Pipi e Patate a Gallarate (VA), ristorante credibile con buoni sapori calabresi
La cucina calabrese è uno dei beni culturali più preziosi che esistano al mondo, tanto che meriterebbe ancora maggior fama e diffusione, pertanto è già di per sé una buona notizia l’esistenza di un locale interamente dedicato a tale gastronomia come Pipi e Patate in via Magenta 13 a Gallarate in provincia di Varese, gestito con evidente passione da persone delle medesima regione che ne conoscono bene le tradizioni culinarie e si impegnano per valorizzarle.
Che il ristorante sia un credibile presidio di civiltà gastronomica della Calabria si intuisce fin dal suo nome che inneggia a uno dei piatti maggiormente di culto della regione, una sensazione confermata dalla ricchezza di tipicità tutt’altro che banali dispensate dal menu, attinte anche nelle tradizioni più recondite del territorio, il tutto amplificato a dovere da una rara attenzione per il marketing e la comunicazione, sintetizzato in una ricchissima tovaglietta di carta strapiena di sollecitazioni, la quale tuttavia non appesantisce la mente, anzi, stimola curiosità e conoscenza, assumendo a suo modo il compito didattico di istruire perfino su aspetti glottologici e quasi antropologici.
La possibilità poi di acquistare prodotti tipici confezionati sembra avvalorare la missione di volere far conoscere i sapori di quella terra in ogni modo possibile.
Sapori che arrivano anche a tavola, la cui autenticità fa passare in secondo piano talune discontinuità nell’esito, con qualche pietanza leggermente da rivedere ma anche picchi clamorosi di eccellenza che già valgono l’esperienza.
Fin dal pane, fresco e fragrante, magari non con la densità di quello di Grano di Pellegrina ma comunque perfetto per accompagnare il pasto.
D’obbligo partire con Purpette i Frittedde dalle ricette segrete di mamma Teresa, con delle favolose purpette i melanzane, buone vraciole di carne e croccantissime frittedde di fiori di zucchina, vero trionfo di ghiottoneria.
Forti aspettative sulle Melanzane chine sempre da ricetta segreta di mamma Teresa, da noi provate nella versione “cu sucu e purpette”, in cui è quest’ultimo a impreziosire un piatto apparso non del tutto riuscito, a causa di un ripieno con eccessiva prevalenza di pan grattato e povero invece di spinta organolettica, tanto da avere reso faticoso finirlo.
Gli attesissimi Pipi e Patate sono serviti con la Sasizza arrustuta e anche qui affiorano perplessità per una versione decisamente meno golosa da quella che abitualmente si incontra in Calabria, con le buone materie prime che giungono nel piatto secche e povere di quegli umori che ne contrassegnano il valore sensoriale, ma anche la quantità della porzione lascia a desiderare, sbilanciata sulla carne quando invece l’avventore vorrebbe maggiore presenza dalla parte vegetale.
I citati picchi invece giungono da un primo e un secondo piatto.
La Fileja alla calabrese con cipolla di Tropea, ‘nduja di Spilinga (una finezza usare la denominazione originale e quindi la vera versione, complimenti) e provolone silano offre finalmente quella spinta che ci si attende da questa cucina, una vera esplosione di sapori così estremi da renderlo un piatto coraggioso nel portare a vette elevate il gusto acido insieme al dolce e al piccante, con un bel protagonismo del bulbo in grado di assurgere a rivendicazione identitaria di sapori mediterranei senza compromessi. Da applausi.
Un capolavoro assoluto anche la Carne cu sucu di Nonna Maria, costine e coppa di maiale “cotte a fuoco lento per ore”, tanto da sciogliersi in bocca per la consistenza cremosa che assumono, senza trascurare il sapore straordinario della materia prima esaltato da una cottura prodigiosa. Un piatto che già da solo vale il viaggio.
Da provare anche il Pesce spada alla ghiotta calabrese, con capperi, olive e pomodorino fresco, sapido e dalla forte impronta mediterranea, fatto davvero a regola d’arte, con un plauso alla perfetta cottura del pesce.
Nel Vassoio dei Dolci ci sono diverse curiosità, ma certamente si fa fatica a resistere al richiamo del Tartufo originale di Pizzo nella versione della Gelateria Enrico, formidabile pezzo duro di gelato che gioca sull’incontro di cioccolato e nocciola.
Per le bevande, anche qui è un trionfo di tipicità mutuate da abitudini ancestrali che ben conosce soltanto chi in Calabria c’è stato, come il Vino di nonno Pepè in fiaschetta che noi abbiamo preso in versione “rosatello” obbedendo all’abitudine di farselo servire con il ghiaccio a parte: dalla semplicità contadina, è un nettare corretto con il suo corredo di profumi fruttati e lievi sentori di frutti rossi, con la notevole capacità di stare bene su ogni portata.
Il locale ha spazi un po’ angusti ma i gestori si industriano per consentire la possibilità di tavolate, anche perché parliamo di una cucina che ispira condivisione e infatti l’organizzazione dei piatti spinge all’assaggio multiplo, favorito dalla disponibilità del personale.
Nota di merito per un servizio affidato ad addette molto giovani da lodare non soltanto per la cortesia e l’empatia, ma anche per la capacità di mantenere la calma nei momenti critici e di assorbire con il sorriso qualche lamentela, tanto che andrebbero dotate di maggiore potere decisionale da parte dei titolari pure per gestire in autonomia le situazioni di crisi, al fine di non rallentare la soluzione di alcune problematiche con la farraginosa richiesta del permesso ad agire come accaduto nel nostro caso.
Perfetta invece la gestione del menu, con una rotazione talmente dinamica dei piatti da invogliare a un ritorno, senza dimenticare la possibilità di richiedere specialità tanto rare quanto elaborate prenotando per almeno sei persone, parlando di tipicità che sono patrimoni dell’umanità come lo Stocco alla Mammolese, la Struncatura e il commovente Morzello.
Info: https://www.pipiepatate.it/