L’imperdibile mostra Ulisse. L’arte e il mito, Musei San Domenico, Forlì
Un viaggio labirintico nel topos assoluto della narrazione fantastica che ha sancito la consapevolezza concreta dell’Uomo moderno circa la condizione terrena, l’anelito ideale e la proiezione etica: è uno specchio interiore in cui ciascun visitatore può riflettersi la mostra Ulisse. L’arte e il mito in corso ai Musei San Domenico di Forlì, ritrovando le radici ancestrali di ogni propria domanda esistenziale sublimate in un ben congegnato ordito di opere d’arte, proiezioni e corredi iconografici, insieme a richiami filosofici e tracciati storici.
Gli organizzatori lo definiscono “il più grande viaggio dell’arte mai raccontato”, poiché il protagonista dell’Odissea “è il più antico e il più moderno personaggio della letteratura occidentale”, colui che “getta un’ombra lunga sull’immaginario dell’uomo, in ogni tempo” tanto che “l’arte ne ha espresso e reinterpretato costantemente il mito”.
E’ qui che si dipana l’interessante intreccio tematico della mostra, la quale muove dalla letteratura, fin dalla sua forma arcaica del racconto orale, per dimostrarne la potenza di volano suggestivo per l’ispirazione degli artisti figurativi come per le speculazioni filosofiche dei grandi pensatori, individuando in Ulisse l’archè della spinta intellettuale che condurrà la specie umana a coltivare massimamente il Pensiero, con tutto il portato di dubbi, tormenti, scoperte e illuminazioni che ne conseguiranno.
Un nostos panico e al tempo stesso privatissimo che il visitatore compie tra gli stupendi ambienti del complesso conventuale fondato dall’Ordine dei Domenicani nella prima metà del XIII secolo che comprende la Chiesa di San Giacomo Apostolo, raggiungibile in piazza Guido da Montefeltro, a sua volta dispensatrice di fascino per la monumentale grazia architettonica, contrappuntata da aperture nella pavimentazione che consentono attraverso coperture trasparenti di osservare vestigia della struttura originaria.
E’ il magnifico corollario in cui sono incastonate “oltre 200 opere tra le più significative di ogni tempo, dall’antico al Novecento: pittura, scultura, miniature, mosaici, ceramiche, arazzi e opere grafiche ricomprendono il viaggio di Ulisse come viaggio dell’arte”, perché “fin dall’antichità gli artisti non hanno cercato di illustrare in forma puramente didascalica l’intera Odissea”, in quanto “l’arte antica non è interessata a mettere in scena il poema epico, quanto un uomo che attraverso le sue molteplici e dolorose esperienze ha imparato a conoscere se stesso”.
Il percorso espositivo si apre con la sezione Il concilio degli dei che già al primo passo regala una forte emozione, con l’apparizione della grande tela Assemblea degli dei olimpici di Pieter Paul Rubens (1602-1603), in cui il maestro fiammingo riprende un’opera di Raffaello ed “evidenzia la raggiunta dimestichezza con le diverse tradizioni della pittura italiana del Cinquecento”…
… mentre dall’arte romana della seconda metà del II secolo d.C. arrivano esempi di ritratto in marmo di Omero tipo “ellenistico cieco”.
Sono i punti cardinali dell’ambiente più grande dell’allestimento che si pone come abbrivio narrativo e concettuale della mostra, chiarendo l’eclettismo dei materiali scandito da pannelli di dimensioni generose quanto l’approfondimento che contengono, tra rigore filologico, brillantezza espositiva e chiarezza della prosa.
Si prosegue con la sezione La nave e il viaggio, la quale prende il largo con l’assunto che “i Greci furono dei grandi viaggiatori, tutta la loro vita è proiettata sul mare, e Ulisse nell’immaginario collettivo di tradizione umanistica, incarna il viaggiatore per eccellenza”.
Efficace l’idea di utilizzare un reperto archeologico come sineddoche di tale premessa, attraverso la ricomposizione del relitto della nave greca arcaica di Gela del V secolo a.C. in legno di leccio rinvenuta in contrada Bulala…
… eccezionale testimonianza sia dell’intensità politico- commerciale dei rapporti tra i popoli del Mediterraneo, sia della “qualità tecnica di realizzazione di una imbarcazione di 17 metri”, la cui forma originaria è mostrata attraverso una ricostruzione computerizzata.
In un ardito salto temporale questo tomo si chiude con il celebre cavallo in alluminio con cui Mimmo Paladino nel 2014 ha stilizzato l’episodio decisivo della guerra di Troia che da sempre lo affascina, al punto di averne già elaborato nel 2001 una trasposizione teatrale con Toni Servillo.
Si passa a Omero e l’elaborazione del mito nell’antichità che scatena reminiscenze scolastiche e letture dalla sedimentazione imperitura nell’immaginario di ciascuno di noi, con miti indelebili quali le sirene tentatrici di Ulisse declinate compostamente nell’arte etrusca del II secolo a.C. …
… e traslate invece con teriomorfismo ante-litteram nella commistione dell’umano con l’ornitologico dall’arte greca in una scultura funeraria in marmo pentelico del 330 – 320 a.C….
… fino a giungere alla figura emblematica di Penelope così come vista dall’arte romana del I secolo d.C..
Con La ripresa dei modelli antichi e l’eredità romana si rivivono l’Approdo della flotta di Ulisse nel paese dei Lestrigoni, l’incontro degli esploratori con la figlia del re e l’inizio della carneficina dei Greci operata dai Lestrigoni, grazie a un affresco staccato della metà del I secolo a.C….
… si marmorizza la furbizia di Ulisse sotto il vello dell’Ariete (II secolo d.C.) che attraverso questo espediente sfugge all’ira di Polifemo, tema molto riprodotto nell’arte del tempo…
… la fibrillante violenza belluina concentrata nel momento che vede Un compagno di Ulisse ghermito da Scilla, copia romana di età adrianea da originale greco ellenistico che impressiona ancora oggi come se le carni trafitte fossero le nostre…
… fino all’archetipo di ossessioni erotiche mai sopite fino ai giorni nostri concentrate nell’Afrodite cosiddetta Callipige, ovvero dal bel sedere, qui in un’interpretazione talmente ammiccante da apparire contemporanea malgrado sia stata scolpita in marmo bianco nel II sec. d.C..
Se Le sirene del Medioevo si precisano figurativamente nella trasfigurazione ittica che conduce alla forma bicaudata, come nella rappresentazione del 1213 di un mosaico pavimentale in materiale lapideo e paste vitree…
… le miniature manuali dei volumi invece si impegnano nel tratteggiare vividamente l’appropriazione del mito da parte del genio letterario emergente, incarnato al suo apice dalla figura di Dante e tradotto nella sua opera capace di istoriare di complessità ideale prodromica il ruolo delle figure chiave del racconto omerico, come fulgidamente vergato nel canto XXVI dell’Inferno della Divina Commedia, in cui Per l’alto mare aperto il Vate si avventura nel “superamento del mondo antico”…
… non prima di avere assistito a un video in cui risuona il monito “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”, mai sufficientemente accolto e perseguito dalla nostra specie.
La visione moralizzata del Quattrocento si staglia in rilievo sui cassoni tipici di quel tempo, quale l’apodittico Trionfo della Castità (1480-1485) di Liberale da Verona (Liberale Bonfanti) dipinto su tela incollata su tavola.
La virtù del principe emerge quando Ulisse confluisce nell’ideale rinascimentale, mutando in metaforica figura che tracima in “allegoria morale e politica”, tra la composta serenità quasi ascetica della sua sposa Penelope immaginata da Domenico Beccafumi nel 1514…
… la scansione come fotogrammi di una pellicola della vetrofania policroma impiombata del 1550-1552 con le Storie di Ulisse che paiono proiettate da una lanterna magica…
… culminando nell’atroce epilogo plastico del Laocoonte e dei suoi figli assaliti dai serpenti marini.
Inizia da qui un effluvio di opere pittoriche, con il compito di dare forma a Umane passioni e natura ideale nel mito seicentesco con la straordinaria intuizione figurativa di Cornelis van Poelenburch di accennare alla situazione di pericolo imminente di un personaggio per mezzo delle sole mani aggrappate alla vita e in cerca di salvezza nell’opera La dea Calipso salva Ulisse del 1630…
… o di descrivere perfino fragilità e debolezze di Dei ed eroi con “le forme neoclassiche del mito”, tra la dolorosa apparizione dell’ectoplasmatica madre defunta dell’Eroe mentre Tiresia predice il futuro a Ulisse (1803), frutto della mano possente di Johann Heinrich Füssli che arriva quasi a squarciare la tela e quindi la quarta parete pittorica con il suo spudorato trompe-l’œil litico…
… nonché la commozione endemica di Ulisse riconosciuto dalla sua balia Euriclea (1799) con cui François-Xavier Fabre staglia le sagome nel chiaroscuro d’un crepitante fuoco del ricordo, in una sommessa atmosfera amniotica che sembra piangere il tempo perduto.
Il canto delle sirene tra “seduzione e morte” nelle sue innumerevoli traduzioni visive ha forse raggiunto il massimo della drammaticità nel tumultuoso Addio (1892) di Alfred Guillou che anticipa con sicura evidenza l’inquadratura filmica più struggente del Titanic di James Cameron.
Il passaggio Dal romanticismo alle inquietudini simboliste conduce poi a Illustrare il mito perfino con le sembianze del pittore stesso, come accade nell’identificazione quasi bergmaniana di Giorgio De Chirico con il suo Ulisse del 1922-1924…
… mentre la chiusura è affidata all’epilogo Narrami, o musa che dimostra come “durante il XX secolo la rivisitazione del personaggio di Ulisse da parte di artisti e intellettuali si sviluppa lungo diverse trame, allineandosi perfettamente con lo spirito irrequieto dei tempi”, con l’imprescindibile stratificazione di significante e significato che Giorgio De Chirico inserisce nel concepire Le muse inquietanti nel 1925 (1947), atto figurativo fondante del Tempo nuovo segnato dall’indagine psicologica e dalla contaminazione degli stilemi creativi…
… anche se la nostra sensibilità è stata ghermita maggiormente dal vacuo sguardo senza prospettiva di una mastodontica Penelope che appare delusa e perfino imbronciata nella visione priva speranza di Mario Sironi, vaticinando La solitudine (1925-26) che si avvia a essere l’invalicabile colonna d’Ercole del tempo che viviamo.
Conferma la (pre)visione precedente l’incursione straniata della videoarte di Bill Viola che con The encounter (2012) ribadisce la sua cifra tesa alla dilatazione esasperante del tempo sospeso, sancendo che il viaggio di Ulisse per noi non è mai finito.
Varcando la soglia dell’uscita, è necessario un ringraziamento ai curatori Francesco Leone, Fernando Mazzocca, Fabrizio Paolucci e Paola Refice, non senza citare il comitato scientifico presieduto da quell’Antonio Paolucci di cui sembra di avvertire chiara l’influenza.
Ci si lascia così alle spalle una mostra con la netta sensazione che essa in realtà continuerà a seguirci, nel pungolare la necessità di una risposta ai quesiti malcelati, nel cercare un’elevazione vitale rispetto alla mediocrità dominante del presente, nel recuperare come lezione da dove veniamo per imparare come mutare direzione.
Info: https://www.mostraulisse.it/