Panificio Cuttone a Paternò (CT), eccellenza dell’arte bianca italiana
Chiunque lo abbia provato, farà fatica a trovare un altro pane che sia all’altezza: perché quello sfornato dal Panificio Cuttone in via Circumvallazione 327 a Paternò , in provincia di Catania, è l’archetipo assoluto del vero pane, quello di tradizione mediterranea che si trova nel Sud Italia.
La consistenza fitta, la mollica dalla perfetta umidità, la crosta croccante, il profumo di grano, l’alveolatura perfetta, la fragranza ancestrale, sono caratteristiche che fissano il concetto stesso di Pane, espresso da Cuttone al massimo della qualità possibile. Se affermare che Cuttone faccia il pane più buono d’Italia è tesi ascrivibile alla sfera soggettiva (ma plausibile), è invece incontrovertibilmente oggettivo che in questo forno si dia quotidianamente una lezione di panificazione all’Italia intera.
Oltre al pane vanno annoverati tutti i prodotti da forno.
A partire da scacciate di clamorosa bontà, anche in questo caso perfetta espressione della tradizione, sia per l’impasto che per gli ingredienti della farcitura.
Notevolissima però anche la sperimentazione cui si sta assistendo negli ultimi anni, la quale ha portato alla creazione di ottime versioni di dolci nordici delle ricorrenze, come il panettone e la colomba.
A gestire il panificio oggi è Filippo Cuttone: lo abbiamo intervistato per capire come si faccia a raggiungere un livello così alto.
Da quanti anni esiste il panificio, chi l’ha fondato e chi l’ha gestito in questi anni?
“Il panificio conta due precedenti lunghe gestioni, nell’ordine Antonino Vitellino (fondatore) e la famiglia Rosano, dalla quale i miei hanno acquistato l’attività nel 1979. I miei hanno gestito l’attività fino al 2011. Dal 2011 a Gennaio 2013 io e mio padre abbiamo costituito impresa familiare fino al mio subingresso come unico titolare nel Gennaio 2013”.
Esiste una filosofia generale che contraddistingue lo stile di lavoro del panificio?
“Sul lavoro l’unico amico di cui ti puoi fidare è La Bilancia. Contrariamente a quanto si può pensare la panificazione richiede precisione e rigidità di esecuzione. Il resto lo fanno la conoscenza e l’esperienza. Un altro punto fermo che contraddistingue la nostra filosofia lavorativa, e spesso ci fa andare contro corrente, è la convinzione di non voler scendere a compromessi.
La qualità e l’unicità dei nostri prodotti va preservata al di là delle tendenze del settore che spesso propone prodotti omologati da fast food che consentono di abbassare i costi di produzione e semplificano i processi lavorativi, ma che poco hanno a che fare con un prodotto d’eccellenza”.
Quali grani usate? Quali tipi di molitura?
“Da noi il grano principe è ancora il grano duro, dal quale si ottiene la semola rimacinata utilizzata per fare il nostro prodotto di punta, il casereccio. Tra i grani duri da noi panificati annoveriamo anche il Timilia, un grano autoctono che acquistiamo già pulito da una azienda agricola locale. In quest’ultimo caso abbiamo convenuto di accorciare la filiera acquistando un mulino a pietra da laboratorio e procedendo ad una molitura integrale sempre fresca, che conserva tutte le proprietà organolettiche, proponendo così al cliente un prodotto monovarietale (in quanto il Timilia non viene miscelato con altri grani).
Una buona fetta di mercato viene rappresentata dal grano tenero in tutte le sue sfaccettature: farine deboli per biscotto secco, farine medio-forti per prodotti di media durata di lievitazione, fino ad arrivare alle cosiddette farine forti utilizzate per i grandi lievitati”.
Quali tipi di pane fate? E quali prodotti da forno?
“Ricordo ancora quando da bambino imparai a leggere e, nei pomeriggi passati al panificio, giocavo ad imparare a memoria prezzi ed ingredienti di tutti i prodotti inseriti nel listino; ricordo ancora il cartello con su la scritta “pane calmierato”. Allora quando riuscii nell’impresa mi sentii soddisfatto e fiero. Oggi, l’impresa sarebbe un tantino più ardua. Il lavoro è più variegato e il mercato ci stimola molto più che in passato. Allora ecco che i pani tradizionali come il pane casereccio, il pane di farina 00 ed il pane di pasta dura, vengono oggi contornati da altri prodotti, dal pane azzimo al pane di soia, dal pane integrale convenzionale al vero pane integrale che oggi si chiama pane di farina integrale, dal pane ciabatta ai panini al latte, all’olio.
E’ una realtà in continua evoluzione nella forma dei prodotti e nella sostanza degli impasti e non sono inusuali richieste personalizzate dei prodotti secondo le esigenze del cliente.
Oggi un forno che si rispetti deve anche presentare altri prodotti”.
“Si parte con una colazione assortita nella quale non possono mancare le tipiche brioche siciliane con lo zucchero (quelle col tuppo per intenderci), per proseguire poi con pezzi di tavola calda catanese, focacce semplici e condite fino ad arrivare ad una vanto tutto catanese che è quello della Scacciata, il cui condimento principe è quello a base di broccoli e tuma.
La sera proseguiamo con pizza al taglio e pizzoli, quest’ultimi sono delle specialità di Sortino, un paesino in provincia di Siracusa”.
“Il nostro è anche un biscottificio. Se da un lato ci sono i biscotti che puoi trovare tutto l’anno, come i biscotti al vermouth, pasta frolle, biscotti al latte, dall’altro ci sono i biscotti e dolci legati al periodo di festa.
Contrariamente a quando si pensa comunemente, in Sicilia siamo dei gran chiacchieroni (lo aveva scoperto illo tempore il buon Jonny Stecchino), quindi spazio alle chiacchiere nel periodo carnevalesco, biscotto fritto a base di farina, zucchero e strutto.
Nel periodo pasquale anche da noi la fanno da padrone le colombe, mentre gli Nzuddi, tipici dolci a base di mandorle e zucchero, trovano sempre meno riscontro nei gusti delle persone.
Altri tipici dolci legati alle festività sono i Totò e le Rame di Napoli nel periodo della festa di ognissanti e della commemorazione dei defunti.
Infine si arriva alla festa per eccellenza, sua maestà il Natale. Ed anche qui il dolce tipico, la Luna, biscotto secco farcito con un impasto di fichi secchi, uva passa, cioccolato, frutta secca e aromi di agrumi, viene affiancato da un dolce adottato, il Panettone”.
Molti prendono da voi gli impasti, per lavorarli a casa: cosa hanno di speciale?
“Molti dei nostri clienti ci confessano di aver provato a realizzare l’impasto a casa e di non aver ottenuto il risultato sperato. Spesso si ritrovano con un impasto che non ti dà il tempo di preparare gli ingredienti e di realizzare il prodotto, in quanto lievita troppo velocemente dando luogo ad un impasto spugnoso e gommoso.
Il nostro è un impasto realizzato con acqua, farina, sale e lievito naturale di nostra produzione che evolve attraverso una lentissima lievitazione ed è quest’ultima a conferire aromi e proprietà organolettiche che rievocano i sapori delle nostre tradizioni”.
Ritengo che il vostro pane abbia un sapore unico: qual è il segreto?
“L’unicità è parte integrante dell’artigianalità.
Un tempo qui da noi ogni quartiere era costellato di forni a legna casalinghi. Ogni quartiere seguiva una turnazione nella panificazione casalinga. La Signora Mariuccia panificava il Lunedì, la Signora Lucia il Martedì, la Signora Barbara il Mercoledì e via dicendo. Fin qui sembrerebbero delle semplici regole di autorganizzazione di quartiere. In realtà il fine massimo era quello di mantenere vivo quel lievito naturale tanto caro che permetteva la lievitazione del pane. Lo stesso, o quasi, ceppo di lieviti saltava quindi di casa in casa quotidianamente. La casalinga di turno aveva l’obbligo di rinnovare il lievito e di passarlo alla vicina che avrebbe panificato il giorno dopo”.
“Vi chiederete cosa c’entra tutto questo con il nostro pane. Beh, fu mia nonna materna a trasferire quel modo di lavorare a mio padre, quando era ancora un ragazzino. Quel gesto galante di passaggio del lievito continuò anche dopo che mio padre acquistò il panificio.
Quand’ero piccolo, ricordo ancora che quando si andava in ferie, al rientro andavi dal collega per farti dare un po’ del suo lievito salvo poi restituire il favore; ma quelli erano altri tempi.
Oggi il lievito viene in vacanza con me. Porto un po’ di farina e provvedo al rinnovo ogni 2/3 giorni, conservandolo in frigo.
Ancora oggi non abbiamo abbandonato quel modo di lavorare, migliorandone di anno in anno il modus operandi al fine di consentire una più facile gestione di un prodotto tanto delicato”.
Quando ha iniziato a fare il panettone e la colomba? E perché ha deciso di produrre dei dolci non siciliani? Come li fa?
“Ai tempi, circa tre anni fa, non mi sono proprio posto il problema della provenienza del panettone, ricordo soltanto che rimasi affascinato dalla lavorazione che vidi descritta in una rubrica enogastronomica. Decisi così di partire con la creazione di un nuovo lievito naturale fatto con la farina di grano tenero. Utilizzai come starter lo stesso lievito naturale che utilizzo per il pane di grano duro. Non fu un successo immediato in termini di gusto del prodotto ma lo sviluppo dell’impasto in forno fu subito degno di nota, la lievitazione naturale in fondo è affar nostro.
Poi, circa due anni fa, iniziai a pensare a una aromatizzazione personalizzata che facesse magari uso di prodotti autoctoni. Caso volle che un amico mi invitasse a una dimostrazione del bravissimo Roberto Rinaldini. In quell’occasione Roberto sponsorizzava una famosa marca di ottimi canditi e ci raccontò di come gli italiani vinsero i mondiali di pasticceria in casa dei maestri francesi utilizzando proprio gli agrumi siciliani come aromi.
Tornai in laboratorio iniziando subito la canditura dei nostri agrumi: fu la svolta. Quell’impasto dalla ottima lievitazione, diventò sublime anche al palato. Quanto siamo fortunati in Sicilia. Abbiamo una terra che fornisce oro che attende solo di essere valorizzato a 360°. La nota dolente è che ciò richiede pazienza, fatica e dei costi che non sono accettabili dai più”.
Credo molto nell’autenticità di questo impasto e mi piace partire dai migliori ingredienti base (farina, uova, miele, burro ..). Ho sempre rifiutato di utilizzare semi-preparati che tanto facilitano la produzione del panettone o della colomba, ma che di contro omologano i prodotti. Ho una branda in laboratorio a farmi compagnia nelle notti che precedono la Pasqua o il Natale. Seguo in prima ed esclusiva persona la produzione (troppo delicata per delegarla). Il risultato: d’estate durante le ferie ho due figli in più da accudire, il lievito che uso per il pane casereccio e il lievito che uso per colombe e panettoni, muffin, biscotti lievitati. Per fortuna mia moglie ha accettato di buon grado questo status familiae e mio figlio, di quasi due anni, inizia già a familiarizzare con il lievito naturale (per la verità dopo il rinnovo gli do un pezzetto dell’eccedenza col quale giocare)”.
Negli anni scorsi il panificio sembrava un locale all’antica, adesso con lei dà la sensazione di essere proiettato nella modernità: dove vuole condurlo, quali sono gli obiettivi per il futuro?
“Siamo semplicemente in continua evoluzione. La speranza è quella di costruire un’azienda sempre più dinamica in grado di rispondere alle nuove esigenze di mercato.
Nel conseguire questo scopo, puntiamo soprattutto sulla formazione del personale e ogni anno aggiungiamo quel quid di attrezzature e cambiamo qualcosa nelle procedure al fine di semplificare il lavoro e migliorare la qualità dei prodotti. Tutto ciò non è realizzabile se non hai una squadra di collaboratori pronti a seguirti nei tuoi folli cambiamenti. Ho scelto pertanto dei giovani non strettamente del mestiere, da formare secondo la mia idea di lavoro. Non è stato semplice neanche per loro, ma nel tempo li vedo crescere professionalmente e devo dire che costituiscono una delle mie più grandi soddisfazioni”.
“Non ci sentiamo mai arrivati al miglior risultato neanche per quello che riguarda i nostri prodotti più consolidati; crediamo ci sia sempre qualcosa, seppur infinitesimale e spesso impercettibile al cliente, da migliorare. Questo è uno degli atteggiamenti che cerco di trasmettere ogni giorno ai miei ragazzi.
Oggi per l’artigiano non esiste un porto sicuro nel quale condurre la propria azienda. Tanto per dare un’idea della variabilità del lavoro, devi studiare la chimica degli alimenti, la correlazione dei suddetti con le malattie alimentari, quali diabete, celiachia ed intolleranze varie, al fine di rendere sensibile la propria produzione a tali esigenze.
Oggi non è soltanto l’artigiano a creare il proprio mercato, ma è forse più il mercato a plasmare la bottega dell’artigiano. E’ anche per questo motivo che stiamo cercando da qualche tempo di essere sempre più presenti sui social, perché rappresentano un formidabile vetrina di confronto tra noi e il cliente”.
Questa attività così antica come la panificazione, ha per lei anche un significato culturale? Vi sentite custodi di una tradizione millenaria?
“Quando parliamo di pane, parliamo forse dell’alimento principe sin dall’antichità (almeno per la civiltà occidentale). Rappresenta esso stesso un simbolo che attraversa testi sacri e detti popolari. Quand’ero piccolo mia nonna mi diceva che la superfice superiore del pane rappresentava il volto di Gesù e che pertanto non lo potevi tagliare se non mettendolo appoggiato su un lato, altrimenti sarebbe stato un sacrilegio.
Dubito che oggi si presti tanta attenzione al pane e ciò che gli antichi ritenevano prezioso oggi assume un ruolo sempre più marginale anche a causa della continua demonizzazione da parte dei media. Credo che questo sia un vero peccato.
Reputo il lavoro dell’artigiano in genere una forma di sapere da curare, rinnovare e approfondire continuamente. L’errore è credere che artigianalità voglia dire staticità o peggio ancora monotonia Al contrario è continuo studio e innovazione, è aggiungere ogni giorno pagine a un libro millenario per tenerlo vivo. Invece osservo spesso poca attenzione da parte delle nuove generazioni nei confronti di quest’arte che, non trovando accoglienza nelle nuove leve, perde sempre più consistenza. Rischiamo, in nome della globalizzazione, di sacrificare ancora un’altra eccellenza italiana e siciliana”.
Lei ha imparato il mestiere da papà? O ha anche svolto degli studi specifici sulla panificazione?
“Ho la fortuna di avere un grande esempio in famiglia e quindi molte nozioni, le basilari e non soltanto, le ho apprese da mio padre. Diciamo che sono cresciuto con le mani in pasta e ho respirato fin da bambino odori e sapori di quest’arte. E ne ho vissuto i sacrifici che ci stanno dietro.
Tuttavia la strada che mi ha condotto oggi al mio laboratorio ha fatto un giro un po’ più ampio del cosiddetto passaggio da padre in figlio. Infatti dopo la maturità classica ho conseguito una laurea in ingegneria informatica. Esigenze lavorative mi hanno portato a Roma in veste di programmatore e poi di nuovo a Catania come ricercatore universitario. Sebbene amassi molto l’informatica, il cuore era sempre lì, in quel laboratorio.
Inizialmente ho cercato di conciliare le due professioni, ma non si può fare bene entrambe le cose e di conseguenza ho dovuto fare una scelta che non è stata semplice. Tutt’oggi quando racconto questa storia, la maggior parte delle persone mi considera un folle! Ma io credo che ci siano diversi modi per essere Ingegnere, questo è il mio: fondere l’artigianalità della panificazione con conoscenze scientifiche, matematiche, informatiche. Il mio staff spesso mi guarda stranito quando gli parlo di rifrattometro per stabilire il grado di concentrazione dello zucchero, o di pH-metro per valutare l’acidità degli impasti e del lievito naturale. Scherzi a parte, la mia formazione precedente mi consente di affrontare questa professione con una marcia diversa che va oltre le competenze acquisite per tradizione tramandata. Ad esempio particolare attenzione negli ultimi anni ho rivolto alla chimica della panificazione che oggi reputo essere la vera chiave di volta della mia formazione professionale.
“Inoltre il confronto è fondamentale per non arenarsi e per ricevere sempre nuovi stimoli. Ad esempio l’interesse per la Timilia e l’idea di molirla in loco la devo alle interminabili chiacchierate fatte con il dott. Riccardo Lojacono.
Per questo motivo, un po’ per necessità ed un po’ per opportunità, da qualche anno ho iniziato a fare rete con gli altri addetti al settore e non soltanto, incontrando chef, coltivatori di grano, tecnologi, nutrizionisti e trovando sempre più spunti per studiare e fare esperienze che non si trovano sui libri”.
Nel video che segue, una serie di appunti visivi di questo magnifico cosmo artigianalità ricco di competenza e umanità.
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