Scoprire i salumi attraverso l’arte
La conservazione delle derrate alimentari è sempre stata un’esigenza viva e importante per l’uomo. Allungare la vita di un alimento agendo su di esso attraverso differenti tecniche ha da sempre avuto lo scopo di assicurarsi la sua disponibilità anche nei mesi in cui, secondo le leggi della natura, non poteva essere di certo disponibile. Un aspetto molto pratico certo, che ha permesso la sopravvivenza di individui e comunità anche in momenti difficili, ma anche uno straordinario veicolo per la nascita e sviluppo di quelle che oggi conosciamo come squisitezze.
I salumi indubbiamente rientrano in questa logica, testimoni vivi di un passato non troppo lontano e di un modo di fare economia che oggi verrebbe definito “desueto”. L’arte, in particolar modo la pittura, hanno testimoniato nei secoli non solo le numerosissime tipologie esistenti, ma anche e soprattutto i tanti aspetti ad essi associati.
Questo affresco, proveniente dalla chiesa di Santa Maria Immacolata a Ceri (Cerveteri), ci fornisce un primo esempio: i salumi che fin dai primi secoli del Medioevo venivano appesi in cucina o in appositi locali ad asciugare, come viene anche testimoniato nelle immagini presenti nell’opera di Bartolomeo Scappi, documentando così non solo un uso ma una vera e propria pratica legata alla loro produzione. Un esempio di come le opere d’arte possano essere dei veri e propri documenti per ricostruire tecniche e trasformazioni.
Talvolta però i nostri protagonisti assumono anche funzioni legate agli aspetti sociali; una seconda proposta che desidero inserire è l’opera “Lo spuntino elegante” di Christian Berentz del 1717, presente a Roma presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica. Il quadro è un valido esempio di come un alimento possa essere consumato da ceti differenti. In questo caso il piatto elegante, il pane bianco, i bicchieri e la brocca molto raffinati e in generale tutti gli oggetti, chiariscono la destinazione sociale del cibo raffigurato. Non solo, la presenza di coltello e forchetta sono anche un richiamo alle mutate regole che scandivano il modo di consumare i pasti dei ceti elevati escludendo il contatto diretto con il cibo, ormai ritenuto poco consono per i nobili.
Altre opere possono testimoniare inoltre come alcune tipologie di salumi venissero destinate, presso determinati ceti, ad un consumo straordinario, in occasione di ricorrenze particolari. È quello che si può notare osservando il quadro “L’allegra famiglia” di Jan Steen, del 1668, conservato ad Amsterdam presso il Rijksmuseum. La padella posta a terra e la bambina che dà da mangiare al fratellino conferiscono un tono popolare e al tempo stesso familiare alla scena.
Il pranzo rappresentato è in realtà una vera e propria festa, e ciò si può notare non solo dalla presenza degli strumenti musicali che allietano il momento conviviale, ma soprattutto dal protagonista gastronomico indiscusso dell’opera: il prosciutto, cibo che presso i ceti poveri era riservato alle occasioni importanti. Del resto la coscia, sebbene in generale in epoca premoderna non vi fossero sostanziali differenze sociali legate ai tagli di carne, fu da sempre associata al consumo dei ceti elevati; chi non si ricorda a tal proposito l’episodio narrato da Boccaccio nel Decameron nella novella “Chichibìo e la gru”?!
Storia, tradizioni, usi sociali e gastronomici e, non da ultimo, metodi di produzione, che possono essere indagati come è stato visto, anche attraverso l’arte. Un modo diverso per conoscere il nostro passato gastronomico.