L’identità meneghina è nel piatto: memorie di cucina milanese
Al dente è a volte il confronto, ma solo sul piano delle idee. L’inchiesta di Domenico Liggeri sulle dieci De.Co. milanesi ci ha portato a conclusioni opposte: per lui a Milano manca ormai una cucina identitaria, come la trovi a Roma o Venezia (sicuri che li siano un valore non turistico ma identitario); per me attraversa il menù stagionale di cuochi importanti e resiste dove c’è memoria e tradizione, dai classici del centro alle trattorie di periferia, ai confini della campagna.
Quei piatti li ho sempre mangiati cucinati da mia nonna, se si usciva si andava al piemontese, il Rigolo…
… e Masuelli (www.masuellitrattoria.com), o al toscano, l’invasione e la moda del dopoguerra, da Bice all’Assassino.
Alla Collina Pistoiese (www.allacollinapistoiese.it).
Al Santa Lucia (www.asantalucia.it).
A’ Riccione dei fratelli Metalli (www.ristoranteariccione.net), con gli amici dal pugliese Strippoli, con un giovane Vincenzo Mollica dal siciliano Merluzzo Felice.
E la grandeur di Savini e Giannino sullo sfondo, L’Antica Pesa (www.anticatrattoriadellapesa.com)…
… e il Matarel (Pagina Facebook).
… El Brellin sui Navigli (www.brellin.com), mentre Marchesi destrutturava e reinventava la cucina di casa sua mettendo tutti nell’angolo.
In verità a pranzo, di corsa, di mangiava la schisceta portata da casa, si andava in latteria e fiaschetteria, dal panettiere o dal pizzicagnolo per imbottire la michetta. Quei dieci piatti li cercavi magari fuori porta, con orto e pollaio a portata di mano, o in osteria.
Quando milanesi e lombardi son diventati minoranza ognuno ha portato il suo desco, fino alle cucine etniche (primi cinesi ed eritrei).
Ritrovo invece da qualche anno il culto di alcuni fra questi piatti, il risotto, l’ossobuco, la cotoletta alta, sigillata e rosa in burro chiarificato (qui c’è una gara), la cassoeula quando si ha il tempo di digerire.
Cesare Battisti, che fa tutto al Ratanà (www.ratana.it) compresi i mondeghili e i rubitt, i nervetti, le trippe, confessava di non poter spingere sempre la cucina che ama.
Tratto dal quotidiano Il Giorno del 5 marzo 2016