Museo Archeologico Nazionale delle Marche ad Ancona, dai Piceni al racconto dello spirito del luogo
Un’esposizione così intelligente e ben curata da potere rappresentare come sineddoche l’importanza della regionalizzazione del racconto storico nel nostro Paese, in quanto anche le vicende di un preciso perimetro territoriale si ergono a fondamentali tasselli dell’identità nazionale: per questo rientra tra le visite fondamentali da svolgere quella al Museo Archeologico Nazionale delle Marche ad Ancona, brillante modello di contributo divulgativo alla collettività e di sensibilizzazione al concetto sano di comune sentire.
Già la sede induce emozione per il suo prestigio, trattandosi dal 1958 di palazzo Ferretti, residenza dell’omonima nobile famiglia risalente alla metà del XVI secolo, ampliato e sopraelevato nel XVIII…
… la cui grazia architettonica è impreziosita da apparati decorativi realizzati fin dal 1577…
… generoso di affreschi dal vivido impatto cromatico e dall’impianto iconico che richiama ambiti geometrici per creare pattern ipnotici…
… rappresentando in pieno l’immaginario del XVI secolo tra figure allegoriche, omaggi alla classicità e grottesche trasgressioni, sempre sospeso tra la tara del manierismo e la fuga in avanti della fantasia.
Fin dalla sua ispirazione nell’800 la finalità del museo è stata quella di raccogliere “tutti i monumenti dall’età della pietra in poi, rinvenuti con certezza nella regione”, non soltanto per interesse scientifico ma anche per la “necessità di salvare il patrimonio archeologico marchigiano dalla dispersione nel mercato antiquario”.
Le collezioni si sono formate e arricchite “grazie sia ai numerosi rinvenimenti fortuiti, sia agli scavi sistematici ormai intrapresi nell’intera regione”
Negli anni ’90 vennero inaugurate le sezioni Preistorica e dell’Età del Bronzo, abbrivio dello storytelling che ricostruisce l’antropizzazione della regione fin dai suoi primi vagiti umani…
… mentre è nel nuovo millennio che dopo varie vicissitudini ha riaperto al pubblico la sezione ellenistico-romana dedicata ad Ancona, il modo più elegante possibile di conferire densità intellettuale al primato morale del capoluogo marchigiano.
Il percorso museale non trascura alcuna epoca ed ecco quindi memorie ancestrali provenienti da reperti litici dal Monte Conero di circa 300.000 anni fa, insediamenti del Neolitico e dell’Eneolitico, necropoli protovillanoviane, esponendo nelle teche pugnali bronzei insieme a ceramiche appenniniche e subappenniniche.
L’esposizione esprime il massimo della propria personalità e al tempo stesso della sua missione culturale quando affronta la storia dei Piceni, affascinante popolo che ha lasciato un segno indelebile nel genius loci del territorio marchigiano durante la loro permanenza secolare nel I millennio a.C., le cui testimonianze attuali si devono soprattutto agli scavi nelle necropoli. Come quella di Rapagnano che ha restituito reperti bellici di un guerriero…
… ma anche emozionanti espressioni artistiche copiose nei simbolismi…
… mentre altre sepolture hanno offerto ulteriori prove di abilità sopraffine nella scultura dei metalli.
Non meno pertinente attingere alla narrazione dell’influenza della civiltà etrusca e della forte ondata di migrazioni di popolazioni celtiche nel IV sec. a.C. dall’Europa centrale verso il Mediterraneo, interessando pure le Marche settentrionali dove hanno lasciato traccia del loro passaggio ben simboleggiata nel museo da alcuni ornamenti.
Interessantissime le documentazioni proprio del lavoro di rinvenimento dei reperti esposti, corredate di foto e analisi scientifiche…
… mentre piccoli reportage visivi fanno comprendere le difficoltà del lavoro degli archeologi, mettendone così in risalto l’appassionata competenza.
Alcune tappe del tragitto epistemologico risultano maggiormente significative.
Come quella che porta alle Enigmatiche sfingi a guardia delle tombe, sculture funerarie provenienti dall’area ellenistico-romana che rappresentano un unicum per tutta la costa adriatica eccetto il Veneto e sarebbero di produzione locale per quanto recepiscano prototipi orientali.
Tra gli artefatti di spicco, il Dinos Bronzeo di Amandola, recuperato dopo un lungo e paziente lavoro di restauro…
… o la situla funeraria in marmo del I secolo d.C. con i suoi tridimensionali inserti simbolici di tralci di edera, viti e testa di Dioniso…
… mentre tra quelli più commoventi va citata la stele funeraria la cui origine temporale è collocata tra gli ultimi decenni del II secolo e gli inizi del I secolo a.C. intitolata Il saluto al padre in cui due figure maschili riproducono lo schema di origine attica della dexiosis, la stretta della mano destra con il defunto, in una sorta di consegna del compito della prosecuzione della specie…
… opera inserita in una sorta di galleria di omaggi alla memoria degli scomparsi che contempla altri pezzi di notevole intensità capaci di colpire la sensibilità del visitatore, come Ad Aspasia datata tra la fine del II e la prima metà del I secolo a.C., realizzata con la locale pietra calcarea del Conero, icona di un tempo andato in cui si avverte l’afflizione del servo che piange la dipartita della “figlia di Proto, o virtuosa”.
Notevole la ricostruzione dell’affresco parietale di una domus della seconda metà del I secolo a.C. tra paesaggi naturalistici di tipo nilotico e un ardito ricorso a un prospetto trompe-l’œil…
… mentre il tema acquatico lo ritroviamo con maggiore risalto in un émblema di mosaico del II secolo d.C. con il candore di un idillio.
Prima di rituffarsi nel presente, può fungere da valida decompressione uscire sull’ampio bel balcone della struttura…
… che consente una vista significativa delle peculiarità urbanistiche di Ancona.
L’allestimento è lodevolmente ordinato, al punto da impedire possibili confusioni tra le tante epoche raccontate, consentendo al visitatore di vivere l’esperienza secondo i propri interessi in maniera pienamente inclusiva, merito anche di testi comprensibili pur non rinunciando al rigore enunciativo.
Altro plauso va alla capacità di selezionare il giusto numero di pezzi da esporre senza alcun cedimento alla bulimia dimostrativa, mentre sul piano intellettuale va riconosciuto alla curatela di essere riuscita pienamente a raffigurare il Volksgeist di una comunità regionale elevandolo a interesse universale.