L’etica di Slow Food scivola sulla cera d’api?…
Pochi giorni fa abbiamo pubblicato un articolo intitolato Nei mandarini di Slow Food usano la cosmetica: è “giusto”? (www.storienogastronomiche.it), in cui facevano notare che nel prelibati e culturalmente prezioso Mandarino Tardivo di Ciaculli, Presidio Slow Food della Sicilia, si adotta un espediente cosmetico come la ceratura, usata per rendere più attraente il frutto.
La presenza del trattamento non soltanto è dichiarata sugli scaffali della grande distribuzione, ma è confermata anche in un documento per il Dottorato di Ricerca in Economia e Politica Agraria stilato da Leonardo Crociata per il Triennio accademico 2006/2007 – 2008/2009 dal titolo Aspetti economici della filiera del Mandarino Tardivo di Ciaculli (www.wineecoreports.com).
Slow Food Italia ha risposto con un post sulla pagina Facebook della nostra testata giornalistica (Link al post Facebook) in cui riporta “alcune precisazioni dopo aver ascoltato il parere del professor Francesco Sottile, docente del dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali dell’Università di Palermo e vicepresidente di Slow Food Sicilia”.
Già questo metodo dialettico solleva seri dubbi: la persona citata potrà pure essere un luminare, ma è di parte, essendo organico a Slow Food. Deontologicamente sarebbe stato più congruo riportare il parere di un esperto neutro. Altrimenti sarebbe come se in una disputa processuale una parte proponesse come verità assoluta quella del proprio avvocato: potrebbe pure essere una verità oggettiva, ma se esposta da chi è organico a una fazione, rende legittimo il dubbio.
Noi invece alla deontologia diamo un valore supremo e abbiano preferito interpellare agricoltori che non fanno parte di Slow Food e allo stesso tempo non hanno alcun collegamento con la nostra redazione: li abbiamo conosciuti nel regolare esercizio della nostra attività giornalistica, testandone il rigore.
Slow Food afferma che “la cera d’api utilizzata è un prodotto assolutamente naturale, mai trattato e mai additivato con anticrittogamici, che i produttori utilizzano per la conservazione degli alimenti e non per ragioni estetiche”: affermazione smentita o quanto meno corretta da tante altre pubblicazioni presenti anche in rete.
Come su 5 Minuti per l’Ambiente, dove, pur confermando che la gommalacca (definizione più tecnica della cera d’api) riveste la frutta a scopo protettivo “creando una barriera verso funghi e muffe”, si aggiunge che essa viene impiegata anche “a scopo estetico donando un aspetto lucido al frutto”, avvertendo che “può essere ingerita e è sostanzialmente innocua anche se sembra possa essere causa di allergie” (5minutiperlambiente.wordpress.com).
Pertanto, quando Slow Food afferma che i tanti piccoli produttori del Presìdio del Tardivo di Ciaculli “avvertono oggi la giusta attenzione da parte del consumatore consapevole”, dovrebbe tenere conto anche della necessità morale di spingere i consumatori a non acquistare la bellezza, bensì la bontà di un frutto, questione sulla quale invece nella replica si sorvola.
Eppure è la stessa Slow Food che combatte questa stessa battaglia contro l’estetica fittizia della frutta, come nel caso di almeno due altri Presidi, come il Pero Misso della Lessinia e la Mela Rosa dei Monti Sibillini. Due frutti che hanno proprio problemi di immagine: la pera perché va consumata quando va in surmaturazione, con la polpa che acquisisce parzialmente un colore marrone simile ai prodotti che stanno marcendo; la mela perché ha una forma definita “strana” e una buccia che spesso presenta imperfezioni estetiche.
Sono due prodotti buonissimi e di alto profilo culturale, ma i produttori da noi intervistati hanno proprio lamentato il fatto che i consumatori diffidano da questi frutti per il loro aspetto poco convenzionale.
Ecco la questione sulla quale avremmo voluto che Slow Food si impegnasse di più, visto che si è arrogato il compito di detenere tutte le verità agroalimentari e di educare il mondo.
A confermare il ruolo cosmetico della ceratura è stato Mario Arcifa, produttore siciliano di agrumi biologici che non ricorre alla ceratura, definendola anzi un inutile costo in più dettato soltanto da una sorta di vanità commerciale più che agreste.
Se di questo trattamento può fare a meno un produttore come Arcifa che commercia grandi quantità di agrumi, perché non possono farlo anche i coltivatori di un Presidio Slow Food?
Meno tranchant il giudizio di un eroe del biologico come Roberto Li Calzi che ha creato la celeberrima comunità di consumatori etici chiamata Le Galline Felici. Anch’egli fa agricoltura biologica in Sicilia e non fa mai uso della ceratura. Tuttavia non la demonizza, riconoscendo che si tratta di una protezione naturale per non fare deperire il frutto, dato che basta una microlesione alla buccia di un agrume per farlo marcire.
Però Li Calzi, pur di non usare la ceratura né altri rimedi, adotta un diverso sistema: alla quantità ordinata dal cliente, aggiunge del prodotto in più che non si fa pagare, a risarcimento dell’eventuale presenza di qualche frutto andato a male.
Perché non può fare lo stesso Slow Food? Forse perché per fare business con la grande distribuzione non ha il coraggio di imporre a Esselunga un metodo commerciale meno pratico ma più etico?
Non sarebbe un enorme segnale culturale se invece Slow Food imponesse ai suoi clienti della grande distribuzione un rapporto morale che non contempli la ceratura, proponendo il frutto così come arriva dalla pianta, senza cosmetica, educando in questo modo i clienti a un consumo ragionato e davvero responsabile, invece di spingerli all’acquisto per attrazione estetica?
Slow Food nella sua replica si stupisce “che si voglia mettere in risalto una tecnica – la ceratura – ordinariamente utilizzata nel mondo agrumicolo, assolutamente sana perché totalmente naturale, additandola come scandalosa; noi non ci scandalizziamo”. Evidentemente Slow Food non si cura di quanto si legge da più parti ancora in Rete. Sulla rivista digitale Il Fatto Alimentare, la collega Agnese Codignola, giornalista scientifica, riporta il giudizio dell’esperto Corrado Vigo, agronomo anch’egli siciliano “che tratta di problematiche connesse all’agricoltura ed alla politica della sua regione” (corvigo.blogspot.it), il quale così classifica il componente E 904: “Gommalacca – Categoria: Agente di rivestimento – Giudizio: Accettabile – Allergia: additivo suscettibile d’indurre allergie o reazioni di ipersensibilità” (www.ilfattoalimentare.it).
Un allarme simile viene lanciato dal portale che si occupa della salute dei più piccoli, Bio Bimbi, il quale alla domanda se si possano introdurre o meno prodotti trattati con sostanze “da E900 Dimetil polisilossano a E904 Gommalacca” nell’alimentazione dei bambini, risponde con un dubbioso “ni” (biobimbi.com).
E’ proprio sicura allora Slow Food di affermare perentoriamente che “un po’ di cera d’api, invece, non ha mai fatto male a nessuno”? Proprio a “nessuno-nessuno”?
Più equilibrato ancora Li Calzi, quando afferma che per avere la certezza che la cera d’api non faccia male, occorrerebbe che anche questa venisse prodotta in regime biologico o che almeno se ne esplicitasse la provenienza.
In ogni caso, pur riconoscendo che non dovrebbero esserci danni per la salute, tuttavia Li Calzi ammette che la questione merita un dibattito, in particolare sulla possibilità di usare il frutto intero, visto che la buccia dovrebbe poter essere impiegata in cucina. Alla domanda se sia consigliabile usare la buccia trattata con cera d’api per fare una marmellata, Li Calzi ci pensa un attimo e risponde: “sarebbe meglio di no”.
Slow Food invece preferisce guardare altrove, rivolgendo lo sguardo fuori da sé, preoccupandosi del fatto che “in molti Paesi dell’UE, nel silenzio generale, le norme consentano di utilizzare ben altri prodotti di copertura sui frutti, con una pericolosità elevatissima per chi li manipola; frutti che poi vengono esportati ovunque vanificando ogni sforzo di attenzione a tutela del consumatore”.
Condividiamo questa preoccupazione di Slow Food, ma ciò non toglie che si potrebbe essere meno assertivi e più disponibili alle critiche e ai dibattiti, quando c’è di mezzo l’etica agricola e il rispetto dei consumatori.
In ogni caso, l’importante è acquistare questo straordinario prodotto della cultura agricola italiana e gustarne le straordinarie caratteristiche organolettiche, anche per sostenere i contadini che coraggiosamente lo producono e quindi salvaguardano dall’estinzione.
Una tale bontà, coltivata con tanta onesta passione, non ha bisogno di alcun artificio, nemmeno lecito, per arrivare al cuore dei consumatori. Basta avere intelligenza e sensibilità per acquistare il Mandarino Tardivo di Ciaculli: non servono gli occhi, ma cuore e palato.
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