Museo del Patrimonio Industriale a Bologna, la Tecnica come cultura
Il ritratto sorprendente di una Bologna tecnologica lontana dallo stereotipo umanistico che si fonde con la vivida narrazione del prodigioso ingegno dell’Uomo: ha più livelli di lettura il Museo del Patrimonio Industriale, gioiello dalle peculiarità uniche e capace come pochi di rendere avvincente e popolare la funzione pedagogica di una struttura espositiva.
Si trova in via della Beverara 123, angolo suggestivo del capoluogo emiliano che fonde archeologia industriale e qualche scorcio di ambiente ancestrale offerto dal Canale Navile realizzato nel 1887, in prossimità del quale sorge la Fornace Galotti Battiferro che dopo la cessazione dell’attività produttiva nel 1966 è stata ristrutturata dall’amministrazione comunale “con criteri di conservazione per il forno Hoffmann e di recupero per gli ambienti dei piani sovrastanti, destinati all’essiccazione dei materiali crudi”.
Nell’edificio “venivano prodotti laterizi da costruzione (mattoni, forati, tegole, tavelle, comignoli) e terre cotte ornamentali (cornici, mensole, vasi), occupando circa duecento addetti” che lavoravano a “fuoco continuo”, come rievoca un diorama posto all’ingresso del museo che mostra la struttura in sezione.
Oggi invece qui si raccoglie memoria e si produce cultura per mezzo di collezioni “composte da più di 1000 pezzi di natura e provenienza composita”, come “macchine, plastici, modelli, apparecchi e strumentazione scientifica, exhibit interattivi”, dando vita a un allestimento permanente articolato in cinque sezioni dislocate su 3.500 m², tre piani e sei percorsi, sotto l’egida dell’Istituzione Bologna Musei del Comune di Bologna, al centro dell’area Patrimonio Industriale e Cultura Tecnica.
L’intento di partenza è documentare, visualizzare e divulgare “la storia economico-produttiva della città e del suo territorio dall’Età Moderna a quella Contemporanea”.
Impresa non facile data la vastità dell’ambiente, la quantità di materiali e la ricchezza di avvenimenti da narrare, ma l’obiettivo viene centrato grazie a strumenti di storytelling tanto semplici quanto efficaci, a partire da pannelli generosi nelle informazioni ma attenti a essere intellegibili a tutti, tradotti in lingua inglese e con indicazioni anche per i non vedenti.
Il percorso incontra al piano terra il forno Hoffmann, al cui interno “sono conservate le collezioni di strumenti scientifici, modelli, macchinari appartenuti all’Istituto Aldini-Valeriani”, indicata come la più antica scuola tecnica della città.
Qui la visita procede “lungo le principali tappe tecnologiche della Rivoluzione Industriale a Bologna, documentando i profondi legami con il suo sviluppo industriale tra XIX e inizio XX secolo”.
Illuminante la vicenda di questa scuola nata come risposta alla crisi settecentesca effetto di una grave deindustrializzazione, attraverso la creazione di corsi di istruzione tecnica ritenuti “il mezzo più efficace per aggiornare maestranze e sistemi di produzione alla nuova realtà industriale”, aprendo “a forme di insegnamento destinate a segnare profondamente la moderna industrializzazione della città”.
Di grandissimo interesse in tal senso potere osservare “l’evoluzione delle metodologie didattiche dell’istituzione Aldini-Valeriani parallelamente all’ammodernamento urbanistico e al progressivo sviluppo economico della città con la nascita delle prime aziende meccaniche come la Calzoni, la De Morsier, le Officine Meccaniche di Castel Maggiore”.
Stupiscono soprattutto i dispositivi tesi all’insegnamento esperienziale, modelli che illustrano meccanismi e funzioni scaturiti da applicazioni ingegneristiche.
E’ così che si dipana il concetto concreto di scuola-officina che rappresenterà un modello educativo per quasi un secolo, come raffigurato da un emozionante corredo fotografico.
Attorno al forno invece sono allocate “la sezione dedicata alla Fornace Galotti e alla produzione dei laterizi ed una seconda incentrata sul comparto del packaging”.
Il dedalo espositivo prevede al secondo piano il racconto di cinque secoli di eccellenza bolognese “dall’antica produzione della seta che sfruttava un sofisticato reticolo di distribuzione delle acque per la forza motrice, alla novecentesca produzione meccanica e meccatronica”, mentre nel piano intermedio “si forniscono dati, informazioni ed esempi di nuovi ritrovati innovativi”.
Anche in questo caso le mappature contribuiscono a rendere immediati i processi cognitivi dei visitatori, guidandoli con elegante piglio divulgativo.
Prende la sfera emotiva la sezione dedicata alla Bologna dell’acqua e della seta che consente di scoprire una città che nel ’400 “è stata leader nella produzione serica grazie a innovazioni tecnologiche e di processo che ne hanno determinato l’affermazione a livello internazionale”.
Qui c’è un copioso ma ragionato dispiego di “ricostruzioni scenografiche, exhibit, plastici e strutture audio-video”.
Troneggia l’impressionante “modello funzionante in scala 1:2 di mulino da seta alla bolognese, ricostruito dal Museo per recuperare la memoria di questa macchina straordinaria andata perduta nell’Ottocento”.
Si trattava di un opificio con i connotati di un luogo quasi di culto, visto che a carico dei suoi operatori vigeva l’obbligo dell’assoluta segretezza, con pene severissime per i trasgressori, compresa quella capitale.
E’ tempo quindi di scoprire “le caratteristiche uniche del sistema idraulico artificiale di cui la città si dotò fin dal XII secolo”, con l’illustrazione di una Bologna molto diversa da oggi in quanto avviluppata da corsi d’acqua e relative diramazioni, grazie a un sistema “composto da chiuse (sul fiume Reno e sul torrente Savena), canali (di Reno, di Savena, delle Moline e Navile) e chiaviche, condotte sotterranee che distribuivano a rete l’acqua in molte zone della città” e perfino la presenza di un porto urbano.
La disponibilità di tale risorsa idrica e il suo intelligente sfruttamento da parte dell’Uomo ha consentito alla città “di recitare un ruolo da protagonista nel panorama della proto-industria europea e del grande commercio internazionale per oltre quattro secoli”.
Dopo un passaggio dalla Bologna Capitale del Packaging, si viene nuovamente rapiti da una sezione di raro fascino che narra La moderna città della cultura meccanica, con “alcuni prodotti simbolo della moderna città industriale”, dalla macchina da tortellini Zamboni-Troncon all’ACMA 713 per confezionare l’Idrolitina, passando per le auto da corsa dei Fratelli Maserati.
In tale ambito “i casi/prodotto analizzati puntano l’obiettivo su sistemi complessi di conoscenze quali l’organizzazione del network produttivo, il modo di operare di tecnici ed imprenditori, l’agire dell’innovazione e del sistema economico che li sorregge, la diffusione delle competenze e l’affermarsi di qualità e capacità competitive”.
All’interno di tale tomo espositivo “è possibile approfondire le dinamiche alla base dello sviluppo dei comparti del packaging e della motoristica e osservare come una produzione meccanica diffusa si manifesti anche nella presenza di una moltitudine di piccole officine in grado di fornire prodotti di alta qualità.”
Il Museo del Patrimonio Industriale di Bologna si inserisce in una nobilissima tradizione intellettuale che affonda le sue radici negli albori della congiunzione virtuosa tra industria e cultura avvenuta a partire da circa due secoli fa, i cui prodromi sono ravvisabili nelle esposizioni universali di primo ’800, contando tra gli epigoni fondamentali dal Conservatoire national des arts et métiers creato nel 1794 al Musée de l’industrie de Bruxelles istituito nel 1827, fino al South Kensington museum (poi Victoria & Albert museum) fondato nel 1852, senza dimenticare Il Regio Museo Industriale di Torino che già nel 1862 adottava pionieristicamente il modello ibrido che univa a una sede espositiva scientifica dei corsi di formazione tecnica.
Nel video che segue, le riprese effettuate durante la nostra visita al museo, ammirato nei criteri di allestimento come nello spirito di missione culturale che lo anima, contribuendo ad accrescere la considerazione pubblica della cultura materiale.
Info: http://www.museibologna.it/patrimonioindustriale