Museo del Carbone: nella Grande Miniera Serbariu, la storia di Carbonia
Il Museo del Carbone è letteralmente e concretamente profondo, perché prevede anche una reale discesa nelle viscere della terra e un viaggio alla base del sacrificio necessario per la sopravvivenza umana: si trova nella Grande Miniera di Serbariu a Carbonia nella provincia del Sud Sardegna e rappresenta una delle esperienze culturali più importanti e formative che si possano fare in Italia.
L’esposizione dialoga tra la superficie della realtà e le sue radici, con una netta dicotomia tra la parte superiore con l’allestimento divulgativo e quella sotterranea che attiene all’ambito esperienziale.
Il percorso di visita si propone come un dedalo di grandi pannelli che creano corridoi labirintici che indirizzano i passi dell’osservatore mentre lo impregnano di valori cognitivi, attraverso testi altamente leggibili e una narrazione che mantiene sempre alto il livello dell’attenzione…
… favorito anche da un buon impianto scenografico aiutato da bacheche e aree che esaltano il reperto e la sua funzione…
… puntando sul particolare affidato a commoventi testimonianze materiali dei minatori…
… e modelli che illuminano sul valore dell’architettura funzionale e sul genio ingegneristico applicato alle esigenze della produzione…
… fino a dettagli che esondano nella nobiltà dell’installazione creativa, instaurando osmosi tra tridimensionalità e linguaggio fotografico…
… senza rinunciare all’efficacia dell’impatto visivo dell’oggetto monumentale.
In questo modo si apprende che “il sito minerario di Serbariu, attivo dal 1937 al 1964, ha caratterizzato l’economia del Sulcis e rappresentato tra gli anni ’30 e ’50 una delle più importanti risorse energetiche d’Italia”.
Viene spiegato che “il carbone è una sostanza combustibile di colore nero o scuro tendente al nero” frutto “della lentissima decomposizione (pirolisi) di biomasse, perlopiù resti di accumuli vegetali, sepolte sotto coltri di sedimenti con spessori variabili”.
Nel Giacimento del Sulcis il primo ritrovamento di frammenti di carbone risale al 1834, atto che porterà alla realizzazione del “distretto minerario più importante d’Italia”. Esso infatti “è situato entro un’area ricca di giacimenti minerari differenti (piombo, ferro, zinco), tradizionalmente caratterizzata da una densità di popolazione molto bassa e da un’economia agro-pastorale fino a quando, nella seconda metà dell’Ottocento, fu intrapreso lo sfruttamento sistematico delle risorse del sottosuolo”.
Un’attività che ha segnato profondamente la storia della comunità locale, quella indigena ma soprattutto l’altra composta dai tantissimi lavoratori spinti fin qui dal bisogno e pronti a immolare anche la propria salute pur di garantire la prospettiva di un’esistenza migliore alle proprie famiglie.
La miniera di Serbariu venne chiusa ufficialmente nel 1971, conducendo inevitabilmente al deterioramento degli impianti e a un’opera di spoliazione che ne ha favorito il degrado. Questo ha spinto l’Amministrazione comunale di Carbonia a intervenire per salvare il patrimonio immobiliare della ex miniera e impedirne lo smantellamento, fino al recupero del complesso e alla sua ristrutturazione “a fini museali e didattici”, portando alla nascita del Museo del Carbone.
Museo che “include i locali della lampisteria, della galleria sotterranea e della sala argani”.
Se “nella lampisteria ha sede l’esposizione permanente sulla storia del carbone, della miniera e della città di Carbonia”, in un ampio locale è allocata “una preziosa collezione di lampade da miniera, attrezzi da lavoro, strumenti, oggetti di uso quotidiano, fotografie, documenti, filmati d’epoca e videointerviste ai minatori”.
Esaurita questa parte, si passa all’affascinante desolazione del paesaggio esterno, quasi una cesura necessaria che introduce alla galleria sotterranea che “mostra l’evoluzione delle tecniche di coltivazione del carbone utilizzate a Serbariu dagli anni ’30 alla cessazione dell’attività, in ambienti fedelmente riallestiti con attrezzi dell’epoca e grandi macchinari ancora oggi in uso in miniere carbonifere attive”.
Si incontra subito la sala argani che “conserva al suo interno il macchinario con cui si manovrava la discesa e la risalita delle gabbie nei pozzi per il trasporto dei minatori e delle berline vuote o cariche di carbone”, insieme a evidenze che rendono intellegibili i sistemi produttivi della struttura.
A questo punto si deve scegliere il proprio caschetto protettivo, gesto che crea empatia con il luogo ma soprattutto con le tante vicende umane di cui è stato testimone.
Si scende quindi nelle gallerie della miniera e qui il cambio di registro è brusco e scuote le coscienze, perché si avverte epidermicamente cosa hanno vissuto le migliaia di persone che in questi ambienti hanno speso la propria vita.
Toccano il cuore le immagini dei minatori del tempo, tra la loro ingrata sofferenza…
… e l’intatta capacità di fare germogliare un sorriso anche nelle condizioni difficili in cui lavoravano.
La visita in quest’area è obbligatoriamente guidata anche per ragioni di ovvia sicurezza.
Chi conduce la visita è sempre molto preparato e ha un’impostazione prepotentemente pedagogica che si traduce in una mole grandissima di informazioni che sfiorano il nozionismo, rendendo però autenticamente istruttivo il tempo trascorso nel museo.
Da aggiungere quanto la permanenza in un ambiente buio, sterrato e angusto consenta di trasferire all’osservatore la potenza evocativa dell’epopea qui vissuta, fondamentale per comprendere tutte le anime della Sardegna ma anche le basi antropologiche della società italiana.
Nel video che segue, le riprese dell’intera visita che abbiamo svolto nel museo, dove abbiamo avuto la fortuna di trovarci casualmente insieme alla figlia di un minatore che aveva lavorato qui, le cui lacrime ci hanno contagiato, così come i ricordi d’infanzia che ha voluto condividere con noi, rafforzando il valore anche sociale di questo importantissimo centro culturale.
Info: https://www.museodelcarbone.it/it/