Museo Etnografico del Centro Studi Walser di Rimella (VC), in Valsesia
Era una casa abitata fino a quaranta anni fa, oggi è un presidio della memoria di una comunità: in questo intreccio di dimensione privata ed epopea di un popolo risiede parte del grande fascino della casa un tempo degli eredi Vasina che a Rimella ospita il Museo Etnografico, l’Archivio Etnolinguistico e il Centro di Documentazione Walser.
Tanta meraviglia in un piccolissimo centro piemontese di poche decine di abitanti della provincia di Vercelli si spiega con l’epica dei Walser che secoli fa giunsero fino a questo angolo della Valsesia, contrassegnandone la storia con la loro cultura.
Ma anche con la loro architettura, come dimostra la pregevole fattura e la genialità edile di questa casa tipica appartenuta a Felicita Vasina e “probabilmente fino al 1930 dalla sua famiglia”.
Una costruzione nello stile dei walser di Rimella “costruita su tre piani, a scalare sul terreno con gli accessi direttamente dall’esterno”, in cui “il piano terreno era adibito a stalla (der gàdu), il piano mediano era quello in cui abitava la famiglia e vi era la cucina (ts virhüüsch) mentre il piano superiore era usato come fienile (der schtadal)”.
Singolare la caratteristica composizione architettonica che vede strutture portanti in pietra e pareti divisorie in legno, oltre al marchio di fabbrica di “pareti perimetrali costituite da travi orizzontali portanti incastrate ortogonalmente (blockbau)”.
La casa oggi appartiene al Comune di Rimella che dopo “un attento e complesso intervento di restauro” ne ha fatto “un museo dell’uomo e della sua montagna che mette in evidenza i caratteri e i valori fondamentali dell’esperienza materiale che lo circonda”.
Infatti il museo “indaga la cultura materiale del sistema agrosilvopastorale della montagna rimellese con la sua tecnologia ingegnosa e versatile conservatasi praticamente intatta fino alle soglie dei nostri tempi avendo consentito per secoli la sopravvivenza materiale della comunità walser”.
I temi trattati sono “l’attività molitoria (che si realizzò sopratutto nella frazione Grondo), l’estrazione, il trasporto e la posa in opera delle piode, il ciclo agrario (l’alpeggio, la fienagione, la concimazione dei campi, la sfogliatura degli alberi…), il lavoro nel bosco”.
A testimoniare quanto il museo sia sentito dalla comunità locale, la circostanza che un buon numero di oggetti esposti sono stati donati proprio dagli abitanti del territorio, i quali hanno contribuito anche con le proprie testimonianze orali ad acquisire gli elementi storici e le conoscenze che hanno consentito, una volta organizzati, di realizzare l’appassionante racconto di una splendida civiltà.
Una narrazione che utilizza strumenti di comunicazione come la scrittura e l’audiovisivo, attraverso pannelli e documentari.
Ma è il dato materiale a trionfare, con oggetti o immediatamente intellegibili o altamente evocativi, i quali spesso sono incastonati tra parole e immagini, quasi a comporre delle installazioni analogiche ancora più intuitive e stimolanti di quelle digitali che invadono la moderna museologia.
Ma l’ottimo gusto della curatela si spinge verso ambiziose composizioni che divengono fedeli ricostruzioni di ambienti di lavoro…
… se non addirittura gigantesche pagine di un libro ideale, ricche di spunti cognitivi, da sfogliare impalpabilmente con la propria sensibilità…
… fino a immaginifiche proiezioni che sembrano sfondare la quarta parete teatrale per trascinare l’immaginario in fughe verso l’infinito, dialogando elegantemente anche con il linguaggio della fotografia.
Senza trascurare la commozione cui inducono certi oggetti che ricordano la struggente fatica della vita in montagna.
Si ha un soprassalto quando poi si scopre che qui si è mantenuta la medesima tradizione presente in Canton Ticino che dà vita alla Farina bòna, derivante da mais tostato.
Abbiamo appreso che il fautore del suo recupero in Svizzera, Ilario Garbani, è venuto fino a qui per tentare di metterne a sistema la produzione, come ha già fatto con successo nella sua Valle Onsernone (http://www.farinabona.ch/), ma senza suscitare interesse cooperativo, dato che chi ancora lavora tale farina nella zona di Rimella ci tiene a mantenere i segreti di produzione tramandati da generazioni.
Tutto magnificamente gestito dal Centro Studi Walser di Rimella che rende viva la struttura attraverso interessantissime iniziative, come incontri, corsi di lingua tittschu e pubblicazioni di notevole valore scientifico e antropologico.
Senza dimenticare il prezioso contributo reso alle isole linguistiche germaniche dell’arco alpino che si sono organizzate per tutelare la propria specifica eccezione culturale.
Nel video che segue, una nostra ideale visita guidata in questa imperdibile meta museale.
Info: http://www.centrostudiwalserrimella.it/museoetnografico.html