Paestum, Parco Archeologico e Museo per narrare l’immenso fascino intellettuale della Magna Grecia
Non un consueto tragitto tra ruderi e reperti, bensì un autentico cammino filosofico materico quanto emozionale, in cui ogni passo sul selciato è una tappa del Pensiero e ciascuna tangibile traccia della memoria si erge a sineddoche delle vette della civiltà umana: visitare il Parco Archeologico di Paestum trasmette la vivida sensazione di camminare a un metro da terra, sollevati dalle miserie del quotidiano mentre si osserva estasiati una continua ode all’Intelligenza e tributi in serie al saper fare, fino allo sbigottimento di un museo capace di tradurre la Storia in bellezza.
L’ente che cura magnificamente questo bene culturale della Campania situato a Capaccio in provincia di Salerno, nel Cilento, usa uno slogan per tutto il complesso secondo il quale “un altro mondo è possibile”, poiché ritiene l’area l’essenza dell’archeologia e dell’antropologia storica, per la possibilità di scoprire “l’architettura, l’arte, i riti, la cultura della Grecia antica”, simbolo della “varietà della vita umana nella storia”.
La “porzione di città antica che si visita oggi, corrisponde al suo cuore dove si trovavano tutti i monumenti più importanti: i due santuari con i famosissimi templi, l’agorà greca e il foro romano con i templi e le tabernae e la basilica e il macellum…
…. “l’ekklesiasterion rotondo, cioè il luogo dell’assemblea dei cittadini, che però i romani trasformarono in discarica” per evidente atto di sfregio verso il popolo sottoposto…
… e “il cenotafio, cioè la tomba vuota, dell’eroe fondatore, il padre della patria, simbolo dell’identità della città”, così carismatico e rispettato che “nessuno osò mai toccarlo, per secoli, neppure i Romani”.
Da notare come Paestum fosse una città molto “al femminile” perché protetta da due grandi dee, mentre i templi costruiti dai Greci tra VI e V secolo a.C. sono stati “sempre conservati come luoghi di culto per tutta l’antichità, così sono giunti pressoché intatti fino a noi”, tanto da rappresentare oggi “i templi antichi meglio conservati al mondo”.
Ad alimentare il mito del posto, l’avere dato i natali a importanti correnti filosofiche, soprattutto nella vicina Velia che con questo Parco crea un ente culturale unico, patria della scuola eleatica di Parmenide e Zenone.
Essendo il messaggio del Parco più che mai eterno, è congruo il suo mettersi in dialogo con l’arte contemporanea, come accade con la collocazione tra i templi dell’opera Cavallo di sabbia di Mimmo Paladino.
Si trova “nello spazio tra il tempio di Hera e quello di Nettuno, nel santuario meridionale” ed è una scultura coperta di sabbia alta circa 4 metri che “offre molteplici spunti per riflettere sull’architettura, sulla ritualità e sulla mitologia antica e su che cosa tutto ciò ci può dire oggi”.
Esperito il percorso esterno nell’area archeologica, l’esperienza va completata attraverso la visita al contiguo eccellente museo archeologico.
A spingere negli anni Trenta del secolo scorso l’allora soprintendente Amedeo Maiuri a realizzare il museo è stata l’esigenza di “costruire una nuova casa per le splendide metope (cioè i pannelli in pietra figurati) del Santuario di Hera alla foce del Sele”: l’edificio d’impronta razionalista vedrà però la luce nel 1952 e “da allora le metope svettano sulla cella costruita apposta perché i visitatori le ammirino dal basso come gli antichi”.
Tra tanta meraviglia, affascinano in particolare le lastre dipinte che “raccontano i temi più diffusi nella pittura sepolcrale delle tombe lucane, ossia quelle realizzate nel quarto e terzo secolo avanti Cristo, quando altre popolazioni italiche si affiancarono ai greci nella vita quotidiana a Paestum”.
Notevolissime le fedeli ricostruzioni di ambienti anche sepolcrali, come nel caso di una quasi intatta Tomba lucana.
Un classico irretirsi innanzi ai tanti affreschi di rara grazia figurativa, come quello raffigurante la corsa dei carri a due cavalli (350 a.C.).
Tanti i capolavori d’arte decorativa, come la “raffigurazione di Dioniso trovata a Paestum: pelike attica del 480-470 a.C. scoperta nel 1976 nella tomba di un bambino, è contemporanea alle rappresentazioni tragiche di Eschilo”.
Il capolavoro assoluto che da sempre stupisce il mondo, compreso chi scrive, è però l’incredibile Tomba del tuffatore, opera del 480/70 a.C. che incanta il pubblico e fa interrogare gli studiosi, perché dal punto di vista artistico ha un’originalità e insieme una modernità che sbalordiscono.
Scene di tuffi ne esistono tante nell’arte antica, ma sono sempre contestualizzate in un ambiente naturalistico, quindi raffigurano il soggetto che si staglia su sfondi di piante, rocce o contesti realistici in cui possa essere presente uno specchio d’acqua.
In questo caso invece siamo davanti a un’opera che possiamo senza dubbio definire concettuale, in cui la scena è astratta da ogni contesto plausibile con la realtà fenomenica: il tuffatore si staglia su uno sfondo astratto di bianco candore appena sporcato da tenui ombreggiature ed ectoplasmatici ghirigori, in una cristallizzazione temporale che lo vede raggelato in un preciso istante del suo gesto plastico, egli fisso e immobile mentre tutto il resto scorre, anticipando di ben 2.500 anni la formidabile intuizione di Bill Viola nella sua opera The Reflecting Pool datata 1977–79 che riproduce esattamente lo stesso soggetto.
La conferma della straordinaria anticipazione di temi estetici ancora lontani dall’apparire.
Basta leggere i commenti che arrivano all’ente gestore per comprendere quanto Paestum con il suo Parco Archeologico e il Museo riesca a toccare le corde emotive dei visitatori, conquistandosi l’affetto e stagliandosi nei loro ricordi più cari.
Altamente consigliata la visita guidata, poiché la struttura è popolata da personale molto preparato, consapevole del privilegio di essere contatto con una perla dell’Umanità e realmente appassionato alla sua divulgazione: abbiamo potuto provare tutto ciò in prima persona, poiché ci è toccata la fortuna di essere seguiti dall’esperto e generoso Marco Vasile che ha trasformato l’esposizione in una sorta di lectio magistralis indimenticabile.
Info: https://www.museopaestum.beniculturali.it/