Progetto Forme, per eleggere Bergamo capitale europea dei formaggi
Il territorio di Bergamo vanta il maggior numero di formaggi D.O.P. in tutta Europa, nove perle casearie cui vanno sommate altre delizie, quali i Formaggi Principi delle Orobie.
Per affermare questo primato e celebrarlo a dovere, è nato il progetto Forme. Bergamo capitale europea dei formaggi, declinato “in numerosi eventi e iniziative volti a valorizzare la cultura, l’economia e il potenziale di attrazione turistica dell’intero territorio delle Orobie”, il cui svolgimento coprirà questo ultimo periodo di Expo 2015.
Il programma si articola in varie sezioni.
Tra queste, le Casere aperte, “una vera e propria immersione nel gusto che prevede la partecipazione e il coinvolgimento diretto attraverso open day in collaborazione con le aziende di produzione e affinamento”. Bergamo Walking Town, Percorsi tra Arte, Storia e Degustazione, con il Gruppo Guide Città di Bergamo e la Scuola Italiana Nordic Walking che porteranno i visitatori lungo “un percorso pensato per scoprire le bellezze di Città Alta e ammirare l’ex monastero Vallombrosano di Astino”. Forme di Scoperta – Le vie dei formaggi, “percorsi turistici che attraversano le zone di produzione e di alpeggio e raggiungono attraverso il Sentiero 101 delle Orobie i rifugi in quota”.
Sarà anche allestita la mostra Formae, ospitata per tutto il mese di ottobre nel monastero di Astino. L’iniziativa promette di offrire al visitatore un duplice approccio: “artistico, nel quale le eccellenze casearie saranno proposte come veri e propri beni culturali, disegnando un percorso espositivo capace di far dialogare, l’arte del cibo con l’arte figurativa”, insieme a quello esperienziale, con “laboratori e degustazioni per far scoprire e guidare all’identificazione delle caratteristiche uniche dei formaggi bergamaschi e introdurre all’esperienza del gusto”.
Il progetto della mostra non appare originale, essendo simile a quello di molte altre già allestite in passato sul rapporto tra arte e cibo: in questo periodo ce ne se sono in corso o si sono appena concluse diverse in territori limitrofi, come la ben più ricca Arts & Foods alla Triennale di Milano, #FoodPeople al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano (che ha diverse sezioni contaminate con l’arte), Arte e Vino al Palazzo della Gran Guardia a Verona e Il cibo nell’arte a Palazzo Martinengo a Brescia.
Più stimolante allora l’aspetto esperienziale legato alla mostra: “laboratori e degustazioni per far scoprire e guidare all’identificazione delle caratteristiche uniche dei formaggi bergamaschi e introdurre all’esperienza del gusto”.
Non ha giovato, a una mostra che nasce già sulla carta con i limiti appena segnalati, qualche eccesso negativo durante la presentazione nello spazio Coldiretti di Expo: è parsa ridondante la performance istrionica del responsabile dell’allestimento, carica di ribaltamenti di senso ormai talmente vecchi e abusati da risultare stantii, come la frusta formula che vuole “arte da degustare” come il cibo e invece il cibo da vivere come opera d’arte.
Chi ama e conosce l’arte, non sente il bisogno di questi eccessi teatrali: un’esposizione, se è di qualità, deve saper comunicare con la forza della sua proposta. A questo si aggiunga l’invettiva del noto critico d’arte Demetrio Paparoni che appena quattro giorni fa sulle pagine di Sette del Corriere della Sera ha tuonato a proposito della citata esposizione della Triennale che “non basta una mozzarella per fare del cibo un’arte”, sorta di pietra tombale definitiva per tutte le mostre di questo genere.
Altri nei della presentazione, la qualità della cucina e dei vini proposti.
Il catering ha tentato di esibire virtù culinarie rivelatesi però modeste, sfornando piatti che non hanno valorizzato a dovere i formaggi bergamaschi, rendendo visibilmente contrariati alcuni responsabili della manifestazione nei confronti dell’organizzazione del catering della presentazione.
Ci ha pensato la sempre brillante Silvia Tropea Montagnosi a correggere il difetto organizzativo, prendendo in mano la situazione e allestendo al volo, con la complicità di Francesco Maroni, una degustazione di formaggi al naturale, a crudo, apprezzata da tutti.
Altro aspetto della presentazione che non ha convinto, i vini delle Sette Terre proposti in assaggio, i quali si sono rivelati calligrafiche riproduzioni del taglio bordolese e dei vitigni francesi che lo compongono, Cabernet e Merlot. Vini corretti, anche di buona beva, ma che non hanno emozionato: va però citato l’interessante Alessandro dell’Azienda Agricola Valba, in cui si avverte l’attento lavoro sulle uve e sul loro apporto zuccherino.
Il gruppo di vignaioli che produce questi vini vorrebbe lodevolmente valorizzare le peculiarità pedologiche del terreno, ma lo sforzo di trasferirle nel bicchiere appare in gran parte vanificato dall’eccessivo sistematico ricorso al legno nella maturazione dei rossi, senza che il sensibile apporto di barrique o tonneaux riesca a dare un contributo entusiasmante al gusto. Pure l’unico vino rosso non maturato in legno presente alla degustazione, un Merlot, a sua volta non ci è apparso brillante nell’esprimere le caratteristiche varietali del vitigno.
Si è appreso con interesse che lo stesso gruppo di produttori promuove il concetto di “identità territoriale”, intento che però ha fatto apparire contraddittorio che alla presentazione non sia stato proposto nemmeno un vino realizzato con uve autoctone o almeno di tradizione italiana, malgrado qualcuno di loro produca Marzemino e Incrocio Manzoni. Risulta straniante vedere un territorio rappresentato da elementi esogeni.
Eppure nel gruppo c’è chi produce un autoctono bergamasco come il Moscato di Scanzo, il quale si sarebbe sposato benissimo con i formaggi: perché nessuno ha pensato di proporre quel vino, vanto vero del territorio celebrato?
Si avverte come una discrasia che per accompagnare formaggi fortemente locali siano stati proposti dei vini realizzati con i soliti inflazionati vitigni internazionali, la cui storia ancestrale quindi appartiene ad altre nazioni.
Ma se proprio si voleva ricorrere a vini di taglio bordolese o da vitigni internazionali realizzati nella Bergamasca, allora nello stesso territorio se ne sarebbero potuti trovare diversi di più convincente pregio enoico, maggiormente adatti a illuminare la presentazione del progetto Forme.
I vini delle Sette Terre proposti in degustazione in questa occasione infatti non hanno dato la sensazione di potere reggere il confronto con quelli più solidi di molte altre aziende vitivinicole bergamasche, per cui questa partnership appare come un aspetto controverso del progetto Forme.
Gli episodi infelici nell’organizzazione della presentazione e qualche partenariato che lascia perplessi tuttavia non inficiano la valenza complessiva del progetto Forme: è lodevole fare sapere a quanta più gente possibile che Bergamo occupa un posto di eccellenza assoluta nella produzione mondiale di formaggi.
Pertanto vale decisamente il viaggio, immergersi nel territorio bergamasco per scoprire una realtà così importante e variegata.
La parola, davanti alla nostra telecamera, all’ideatore del progetto, Francesco Maroni.
Info: www.progettoforme.eu