Il lavatoio medievale di Cefalù e il fiumicello che si tuffa nella storia
Un luogo di lavoro domestico e fatica femminile che nel corso dei secoli è diventato memoria antropologica fino a elevarsi a bene culturale: è il lavatoio medievale di Cefalù, tappa obbligata per chi vuole cogliere l’identità del magnifico borgo della provincia di Palermo.
Si trova nel cuore del centro storico, è aperto al pubblico gratuitamente e vi si accede da via Vittorio Emanuele attraverso una suggestiva scalinata in pietra lavica con un accennato movimento a spirale.
A ogni passo si rivela l’ammaliante architettura funzionale del luogo, dominato da ventidue bocche di ghisa, diverse delle quali hanno richiami teriomorfici ai grandi felini: qui il placido incedere gorgheggiante dell’acqua evoca il brulichio delle lavandaie intente a sciabordare panni con robusta iniezione di olio di gomito.
A questo punto diventa protagonista, discreto e sinuoso, il minuscolo corso fluviale del Cefalino, il quale si porta dietro il fardello del mito della sua genesi che secondo la narrazione sarebbe avvenuta grazie al pianto di una ninfa assalita dal rimorso di avere assassinato la fedifraga persona amata.
Costretto nel corso dei secoli a fluire in ambito ipogeo, si è almeno guadagnato lo sfogo direttamente nelle acque salate del contiguo mar Tirreno.
Oggi è fruibile grazie agli interventi di restauro perfezionati circa trent’anni fa, assumendo in pieno la sua funzione di monumento che testimonia il sincretismo culturale del luogo e la sua vita quotidiana millenaria.
Per il visitatore, l’emozione è garantita.