La sbalorditiva Osteria del Portone di Melegnano, nel milanese
Per quanto possano essere alte le tue aspettative, L’Osteria del Portone riuscirà comunque a sbalordirti: un concentrato di memoria storica, pregi architettonici, arte culinaria, competenza enologica e spirito d’accoglienza che scatena un’ammirazione totale e convinta.
Il locale, in via Conciliazione 27 a Melegnano, a un passo da Milano, è la quintessenza delle classiche osterie fuori porta del milanese, ma con una serie di aspetti eccellenti che impressiona.
Già appena giungi davanti all’uscio, vieni colto dall’emozione, perché ti trovi lungo l’antica via Emilia, a ridosso di un Castello Mediceo, al cospetto di ciò che resta della porta storica della città, con due sale storiche che facevano parte di una locanda con stallazzo la cui attività è documentata già nel 1722.
Appena varcato l’uscio vieni preso per mano da Mara Zambelli, la quale sarebbe responsabile di sala ma in realtà ha modi e conoscenza tali da ergersi ad autentica guida culturale, conducendoti in una visita della struttura che regala sussulti a ogni passo, tra reperti secolari dell’edificio originale, inserti ingegneristici di rara grazia, arredi di gran buon gusto, soluzioni di design rispettose e congrue.
La discesa alle cantine naturali sotterranee chiamate Enò sembra un abbraccio per gli amanti del vino…
… cui aggiungere due passi nel Garden, ampio dehor d’estate che rifulge anche d’autunno ma che diventa giardino d’inverno per l’ora dell’aperitivo, regno del barman Dario Di Palma.
Non ti sei ancora seduto a tavola che già ti senti sazio di bellezza.
Eppure il meglio deve ancora iniziare, tra piatti eleganti e complessi ma senza fronzoli, un cuoco dalla mano fenomenale che cura maniacalmente le materie prime, ma soprattutto una carta dei vini da sogno che offre esclusivamente vini naturali, in collaborazione con Triple A, tanto che la citata cantina è stata creata con il contributo concreto di Luca Gargano, leggendario creatore di Velier.
Mara, con gentilezza ormai introvabile, ci introduce alla cucina di Luca Daniotti, con cui condivide anche la vita privata, in una mirabile conduzione famigliare che comprende anche un altro campione di ospitalità come Antonio Daniotti, padre dello chef.
Iniziano ad arrivare i piatti e da questo momento in poi sarà tutto uno scuotere la testa per l’incredulità davanti alla qualità dei piatti che ci sfileranno sotto il naso.
Il benvenuto è all’insegna del finger food, con Sbrisolona di Parmigiano e caramello, accanto a mini bigné allo zola e cipolla rossa caramellata, accoppiata che crea uno stimolante gioco di passaggi sensoriali, dal dolce al salato all’acido.
Arrivano quindi i quattro tipi di pane fatti in casa ed è già trionfo: la versione classica è a lenta lievitazione e impiega la pasta acida curata in sede da tre anni, creando un impasto denso, di ispirazione contadina; la focaccia di farina bianca biodinamica naturale del Molino Sobrino ha un’idratazione dell’80% che la rende soffice sotto l’involucro scrocchiante; i cracker sono una sfoglia che scatena ghiottoneria; il capolavoro assoluto è la focaccia da farina di grano arso del Mulino D’Addario in Puglia: forte in sapidità e affumicatura, è uno dei prodotti da forno più clamorosi mai provati.
Già questa serie di pani vale il viaggio.
Invece arrivano gli antipasti ed è di nuovo meraviglia.
La Tartare di cavallo è della rinomata storica Macelleria Pellegrini di Milano, condita in maniera pazzesca: infatti decidiamo di non mischiarla con il pur eccezionale uovo di Parisi, talmente buono che merita di essere gustato da solo, con la sua consistenza burrosa e il suo sapore antico.
Segue La mia zuppa alle cinque cipolle con baccalà mantecato e polvere di tè nero fumè che mette insieme cipolla bianca, rossa e dorata, con scalogno e cipollotto: esito clamoroso per originalità ed equilibrio.
I primi piatti partono con gli Gnocchi neri al profumo di bosco, funghi Porcini, riduzione di zafferano e salsiccia di Bra a crudo, in cui quest’ultima è posta elegantemente al bordo del piatto, tocco finale di un tripudio di personalità organolettica.
Il colore degli gnocchi deriva dal carbone vegetale e dall’incredibile aglio reso nero da quarantacinque giorni di macerazione in acqua di mare, il quale, passato in forno, diventa crema da inserire nell’impasto. Il tutto sommerso da ottimi funghi.
Non inganni come denominazione Il nostro pane, burro e acciughe, perché si tratta di passatelli casalinghi adagiati su una crema di pane anche questo fatto in casa, cui vengono aggiunti scalogno, uvetta e noci.
Tocco di classe, l’aggiunta di acciughe sferificate con una tecnica di cucina molecolare e la mantecatura con burro dolce belga e aggiunta di lievito di birra disidratato.
Da applausi.
Tra i secondi è imperdibile la Coscia d’oca in confit, punch all’arancia, patate Ratte e carote speziate: qui la carne cuoce nello stesso grasso d’oca, a bassa temperatura.
La firma dell’artista è nella crema agrumata che fa esplodere il contrasto virtuoso con il tono da selvaggina dell’oca, mentre si rimane incantati nel godere della pelle croccante che avviluppa una carne rimasta morbida e succosa.
I Secondi hanno anche una declinazione “al barbecue” che vede protagonista il forno Josper prodotto in Spagna, in cui la cottura avviene a 450° grazie a un particolare carbone vegetale argentino.
Si aggiunga che le carni, tutte pregiate, vengono frollate dagli stessi ristoratori per un periodo che va da uno a due mesi, spiegando così, per esempio, la naturalezza superlativa della Costata di Scottona Bavarese.
Chiusura con un gelato al latte d’alpeggio della Val d’Ossola fornito da Guffanti la cui fragranza inusitata induce a lacrime di sincera commozione.
Per i vini, è un tripudio di prodotti rigorosamente naturali riuniti sotto l’egida di Triple A, progetto-manifesto della Velier di cui questo locale è convinto sostenitore da sempre. Nel decalogo del suo creatore Gargano vengono messi al bando “tecniche agronomiche ed enologiche che mortificano l’impronta del vitigno”, quindi “l’utilizzo della chimica nel vigneto e l’utilizzo dei lieviti selezionati in laboratorio”, pratiche avvilenti che conducono alla standardizzazione di “vini simili in ogni angolo del pianeta, appiattiti nei caratteri organolettici e incapaci di sfidare il tempo”.
Prova della diversità di questi vini è l’esemplare bianco frizzante dell’Azienda Agricola Costadilà, materico, dal piglio carbonico, di denso spessore aromatico, di fiera ammaliante robustezza.
Fuori da ogni schema poi il Pecoranera della Tenuta Grillo di Gamalero, in provincia di Alessandria: è una Freisa con aggiunte di Dolcetto, Barbera e Merlot, sottoposta a lunghe macerazioni che ne sublimano il frutto, pur mantenendo incredibilmente elevata l’acidità che amplifica la piacevolezza della beva.
Abbiamo raccolto suggestioni visive dei piatti del locale nella scansione di immagini che trovate nel video qui sotto.
Ultima nota di merito per le grappe presenti nel locale, tra cui svettano varie produzioni dell’incommensurabile Gino Barile, insieme a distillati del genio Capovilla, anche se la bottiglia più curiosa è l’eccellente Chacha della georgiana Our Wine, acquavite che deriva dai depositi dei vini che maturano nelle anfore sotterrate.
Ci siamo fatti raccontare questo magnifico locale da Luca Daniotti, nel video che segue.
Info: www.osteriadelportone.com