Osteria dei Peccatori: a Gallarate il paradiso può attendere, la Gola no
Se questo è il ritrovo di chi fa peccato, allora nessuno vorrà più andare in paradiso. Perché in pochi luoghi di ristorazione al mondo ci si sente beati quanto all’Osteria dei Peccatori di Corso Colombo 39 a Gallarate, in provincia di Varese. Qui ci si inebria con il profumo della cucina di una volta, coltivata con toccante passione da Marco Colombo, cuoco giovane innamorato della memoria antica.
E’ commovente osservare quanto Colombo sia devoto a una gastronomia autenticamente popolare, tanto quanto è sorprendente verificare che questo suo approccio pauperista non rinuncia a un forte impianto intellettuale. Riesce infatti a fare una cucina semplice ma al tempo stesso colta e raffinata. Dimostrando che ci vuole grande intelligenza e autentica conoscenza per fare la cucina di tradizione, al contrario dello sciocchezzaio degli stellati innovativi.
Il posto scelto per allocare l’osteria ha probabilmente influenzato o quanto meno suggestionato la scelta di cucina povera e popolare di Colombo. Infatti in questi ambienti c’era un vecchio Cral, Circolo Ricreativo Aziendale dei Lavoratori: si tratta di una forma associativa gestita da rappresentanti dei lavoratori e spesso cofinanziato da un’azienda, con lo scopo di organizzare varie attività ludiche, come viaggi, tornei sportivi, gite per bambini, uscite a teatro. In un ambiente così autentico, i piatti che si servivano ne rispettavano la schiettezza.
Sono stati proprio i vecchi frequentatori del Cral a chiedere di rimettere in carta un piatto di allora rimasto scolpito nella loro memoria.
Negli anni ’60 ai fornelli del circolo c’era un vecchio cuoco piemontese che faceva uno stufato d’asino molto amato dagli avventori del tempo, i quali magari venivano nel locale semplicemente per guardare uno dei primi televisori in bianco e nero. Colombo ha così contattato il vecchio presidente del Cral di quel tempo e insieme sono riusciti a rintracciare l’anziano cuoco, facendosi svelare il segreto della sua ricetta, a grandi linee, perché non era abitudine dei cuochi scriversi le ricette, basandosi invece sulla tradizione orale. E’ una sorta di gulash di asino con tante cipolle e aromatizzato con la paprika. Ecco come Marco Colombo ci ha riferito la storia dell’antica ricetta orale dello stufato d’asino dell’osteria.
Cucina alla vecchia maniera, la stessa che da sei anni Colombo ha riportato tra queste mura.
Si parte alla mattina preparando il brodo, con quattro verdurine e un ginocchio di manzo o vitello, affinché dia sostanza ai piatti e supporti la cucina dell’osteria tutta la giornata.
Servirà per esempio per insaporire l’ossobuco adagiato accanto a un magnifico risotto alla milanese.
Per ottenere attendibilmente i sapori antichi, Colombo chiede amichevolmente consulenza ai suoi parenti della zona o agli anziani del posto, per farsi raccontare com’erano e riproporli fedelmente.
Vale anche per le abitudini.
Emoziona che Colombo abbia mantenuto la tradizione di servire un bicchierino di grappa per accompagnare la sua straordinaria cassoeula: è meraviglioso gustare quel tripudio di carne saporita insieme all’elegante e sorniona Francoli di vinacce di Vespolina. Cassoeula ricca ma con misura, fatta secondo tradizione, a eccezione della scelta di non usare più le estremità del maiale. Sempre in carta, vale il viaggio, anche in aereo.
Immancabili in questo contesto i brüscitt, quelli tipici bustocchi, secondo la ricetta depositata in Camera di Commercio. Vari tipi di carne di manzo tagliati al coltello, cotti con vino rosso, lardo, burro, aromatizzati con l’erba buona, un sacchettino di finocchio e aglio.
Serviti con una rustica polenta di mais di Marano perfetta per densità, i brüscitt dei Peccatori sono quasi balsamici per il forte apporto aromatico del finocchietto. Il Magistero dei Bruscitti di Busto Grande ha più volte approvato la loro ricetta, certificandone l’autenticità.
La trippa è fedele alla ricetta milanese, quindi con i fagioli: notevole la misura della cottura, in equilibrio tra edibilità e golosità.
Ben differenti sono invece i mondeghili, qui chiamati mondeghitt come si usa a Busto: la particolarità consiste nell’aggiungere ai classici fondi degli arrosti e al pane grattugiato in casa, anche la fedeghina bustocca, una mortadella di fegato.
Proviamo pure il ganassino, un guanciale di manzo tenero e gustoso.
Fin qui la poesia radicale. La quale però non può bastare a spiegare perché il locale sia sempre affollato. La ragione è che Colombo è un ragazzo sveglio e conosce così bene il gusto popolare da essere in grado di assecondare anche il palato di chi non chiede necessariamente grandi voli intellettuali a ciò che si ritrova nel piatto. Così il cuoco scatena il suo talento anche in preparazioni più divertenti e conviviali.
Su tutte, un trionfo di ben sette tipi di cotolette, tante quanti i peccati capitali dei quali portano i nomi, in ossequio alla denominazione del locale. Fatte in stile orecchia d’elefante, alcune cambiano stagionalmente. I gestori sanno bene come deve essere la classica costoletta alla milanese, ma grazie a questa invenzione hanno alimentato la propria fama popolare.
Ecco allora un perfetto esempio di come si possa unire l’auspicabile impegno culturale di un oste con la sua legittima necessità di far quadrare i conti. Abbiamo così chiesto a Colombo di farci una panoramica della sua offerta culinaria.
A completare il quadro idilliaco di questa osteria, la presenza in sala di Anna Mascolo, raffinatissima esperta di vini, ma soprattutto instancabile ricercatrice di nettari autoctoni. Anche per il vino infatti nel locale viene seguita la strada della tradizione: niente intrugli modaioli, soltanto vini che abbiano una storia e un legame vero con il proprio territorio.
E’ così che nel cuore del varesotto si può scoprire un raro vino autoctono campano come il Bariletta, rivelazione per la quale non smetteremo mai di ringraziare Anna.
Info: www.osteriadeipeccatori.it