “nel Trentino, dov’era coltivata sicuramente agli inizi del XX secolo, le fu attribuito questo nome per il fatto che il suo vino è forte, pesante, aspro, ossia turco nel gergo locale”, mentre sotto il profilo ampelografico sarebbe riconducibile alla Schiava lombarda.
Non soltanto fascino, ma anche gusto in questa Turca dal magnifico profumo di composta di prugna che inebria il palato con spunti di lampone, ribes rosso, melagrana, tè Pu-erh, barbabietola, corbezzolo, fino a un cenno di carruba.
Il suo carattere ancestrale è testimoniato da un’intensa acidità legata a una suadente vinosità che richiama lo spirito contadino di un tempo.
Magnifica la sua lieve impronta zuccherina, preludio a una beva golosa e leggera fino a immettersi in un finale che irretisce.
Altro aspetto che evidenzia l’afflato socio-culturale del conte Giordano Emo Capodilista è la sua indefessa promozione del territorio in cui vive e lavora, attraverso degustazioni, soggiorni nel borgo medievale, nel castello o, eccezionalmente, nella cinquecentesca Villa Emo Capodilista che sovrasta i vigneti, senza dimenticare che “nelle immediate adiacenze rustiche sono stati ricavati 4 comodi appartamenti a uso agrituristico”.
Alla composizione della tenuta si aggiunga la cantina che si trova presso l’antica fattoria, in cui è collocato anche lo spaccio.
Ulteriore tassello dello scrupolo etico della proprietà è un impianto fotovoltaico attivo da maggio 2012 per alimentare le attività dell’azienda agricola e dell’agriturismo, la cui azione “converte la radiazione solare in energia elettrica, riducendo la dipendenza del fabbisogno energetico dai combustibili fossili ed evitando l’immissione in atmosfera di gas come la Co2”.
La produzione della cantina ha ricchezza grande come la qualità.
Dalle tradizioni enoiche del territorio scaturisce il Raboso Vendemmia Tardiva Forzatè non a caso definito “Antica Maniera”, poiché le uve di questo vitigno autoctono del Veneto nella doppia espressione ampelografica di Raboso Piave e Raboso Veronese venivano raccolte alla fine di ottobre e in passato appese nelle cucine, per essere consumate fino a Pasqua grazie alla particolare resistenza della buccia. Dunque Antica Maniera evidenzia il tradizionale appassimento, mentre il nome Forzatè è stato dato in ricordo del Beato Giordano Forzatè antenato dei Capodilista, amico di Sant’Antonio da Padova, al quale è dedicata la Cappella di famiglia.
La degustazione riscontra un bouquet che mette insieme frutti rossi e un ficcante spirito erbaceo, mentre in bocca si susseguono mora di rovo, mirtillo, cavolo rosso e cioccolato fondente.
Sorprende nel finale l’emersione di una significativa mineralità.
L’azienda cura anche gli internazionali, a partire dal Cabernet Franc con il P. 200 dal clamoroso bouquet di confettura di visciola selvatica che al palato esibisce marasca, mirtillo, indivia, cotognata e liquirizia, in una continua stimolante mediazione tra dolce e amaro.
Si propone per buona parte del sorso come vino elitario per bevitori colti, ma nel finale sboccia tutta la sua amabilità ecumenica affiancata da un’efficace evocazione di sapidità capace di renderlo gradevole a tutti.
Ireneo è invece uno dei cru aziendali il cui nome deriva dal greco antico e significa pace: è ottenuto con 90% Cabernet Sauvignon, 6% Merlot e 4% Carmenère coltivati sul Monte Castello a Baone.
Se il bouquet è un tripudio totale di sottobosco, in bocca si amplifica la complessità sensoriale che restituisce mora, ribes nero, ciliegia e fragola, con curiosi tocchi di oliva, vaniglia, noce moscata e cioccolato al latte.
Di rara potenza seduttiva.
Prodezza enologica il Particella 28 che nell’assemblare Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Raboso lascia libero sfogo a sensazioni olfattive fruttate, suggerendo al palato amarena, susina rossa, gelso nero, pepe di Sichuan.
La leggerezza del tannino lo rende particolarmente eclettico negli abbinamenti a tavola.
Di particolare valore un’altra azione di archeo-vinificazione questa volta a favore di un vitigno di origine alloctona ma dalla perfetta remota ambientazione, con il Carmenere Progetto Recupero, poiché questo vitigno è stato piantato sui Colli Euganei alla fine del 1800. Proposto oggi in produzione limitata, incanta il naso con una composita delicatezza erbacea e intriga il gusto con l’immediatezza dell’approccio all’insegna di erbe officinali, seguite da una screziatura dolce capace di veicolare lampone, melagrana, olivello spinoso e radicchio tardivo.
Colpisce la totale assenza di ruffianeria di questo vino rigoroso, atavico, minerale, dal sorso prodigo di sfaccettature in cui la tensione amaricante viene bilanciata dall’acidità.
Imperdibile.
Anche tra i bianchi si annovera un ottimo esempio di sincretismo enoico con il Pinot Bianco Colli Euganei Rolandino dal profumo fruttato che porta in bocca echi di mela, pesca, limone, pera, kiwi e un bel cenno di sambuco.
E’ forse la referenza dove maggiormente il terroir vulcanico si fa avvertire come ingrediente essenziale.
Entriamo nel mondo degli aromatici con il Moscato Piùchebello che crea un’unione dinamitarda accostando Moscato Bianco e Moscato Giallo Fior d’Arancio, con l’immediata esplosione al naso di miele d’acacia e alloro, mentre sulla lingua si adagiano avocado, bergamotto, yuzu, nespola e un sospiro di ruta.
Di elegantissima acidità, crea una fantastica osmosi tra aspro, agrumato e dolce.
Indimenticabile.
Fior d’Arancio Colli Euganei in purezza lo si può apprezzare in versione Passito nel Donna Daria che era la figlia del Conte Alberto da Baone cui si deve l’avere riportato la viticoltura in questa zona nel medioevo: “viene ottenuto con le migliori uve prodotte sul Monte Castello a Baone utilizzando prodotti che rispettano il più possibile l’ambiente”.
All’imprescindibile zagara all’olfatto seguono al palato le peculiarità dell’arancia, cui si uniscono nei sapori uva passa, albicocca disidratata, cedro candito, miele di Cisto e mandorla tostata.
Lo straordinario equilibrio rende armoniosa la beva senza esagerare con la dolcezza.
Esaltante la prova con un classico come il Fior d’Arancio Colli Euganei, Spumante di Moscato Giallo realizzato con Metodo Martinotti che non tradisce la zagara al naso né l’arancia al gusto, ma dove la personalità si esprime al massimo dell’originalità attraverso mango, vaniglia, alchechengi e mandarino tardivo.
Perlage di estrema eleganza, impronta zuccherina decisa ma dotata dell’eleganza dell’alta pasticceria.
C’è ancora altro da illustrare di questa realtà, per questo abbiamo intervistato il Conte Giordano Emo Capodilista nel video che potete seguire qui di seguito.
Info: https://lamontecchia.it/
Distribuzione: https://www.propostavini.com/produttori/produttore/la-montecchia-conte-emo-capodilista/