Specialmente… a Napoli: dove mangiare la pizza
Le migliori pizzerie di Napoli: viaggio tra classici e grandi scoperte
E’ inevitabile: il mondo della pizza napoletana è talmente appassionante che è impossibile sottrarsi al partecipare al campionato per eleggere la migliore.
Infinito il numero di testate giornalistiche, blog, iscritti a social network o di singoli che si sono cimentati nell’asserire di essere i depositari della verità su chi faccia la pizza migliore a Napoli.
Come negli sport popolari, si sono formate accanite tifoserie che con calore sostengono questo o quell’altro pizzaiolo, con lo stesso effetto dei cori da stadio: un vocìo assordante che sarà suggestivo ma non ha mai portato l’avversario a cambiare idea. Perché come con la squadra del cuore, la pizzeria più amata non la si cambia mai, neanche quando è in calo.
Proibitivo quindi il nostro sforzo di realizzare un reportage sulla pizza a Napoli che abbia la pretesa dell’oggettività.
Perché anche noi, umanamente, abbiamo delle preferenze.
Le dichiariamo subito.
Consideriamo quale pietra angolare della vera pizza napoletana quella sfornata Da Michele, l’originale, in via Sersale: amiamo la sua radicalità nel proporre soltanto due tipi, la margherita con il fiordilatte e la marinara, null’altro; niente dolci né antipasti; una sola marca di birra; ambiente e modi spartani. Ma ci siamo innamorati di quel suo impasto soffice dalla consistenza volatile: a ogni boccone, scuotevano la testa commossi, increduli davanti a tanta bontà scaturita dall’assoluta semplicità.
Sul versante pizza fritta, invece, siamo pazzi per la Masardona. Lo siamo da prima che conoscesse una comprensibile ma per noi inopinata fortuna mediatica. Quando abbiamo scoperto questo posto, anni fa, aveva un’aura di culto per intenditori, per quelli che vanno a cercare prelibatezze nei bassi dove la storia della pizza è nata. Oggi invece se ne sono accorti tutti di questo piccolo tempio di delizie fritte, perfino qualche programma televisivo trash.
E’ la comunicazione, bellezza, e non ci possiamo fare niente.
Ma la pizza fritta qui insieme a due chiacchiere con il titolare rimangono una delle vette esperenziali della gastronomia napoletana.
Molto meglio di un noto locale specializzato in pizze fritte come De Figliole, i cui modi scorbutici dei gestori ci hanno fatto desistere dal metterci piede: bisognerebbe spiegargli che i clienti non possono essere un fastidio per un pubblico esercente e che ogni domanda di un consumatore è legittima.
Ancora sul fronte delle delusioni, la peggiore esperienza l’abbiamo fatta al Trianon di via …. Sapendo che a quei tavoli in passato si sono accomodati Totò, Peppino e tanti attori del teatro omonimo che si trova di fronte, ci siamo andati con un grande carico di aspettative. Ma già mettendo piede nel locale, la vista dei pizzaioli che cazzeggiavano non ci ha trasmesso una sensazione di serietà. La degustazione del prodotto poi ha confermato i timori: una pizza gommosa che si appiccica ai denti quando la si mastica, con ingredienti insapori, un vero strazio. Un paio di morsi e abbiamo desistito, lasciandola nel piatto quasi intera: per rispetto alla vera pizza napoletana, abbiamo pagato e lasciato immediatamente il locale.
Ben consapevoli che a Napoli uno dei partiti più nutriti è quello che vota Starita, dove si fa un’ottima pizza ma più croccante e tenace rispetto all’iconografia gustativa trasmessa dalla tradizione, abbiamo scelto altre strade per questo Speciale, individuando maestri pizzaioli o ricette di pizza in grado di rappresentare non soltanto il proprio specifico ma un’intera tipologia.
Abbiamo così da una parte la star mediatica della pizza 2.0 e dall’altra il paladino della tradizione studiata sui libri, poi la scoperta di un posto più popolare e spartano dove fanno ancora la pizza fritta come una volta, quindi la spiegazione chiara e golosa di cosa sia davvero la pizza a portafoglio, fino al tributo a una forma misconosciuta di pizza da strada, la montanara.
Il nostro è il tentativo di dare un contributo per comprendere ancora meglio perché la pizza napoletana sia un mito intramontabile in tutto il mondo.
Su questa fortuna internazionale della pizza napoletana, abbiamo chiesto lumi a uno dei protagonisti dello Speciale, Gino Sorbillo.
Gino Sorbillo, a Napoli il futuro della pizza ha un cuore antico
Se c’è qualcuno che sta portando prepotentemente la pizza napoletana nella modernità questo è Gino Sorbillo. Forte dei suoi trentanove anni, metà dei quali spesi davanti a un forno, Gino ha capito che anche la tradizione più antica deve dialogare con i linguaggi contemporanei, se vuole mantenersi in vita e rafforzarsi.
Questo senza tradire minimamente la sua storia. E come potrebbe tradire la storia della pizza uno che viene da una famiglia che ha contribuito a scriverla.
Sorbillo è una famiglia storica di quest’arte: il nonno di Gino ebbe ventuno figli, tutti pizzaioli. Gino ne sente forte l’eredità, ma sa bene che oggi ogni attività ha bisogno di comunicazione. Così non si tira indietro quando c’è da sfoderare la sua favella brillante, allenata con le frequenti apparizioni televisive che hanno reso più sicuro l’eloquio e il modo di porsi in pubblico.
Ma se entri nel classico locale di via dei Tribunali 32, non c’è traccia di vanità mediatica: tutto è come una volta e il richiamo al passato è potente, come in quei cartelli che richiamano l’antica abitudine della “pizza oggi a otto”, grazie alla quale le persone in difficoltà potevano mangiarla subito e pagarla la settimana successiva.
Anche la sua pizza più radicale ha radici antiche. E’ la pizza a ruota di carretto, così chiamata per le sue dimensioni esorbitanti che la portano a esondare dal piatto.
E’ Gino Sorbillo a spiegarci questo tipo di pizza.
La Margherita di Sorbillo è di vecchia scuola: soffice, con impasto arioso e caduco, sormontata da ottimo fiordilatte ed eccellente salsa di pomodoro, con ricco contributo di salsa di pomodoro.
Con un impasto così buono, ogni condimento si esalta, quindi potrete divertirvi a scegliere tra le tante pizze in carta, dedicate in buona parte a chi lo ha preceduto in famiglia in questa nobilissima attività.
Gino è un fautore dell’eretico accostamento della pizza al vino. Da provare il Per’ e’ Palumm della casa: maturo, succoso, gradevolmente fruttato, senza spigoli, con una punta di acidità che lo rende perfetto con la pizza.
Abbiamo raggiunto Gino nel suo affollatissimo locale: per trovarlo, basta percorrere via dei Tribunali e notare dove c’è la fila più lunga.
Gino è una star, ma guai a distoglierlo dal suo vero amatissimo lavoro, creare e infornare pizze: tra ospitate televisive e conferenze internazionali, non vede l’ora di correre nella sua pizzeria per assolvere alla missione di famiglia.
Ci siamo fatti raccontare il suo mondo, protagonista del presente, proiettato al futuro, ma solidamente poggiato su un glorioso passato.
Info: www.sorbillo.it
La Notizia è che a Napoli c’è la pizza colta: la fa Enzo Coccia
Enzo Coccia è il Professore della pizza napoletana.
L’ha studiata a fondo, in ogni direzione.
Da storico, non si è accontentato della vulgata né delle leggende metropolitane, ma è andato a cercare fonti attendibili, divorando ogni libro che contenesse anche un lontano riferimento alla pizza.
Da archeologo ha cercato testimonianze materiali della cultura secolare della pizza, trovando oggetti e vestigia di quando si vendeva per strada.
Da cronista, ha conosciuto e incontrato generazioni di pizzaioli, raccogliendone le storie.
Ma da buon artigiano dell’arte culinaria, non avanza pretese intellettuali per tutto questo suo studio forsennato: con ammirevole umiltà, traduce il suo grande sforzo culturale in un gesto quotidiano semplice e grandioso insieme, fare la pizza.
E la fa magnificamente. Tempo infinito per la lievitazione naturale. Ricerca indefessa delle migliori materie prime. Rispetto altissimo delle tecniche tradizionali. Grande attenzione alla digeribilità. Cura maniacale dei dettagli.
Così perfino gli arredi del suo rinomato La Notizia ti raccontano la storia della pizza, nei due locali gemelli di via Michelangelo da Caravaggio, al civico 53 e al 94.
Le pareti sono come delle pagine di un libro, su cui scorrono vedute di Napoli, idilli partenopei, ma anche suggestivi ritratti della gente che la pizza l’ha fatta e l’ha mangiata, tra vicoli popolari e squarci di meraviglia.
Poi ti siedi, apri il menu e ti rendi conto che se Coccia è il professore della pizza, allora La Notizia ne è l’Università.
Ogni voce di menu non è mai scontata. Ogni pizza, è una storia a sé.
O ti racconta il Territorio, attraverso i prodotti identitari che ne rappresentano gli ingredienti.
Oppure ti narra il passato remoto della Pizza stessa, quando la Margherita non era ancora nata e nessun ignorante mistificatore si permetteva di dire che fosse quella la prima della Storia.
Perché ben prima c’è stata la Masto Nicola, la radice più antica della pizza napoletana. Difficile, rustica, severa, proprio come il Tempo in cui fu creata, quando la mozzarella era un lusso e non ce la si poteva permettere su una povera pasta lievitata.
Al massimo, ci poteva stare una spolverata di formaggio avanzato, da far nevicare su strutto e “cigoli”, ovvero prodotti scaturiti dal grasso del maiale. Oggi quella pizza della povera gente rappresenta un piatto per intenditori, privo di ogni ruffianeria. Abbiate il coraggio di farvela preparare proprio con lo strutto e preparatevi a un gusto mai provato prima.
Pagato questo debito con la Storia, sbizzarritevi pure ad andare a spasso per la Campania con le pizze di Coccia: Pomodori San Marzano DOP, Mozzarella di bufala campana DOP, Pomodorini del piennolo gialli, Ventresca paesana (pancetta), Scarola, Olive di Gaeta, Melanzane a funghetto, è lunga la lista delle squisitezze che finiscono sulle pizze di questo Maestro.
Segnaliamo tra tutte l’ottima pizza Del Fornaio, con il vero salame napoletano in grande evidenza.
A questo aggiungete un raro senso della cordialità. Può anche avere il locale stracolmo ed essere assalito dal lavoro, ma Enzo Coccia ha una parola per tutti: ci tiene proprio a curare i suo avventori, uno per uno, personalmente.
Come dimostra il video che segue, in cui ci accoglie nel suo locale e ce lo descrive.
Info: www.pizzarialanotizia.com
Le vere Pizze Fritte: l’oro di Napoli si trova nei Quartieri Spagnoli
E’ la tipologia di pizza più affascinante che esista a Napoli. Perché la pizza fritta ha al suo interno storie e leggende che la rendono molto di più di un semplice alimento.
La storia nota è quella di una pietanza preparata nei bassi, abusivamente, in pentoloni pieni d’olio sfrigolante posti ai bordi delle strade e preferibilmente le donne a governarli. Tutti hanno presente la citatissima immagine di Sophia Loren che la prepara in questa maniera nel film di Vittorio De Sica L’oro di Napoli. Lì a fare da supporto era la pizzeria Starita, dove ancora oggi le pareti sono tappezzate di immagini che ricordano quel passaggio cinematografico.
Poi la Storia muta in altre storie quotidiane che si intersecano con la pizza fritta, come la consuetudine di pagarla a ogge a otto, ovvero la settimana successiva rispetto a quando la si consumava.
Quindi interviene il mito, come quello che vuole non del tutto scomparsa l’abitudine di fare le pizze fritte clandestine ancora in strada: accadrebbe sempre nei bassi, senza preavviso, dei raid golosi ai quali soltanto gli esperti della città giurano di aver assistito pure di recente.
Tutto ciò alimenta il fascino di questa pizza ad alto impatto iconografico, la cui portata emotiva pretende però che venga consumata in maniera consona alla sua storia.
Sicuramente buona per esempio la pizza fritta di Di Matteo, però mangiarla comodamente seduti sembra togliere qualcosa all’esperienza di una simile preparazione, identitaria della storia povera della città.
Alla stessa maniera è fuori luogo la burbera ruvidezza di chi risponde al telefono al De Figliole, tale da fare passare la voglia di recarsi al locale.
Esperienza corretta invece quella della Masardona, dove la pizza fritta viene fatta in un piccolissimo spartano locale che si affaccia sullo stesso marciapiede in cui un tempo la medesima famiglia dei gestori di oggi la preparava per strada.
Poi ci sono le sorprese. Ci è capitato infatti di andare alla ricerca di carnacuttari nella zona dei Quartieri Spagnoli in cui si servono trippa e interiora, per imbatterci invece in un posto che è la più autentica rappresentazione di cosa dovrebbe essere la pizza fritta a Napoli.
Si chiama Pizze Fritte e già dalla scelta del nome chiarisce il suo approccio semplice e minimale. Si trova in via Simonelli 38 ed ha l’aspetto di un laboratorio di panificazione. Un piccolo tavolo per fare gli impasti, il tradizionale pentolone d’ordinanza pieno d’olio ribollente, quindi giusto uno scarno tavolino dove volendo potersi appoggiare per mangiare la pizza sul posto.
Per il resto, parla l’estrema bontà della loro pizza fritta. Ci sono alcune varianti, ma quella classica imprescindibile è la “completa”, farcita con ricotta, cicoli, provola e pepe, cui, volendo, qui possono aggiungere un po’ di salsa di pomodoro.
Tutt’intorno, una vena urbana della Napoli più autentica che profuma di bella umanità. Un luogo di cui ci siamo innamorati perché è fuori da ogni classifica, lontano dalla considerazione delle inutili guide, distantissimo dal chiacchiericcio sulle pizze più buone, alieno alle banalizzazioni dei vuoti personaggini televisivi di passaggio.
Qui pensano soltanto a fare le pizze fritte per la gente comune. E le fanno buonissime. Basta.
Abbiamo documentato qualche istante della lavorazione di questa meraviglia.
La Montanara, l’altra pizza fritta resa immortale da Donna Sophia
E’ il tipo di pizza napoletana più bizzarro e meno conosciuto: la Montanara. Una sorta di pizza fritta vuota, sormontata da salsa di pomodoro e formaggio, rifinita con un ciuffo di basilico.
La vedi fare capolino dai banchi del cibo di strada a Napoli e ti chiedi come possa essere questo strano connubio tra l’impasto della pizza fritta e il condimento di quella al forno. Ve lo diciamo noi: è strepitosamente gustoso.
Tecnicamente bisognerebbe più correttamente parlare di una pasta cresciuta e non di una pizza fritta, visto che al suo interno non contiene alcuna farcia.
Anche per questa preparazione la storia affonda parecchio indietro nel tempo. Secondo alcuni, come per il pane cafone, si tratterebbe di una specialità portata in città dai forestieri, in questo caso provenienti dalle alture campane. Per il sito Il Tempio della Pizza invece è un “piatto che compare intorno al 1600 in un testo tradizionale di Antonio Valeriani: una ricetta antica, tipica delle domenica” (iltempiodellapizza.wordpress.com).
Dal punto di vista della realizzazione, si tratterebbe di una tipica ricetta basata sugli avanzi che come la più nota classica pizza fritta veniva smerciata nei bassi, nei vicoli popolari.
Anche in questo caso, come per la più canonica pizza fritta, l’eterna fama della montanara è legata al film L’oro di Napoli di Vittorio De Sica e alla prorompente figura di Sofia Loren che le prepara nella pellicola.
Proprio in un locale che echeggia nel nome l’attrice-icona della Napoli popolare oggi si trovano le migliori espressioni di questa specialità.
Se vi trovate in centro, virate verso via dei Tribunali al numero 89, dove la pizzeria Donna Sophia tracima per strada con le sue delizie: tra queste, un’eccellente Montanara.
Sbalordisce il goloso singolar tenzone tra acido e salato che ti si scatena al palato: una tale tempesta di sapore che il ricordo organlettico ti rimane in bocca a lungo.
Il ricordo emotivo di questa squisitezza invece rimane indelebile.
Info: www.pizzeriadonnasophia.it
La pizza a portafoglio o a libretto: a Napoli la bontà fa strada
Se state ancora cercando di capire se la pizza napoletana si possa definire cibo di strada, a sgomberare ogni dubbio c’è la pizza a portafoglio o a libretto. Un modo di prepararla pensato espressamente per il suo consumo per strada, ovvero proprio il luogo dove anticamente è nato questo cibo.
Si tratta di una pizza che può essere ripiegata su se stessa e chiusa con una modalità che ricorda appunto quella con cui si apre e chiude un portafoglio. In tal modo diventa possibile consumarla per strada, anche in piedi o a passeggio, impiegando una sola mano e senza rischiare del tutto di sbrodolarsi.
Per giungere a questo risultato, si tende a fare delle pizze dalla circonferenza più piccola del normale, ma soprattutto con i cornicioni meno spessi, per permettere la piegatura della pasta.
Tra le più condivisibilmente celebrate c’è quella dell’Antica Pizzeria Port’Alba, nei pressi di piazza Dante, la quale si vanta di essere “la più antica di Napoli: nasce infatti nel 1738 per rifornire i venditori ambulanti, nel 1830 diventa pizzeria e osteria con tavoli e sedie per gli avventori”.
Al numero 18 di via Port’Alba, quasi sotto l’omonima porta da cui mutua il nome, un espositore espone sempre questa versione street di autentica pizza napoletana.
Diciamo “autentica” perché le ridotte dimensioni e il cornicione meno pronunciato non inficiano minimamente le sue qualità organolettiche. E’ una pizza buonissima quanto quelle al piatto, anche perché è sempre appena sfornata, quindi al massimo della sua fragranza.
Il modo di mangiarla così ripiegata mette in risalto la qualità dell’impasto, facendo finalmente concentrare il consumatore sull’elemento principale del gusto di una pizza.
La cottura nel forno a legna regala magnifiche note al sapore pieno e sincero di questa pizza on the road.
Camminare per la città addentandola, ti dà la sensazione di mangiare l’essenza stessa di Napoli.
Info: www.anticapizzeriaristoranteportalba.com