Quali sono le erbe selvatiche da cottura?
La scelta di cuocere o meno un’erba selvatica dipende dal tipo di pianta, dalla parte che si preleva, dallo stadio vegetativo in cui si trova e dal periodo dell’anno in cui si fa raccolta. Nella maggior parte dei casi, di conseguenza, si tratta di strade abbastanza ‘obbligate’ dal buon senso, così da rispettare e onorare il più possibile l’ingrediente che madre natura ci dà a disposizione. Andiamo a scoprire qualche altra erba selvatica che ben si adatta alla cottura.
Ortica (Urtica Dioica)
L’ortica irrita la pelle, ma non va visto come un difetto. Ciò si rivela infatti un pregio, perché così viene evitata dagli animali e rimane a disposizione dei raccoglitori – o almeno di quelli provvisti di guanti. E’ infestante, si può coglierne le cimette tutto l’anno, ha un contenuto proteico smodato (il doppio della soia), favorisce la circolazione, aiuta i reni e si presta a preparazioni medicali. Il suo sapore potente e riconoscibile è adatto a tutte le preparazioni di cottura, gnocchi in primis (la sbollentatura dissolve velocemente la tossina). I più coraggiosi potranno prendere le cimette più giovani e fresche, tagliuzzarle o pestarle, aggiungerle quindi a salsa o burro ammorbidito e goderla spalmata su crostini senza grossi timori.
Lamium o Falsa Ortica (Lamium Purpureum, Lamium Album, Lamium Galeobdolon)
Il lamium è facile da riconoscere. E’ simile all’ortica, ma non irrita la pelle; somiglia alla melissa, ma non è peloso né aromatico; ha bei fiorellini commestibili di colore giallo, viola o bianco attaccati al fusto appena sopra le foglie. E’ di sapore buono e intenso, così è bene usarne in piccole quantità, da solo (a scopo degustativo) o aggiunto ad altre erbe (per non influenzare troppo il sapore complessivo). Recentemente mi sono trovato a rivalutarlo molto, perché spiccava per bontà all’interno di un misto di verdure. Provate a utilizzarlo come componente base di polpette vegetali, come sostituto della carne.
Caglio (Galium Aparine, Galium Mollugo)
Tutte piante del genere galium sono assai riconoscibili, per la disposizione a corolla delle foglie allungate lungo il fusto centrale. In passato veniva utilizzata come alternativa vegetale al fine di cagliare il latte; da qui il nome. Pianta diffusissima, ha gusto vegetale intenso; alcune cimette fresche possono arricchire le insalate miste, ma proprio per la sua intensità consiglio di sbollentare i polloni e usarli in modo analogo agli asparagi, in frittate o torte salate.
Panace (Heracleum Sphondilium)
Non confondete il panace o ‘sedano dei prati’ col panace di Mantegazza (Heracleum Mantegazzianum), specie ornamentale “genialmente” importata in Europa a fine ‘800 le cui piante gigantesche han poi infestato valli e prati come specie aliena invasiva. Questa pianta va combattuta e eradicata con attenzione, perché la linfa fotosensibilizza la pelle e provoca ustioni brutte e dolorose; aggiungo però che fortunatamente in Valtaleggio non ho ancora avuto modo di incrociare il Mantegazzianum. Il “nostro” panace è assai più modesto di dimensioni, ha foglia più piccola e assai meno frastagliata, e non duole a nessuno. Tutt’altro, questa pianta colta al momento opportuno si rivela uno dei regali migliori che potete farvi come raccoglitori: il suo tempo è quando inizia a spuntare il broccolo, cioè il giovane fiore, che fuoriesce piegato all’interno della cima per ergersi progressivamente. Allora si coglie il pollone e lo si passa al vapore, lo si assapora e ci si lecca i baffi. La pianta ha gusto di sedano, ma assai più intenso e con aromi di carota; anche i gambi delle foglie giovani sono prelibati, crudi o cotti.
Alliaria (Alliaria Petiolata)
Pianta diffusa in tutta la valle, anche l’alliaria in primavera va seguita con la coda dell’occhio e colta solo al momento giusto. E’ quando ad aprile-maggio il fusto inizia a innalzarsi ancora morbido, diciamo da 20 a 50 cm. Allora si coglie la cima (circa 20 cm) coi primi fiori e la si sgranocchia, cruda in pinzimonio o passata al vapore. Anche le foglie possono essere consumate cotte senza problemi, con l’avvertenza che la pianta unisce un aroma di aglio a un gusto amaro accentuato, che diventa predominante con l’avanzare della stagione.
Lattuga dei boschi (Mycelis Muralis)
Concludo con una prelibatezza riscoperta di recente nelle mie peregrinazioni, di cui è costellata la strada che dal Bonetto sale ad Artavaggio (ma anche il Canto Alto, ad esempio, ne è pieno). Si colgono le cime quando è alta dai 20 ai 40 cm, e in quel caso è opportuno mangiarla cruda e croccante; altrimenti si può saltare ottimamente in padella, a partire dalla rosetta basale, dove risulta simile alla gramigna. Il gusto è di lattuga fresca, ma è più saporita e ha una nota amara in più; se colta nel periodo giusto, proprio questo equilibrio tra dolce e amaro la rende vittoriosa nel confronto al palato con la sua parente “addomesticata”.