Il Museo Criminologico di Roma: in mostra delitti e castighi
Un viaggio unico nel lato oscuro dell’essere umano. Il Mu.Cri, Museo Criminologico di via del Gonfalone 29 a Roma, è molto più di un’esposizione di reperti di eventi delittuosi e delle pene che ne sono scaturite: è un percorso tra le aberrazioni che possono condurre un essere umano a uccidere, atto non meno cruento di certi violenti metodi di correzione e sanzione.
Non un catalogo di efferatezze da parte di buoni e cattivi, quindi, bensì una discesa agli Inferi dal taglio quasi poetico che racconta tantissimo della nostra specie, alla luce dell’eterna lotta tra Bene e Male.
Significativo che di un simile museo sia titolare il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, egida istituzionale che garantisce rigore scientifico laddove si potrebbe trascendere nel macabro gratuito: invece tutto lo storytelling si attiene a criteri oggettivi e scientifici, per quanto sia possibile razionalizzare la ferocia.
Altamente simbolica anche la sua sede odierna, quel Palazzo del Gonfalone che nel 1827 fu fatto costruire da Papa Leone XII con la funzione di carcere minorile.
Come istituzione però il Museo Criminologico è stato fondato nel 1930 dall’Amministrazione penitenziaria, quale “utile supporto per lo studio del sistema penale e penitenziario, oltre che strumento scientifico per la formazione di funzionari e magistrati e di divulgazione al tempo stesso”.
Dopo alterne vicende, ha ricevuto nuovo slancio nel 1994, sulla spinta di un rinato interesse per lo studio dei sistemi penitenziari e della criminologia.
“L’esposizione”, spiegano i gestori, “tra i tanti reperti in mostra, di antichi strumenti di punizione e di esecuzione capitale, testimonia la crudeltà dei sistemi punitivi del passato, contrapposti alle finalità della pena sancite dalla Costituzione, principi su cui si fonda l’Ordinamento penitenziario vigente”.
Tre le sezioni. Nella prima, in mostra gli strumenti di tortura e quelli per l’esecuzione delle pene capitali: le gogne, il banco di fustigazione, l’ascia per la decapitazione, la Vergine di Norimberga…
… il collare spinato, la sedia di tortura, la “briglia delle comari”, scudisci, fruste, nonché il mantello rosso del celebre Mastro Titta, boia dello Stato Pontificio.
Nella seconda sezione, dedicata all’Ottocento e agli studi di Antropologia criminale, ecco frammenti di storia carceraria, reperti sui manicomi giudiziari e il fenomeno del brigantaggio.
Nella terza sezione, “una sorta di Wunderkammer (stanza delle meraviglie) del crimine per l’eterogeneità degli oggetti esposti: reperti provenienti dalle carceri italiane in un arco di tempo che va dagli anni Trenta agli anni Novanta del Novecento”.
Quindi “testimonianze di fenomeni devianti e criminali: spionaggio; criminalità organizzata; ricettazione e furto di opere d’arte; gioco d’azzardo. Un’area è dedicata agli omicidi ed ai fatti di cronaca che suscitarono molto scalpore negli anni del secondo dopo guerra”.
Da questo museo è transitata anche la triste storia post-mortem di Giovanni Passannante, l’anarchico che nel 1878 attentò senza successo alla vita di re Umberto I. Secondo alcuni storiografi, si trattò di un tentativo volutamente fallito, al fine di attirare l’attenzione sulle istanze libertarie sostenute da Passannante: una vicenda controversa raccontata anche in un film del 2011, diretto da Sergio Colabona, il quale documenta proprio la discussa vicenda della sepoltura dell’anarchico nella sua città d’origine, Savoia di Lucania. I resti di Passannante sono stati ospitati in questo museo dal 1936 fino al momento della loro riconsegna alla sua città, nel 2007.
Andiamo a visitare il Museo Criminologico con la responsabile Assunta Borzacchiello.
Info: www.museocriminologico.it