Museo Ferroviario di Pietrarsa, treni storici per viaggiare con la mente
Il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa fa letteralmente e inevitabilmente viaggiare i visitatori con la mente, tra memoria collettiva e fierezza aziendale.
Sorge necessariamente nel luogo dove tutto è iniziato, a Portici, nei pressi di Napoli, ovvero la tratta in cui venne inaugurato il primo tragitto ferroviario dell’allora Regno d’Italia: 7.406 metri che collegavano Napoli a Portici in dieci minuti.
Il treno che percorse per primo quel tratto era composto da due convogli trainati da locomotive gemelle, la Vesuvio e quella Bayard di cui è presente nel museo la riproduzione realizzata nel 1939 in occasione dei primi cento anni compiuti dalle Ferrovie dello Stato.
E’ uno dei prezzi pregiati che si incontrano nel corso di “un affascinante viaggio nel tempo tra le locomotive e i treni che hanno unito l’Italia dal 1839 ai nostri giorni, in 170 anni di storia delle Ferrovie italiane”.
Emoziona incunearsi tra le imponenti sagome di questi romantici mezzi di trasporto che hanno cambiato la nostra vita, contribuendo tanto al progresso materiale quanto alla cementazione di un’identità nazionale.
Sembra di vederle le persone su quei sedili, magari i ricchi sui velluti e i meno abbienti in terza classe, tutti intenti a coltivare sogni e bisogni, affidati alla grande possibilità offerta dal treno di muoversi in tempi celeri, superando isolamenti secolari e aprendo gli italiani al contatto con gli altri.
Come ogni buon museo aziendale che si rispetti, alcuni suoi pezzi pregiati sono frutto della passione di chi ha lavorato per le Ferrovie Italiane, come l’ex dipendente Otello Brunetti, la cui passione per il modellismo è sfociata nella creazione dello stupefacente plastico Trecento treni.
Diciotto metri di pannelli che riproducono in miniatura un grande nodo ferroviario, citando la stazione di Santa Maria Novella a Firenze, ma incastonandola in un paesaggio montuoso.
Sbalordisce la precisione dei dettagli, sia nel riprodurre le parti strutturali che nel ricreare i paesaggi naturali.
Lo abbiamo sorvolato con la nostra telecamera.
Altri modellini esposti sono quelli utilizzati dagli ingegneri nella fase di progettazione dei mezzi: notevole la funzione didattica, ma forte anche la sua carica suggestiva.
L’epica del viaggio permea ogni angolo dei grandi spazi espositivi, dove gli allestitori hanno avuto grande gusto nel ricreare perfino alcune sale d’attesa d’antan, in un rarissimo esempio di connubio tra precisione tecnica e cura artistica.
La sensazione di viaggiare nel tempo avviluppa mentre si ammirano treni storici, locomotive a vapore, carrozze e automotrici, rotaie, passando dai vecchi elegantissimi mezzi della famiglia reale a quelli più moderni che hanno segnato l’evoluzione delle tecnica industriale italiana.
Di grande suggestione le Littorine: “costruite dalla Breda di Milano e dalla Fiat di Torino” raccontano dalla Fondazione Fs Italiane..
… “sono una tipologia di rotabile ferroviario tipicamente italiano, nate negli anni ’30 per sostituire la trazione a vapore sulle linee a scarso traffico, economizzandone così la gestione”. Definiti “dei veri e propri autobus su rotaia”, sono ritenute tutt’oggi tra le più alte espressioni raggiunte dall’ingegneria meccanica italiana.
Abbiamo voluto vivere l’emozione di salire a bordo di una littorina esposta al museo: ecco come si presenta al suo interno.
Di grande effetto anche la Sala Cinema, sul cui schermo scorrono spezzoni di film che hanno visto i treni come set se non come protagonisti.
Essendo stati gli ambienti espositivi anche la sede delle antiche officine, di cui sono evidenti le tracce strutturali, è d’obbligo che in questi locali siano conservati utensili e grandi macchinari.
Il primato dell’impatto in magnificenza spetta comunque al padiglione in cui si trovava il reparto tornerie, datato 1840 e quindi edificio più antico del complesso: “è noto con l’appellativo La Cattedrale per gli imponenti e magnifici archi a sesto acuto che gli conferiscono un aspetto suggestivo e maestoso”.
Se tutte queste ragioni di interesse non dovessero bastare, si aggiunga che il complesso si staglia su uno degli scorci più belli dell’area partenopea.
Il nero profondo della pietra lavica che cinge la zona spiega perché la località un tempo chiamata Pietra Bianca mutò il nome in Pietrarsa, dopo l’eruzione del Vesuvio del 1631.
Ebbero buon gusto i regnanti dell’800 a stabilire qui le officine “dell’opificio borbonico che ospitavano i reparti specializzati nelle varie lavorazioni del ciclo produttivo”.
In questi spazi si trovava un tempo “il più grande e moderno polo siderurgico italiano”, nella definizione del volume Napoli insolita e segreta (Edizioni JonGlez), mentre oggi vi sorge uno dei musei più preziosi della nazione.
Grazie alla gentile concessione della Fondazione Ferrovie dello Stato Italiane, vi proponiamo in chiusura un servizio dedicato al Museo in cui il direttore della Fondazione, Luigi Cantamessa, ci guida tra gli ambienti del museo e attraverso le storie che esso racconta.
Info: www.museopietrarsa.it