Museo Classis Ravenna, la straordinaria narrazione di una città attraverso l’archeologia
L’entusiasmante dimostrazione del vigore attrattivo universale anche di un epos territoriale, grazie a un’esposizione talmente avvincente da irretire il visitatore elevando una città e i suoi avvenimenti a sineddoche dell’evoluzione culturale umana: si spiega anche così il prestigio intellettuale e il gradimento popolare del Museo Classis Ravenna, importante tappa nel reticolo dell’identità archeologica italiana.
Efficacemente definito il Museo della Città e del Territorio, è altrettanto congruamente presentato dal Presidente Fondazione RavennAntica, Giuseppe Sassatelli, come un’esposizione che esplicita il modo in cui un archeologo racconta una storia, ovvero “attraverso oggetti, siano essi cose d’uso quotidiano o preziose testimonianze artistiche”…
… giungendo in questo caso allo “straordinario racconto di una città attraverso i suoi snodi principali, dalle origini etrusco-umbre all’antichità romana, dalle fasi gota e bizantina all’alto Medio Evo”, una narrazione sviluppata “attraverso materiali archeologici il cui valore viene esaltato dall’essere proposto in un’ottica unitaria, nonché supportato da moderni ausili tecnologici”.
L’area espositiva conta 2.600 metri quadrati ed è “circondata da un parco di un ettaro e mezzo sempre aperto al pubblico”, con l’allestimento ospitato nello storico edificio dell’ex zuccherificio di Classe, già di per sé testimonianza di una vicenda locale molto significativa per il ruolo esercitato nell’economia e quindi nella società ravennate…
… come suggestivamente spiegato da una piccola sezione allestita in un angolo raccolto della sede, in cui gli aedi sono coloro che hanno vissuto in prima persona tale epopea industriale, lavorandoci nei gloriosi anni del suo successo commerciale e subendo il contraccolpo della conseguente dismissione: si scopre così che “600 operai trasformavano tonnellate di barbabietole in montagne di zucchero che, per nave e ferrovia, raggiungevano l’Italia e l’Europa, poi il declino e nel 1982 la chiusura”, fino al reimpiego di oggi che lo caratterizza a livello nazionale “come il più importante intervento di recupero di archeologia industriale volto alla realizzazione di un contenitore culturale”.
E’ tra queste mura che il museo accoglie la sfida di comprimere millenni di Storia senza tralasciare nulla di essenziale ma al tempo stesso con la massima attenzione ad evitare eccessi di nozionismo, riuscendoci con una sintesi dietro la quale si scorge un lungo e meditato lavoro di organizzazione scientifica di dati, materiali e reperti.
Il criterio che guida tale opera di mastodontica razionalizzazione è il ricorso alla Linea del tempo, congegno pedagogico infallibile nel porsi come guida a un percorso di visita, capace di prendere per mano ogni tipologia di utente per accompagnarlo senza difficoltà nel tragitto di conoscenza proposto, rendendo immediato e induttivo cogliere il senso di un resoconto capace di evidenziare le epoche nel loro divenire e nel confluire in altre ere.
Epoche organizzate quasi in capitoli che trattano “le origini etrusco-umbre, l’antichità romana, la fase gota, l’età bizantina, l’alto Medioevo”, aggiungendo “approfondimenti che riguardano la crescita e lo sviluppo della città, la sua stratificazione, la flotta e la navigazione, la sua variegata etnicità, la produzione artistica, le consuetudini funerarie e le modalità della preghiera”, con particolare attenzione al rapporto tra Ravenna e il mare, essendo stata tale località un crocevia di commerci fin dalle sue origini e un importante snodo di traffici e di relazioni che si consolidano in epoca antica con tutta l’area del Mediterraneo, fino a diventarne uno dei maggiori porti commerciali.
Tra le peculiarità dell’allestimento vi è la chiara scelta di utilizzare tutto lo spazio possibile, non soltanto quello che si dipana orizzontalmente in piano bensì pure quello verticale proiettato verso l’alto, trasmettendo al visitatore l’emozione della monumentalità e al tempo stesso richiedendogli di attivare al massimo l’attenzione, cercando le informazioni non soltanto nella consueta linearità ma anche intorno a sé, rendendo mobile e vivace lo sguardo alla stessa stregua di stimolatissime sinapsi.
In questo modo emerge la ricchezza di pannelli che senza eccedere in verbosità dispensano continuamente informazioni basiche, osando anche sfiorare l’affresco storico e l’idillio figurato…
… impiegando tutti gli attrezzi forniti dallo storytelling, dall’illustrazione antica…
… ad attraenti raffigurazioni arcaiche…
… passando per inserti scenografici che sembrano citare l’arte contemporanea…
… e gigantografie consapevoli della propria valenza spettacolare potente come la propria funzione apodittica…
… adottando più volte la tecnica della vetrina riassuntiva che concentra in un colpo d’occhio un intero argomento, tanto da farne una cifra stilistica convincente e parecchio apprezzabile…
… utilizzando perfino gli scalini come espedienti teatrali per giocare con i volumi e amplificare gli svelamenti tematici…
… affiancandovi l’infallibile evidenza del plastico e del modello in scala…
… mentre le dia-proiezioni azzardano l’aggiunta decorativa senza fallire nell’intento.
La proposta così organizzata ha diversi meriti: permette in tempi ragionevoli di assimilare genesi, sviluppi e approdi di una città di raro fascino, sollecitando riflessioni intime nell’osservatore e impartendo una raffinata lezione di museologia moderna.
Ulteriori ragioni per considerare fondamentale la visita a questo museo, sia che si voglia comprendere Ravenna in profondità sia che si voglia corroborare l’orgoglio di appartenere al nostro Paese.
Info: https://classisravenna.it/