Specialmente… a Chiaramonte Gulfi (RG)
LOCANDA GULFI, DAL VINO ALLA TAVOLA
La nuova Locanda Gulfi è stata “ricavata tra i vinificatori, nel cuore della Cantina Gulfi”. Nasce quindi come costola dell’azienda di Chiaramonte Gulfi (Ragusa) che sta facendo faville nel mondo della produzione enologica.
La collocazione dell’azienda è talmente suggestiva da avere spinto i titolari ad andare oltre le semplici (ma imperdibili) visite in cantina con degustazione, arrivando ad affiancare a vigneti e cantina anche la ristorazione e l’accoglienza.
Il ristorante è stato affidato alle cure dello chef Carmelo Floridia, nativo di Modica, con il proposito di operare “la più raffinata arte di fusione tra la cucina siciliana tipica e i vini prodotti nelle terre dell’Azienda Agricola Gulfi”.
Alla Gulfi ci tengono a ricordare come “la cucina siciliana è molto complessa ed articolata, grazie ai contributi ereditati da tutte le culture che nel tempo si sono stabilite in Sicilia: Magna Grecia, i dolci arabi e le frattaglie cucinate alla maniera ebraica, le prelibatezze dei Monsù, i cuochi francesi delle famiglie nobiliari, passando però per un uso dei prodotti siciliani”.
Segue una forte presa di posizione autarchica, per la quale è “bandito il burro, per un uso quasi esclusivo dell’olio extravergine d’oliva, nel caso del nostro Ristorante è servito solo l’olio extravergine prodotto dall’Azienda Agricola Gulfi”.
In apertura, prima di dedicarci alle loro stuzzicherie, abbiamo voluto provare proprio la potenza di questo loro olio, il quale ha imbevuto magnificamente l’eccellente pane della casa. E’ una monocultivar di Tonda Iblea, quindi erbaceo e moderatamente piccante.
I ravioli di ricotta infornata al finto sugo con formaggio dei poveri, “il nostro ragusano d.o.p. e pane tostato”, hanno una bella storia dietro, appunto quella del cosiddetto formaggio dei poveri, ovvero la mollica tostata che nell’umile cucina dei meno abbienti prendeva il posto dei prodotti caseari da grattugia. E’ proprio questa mollica tostata che qui ti esplode in bocca, potenziando la già buonissima pasta fatta a mano con farine di grani antichi come Russello e Timilia.
Siamo così alla (ri)scoperta del riso siciliano, un tempo coltivato in alcune zone dell’isola prima di sparire con la bonifica dei pantani catanesi o con la sostituzione da parte di altre colture nell’ennese. Si è arrivati pertanto al paradosso dell’assenza di un riso regionale in una regione la cui cucina vede la presenza del riso in diverse preparazioni identitarie, l’arancino su tutte.
Lo chef del locale, Carmelo Floridia, ebbe modo di lamentarsi di questa grave assenza ai microfoni di un tg nazionale e quel giusto rammarico si è trasformato in stimolo in una eccezionale realtà agricola del cuore della Sicilia, la Agrirape di Leonforte, già titolare di alcune delle conserve più buone della Terra, quella alla pesca tardiva di Leonforte, oltre al recupero anche di legumi come la lenticchia nera delle colline ennesi.
Agrirape si è messa al lavoro e da quasi tre anni un riso siciliano è tornato a esistere: un prodotto che nulla ha da invidiare a quelli giustamente celebrati del nord Italia (www.agrirape.it).
Da Gulfi abbiamo provato il riso carnaroli siciliano mantecato al pesto di erbe, con guazzetto di triglie e pinoli: bella la consistenza della base, esaltata dal profumo del finocchietto e dalla fragranza della triglia freschissima appena scottata.
In un territorio interno a 700 metri d’altezza il pesce non poteva essere che quello conservato con antichi metodi naturali, come la salatura: in memoria di ciò, ecco il baccalà cotto in olio, servito con purè di ceci, ricetta alla quale Floridia tiene molto. Delicata la consistenza della carne cotta brevemente in immersione nell’olio, addolcita dalla cremosità della passata di ceci.
Qualunque dovesse essere il vostro percorso nel menu della Locanda Gulfi, è obbligatorio un passaggio dalla costoletta di maialino nero dei Nebrodi ripiena, definita in carta “semplicemente un tesoro gastronomico di Chiaramonte”: ideata da uno storico ristoratore locale, è un piatto comprensibilmente ricco ma per niente unto, di ottimo gusto antico.
“E al termine delle nostre cene”, invita Gulfi, “se non vorrete andare più via, potrete dormire presso le camere della Locanda Gulfi”. Se volete aggiungere ancora una ragione per la permanenza, basti guardare la piscina qui sotto…
Abbiamo chiesto una descrizione di questa sfaccettata struttura a chi la gestisce, Davide Catania.
Info: www.locandagulfi.it
I vini
Gulfi vuol dire vino eccellente, quindi mangiare nella locanda dell’azienda è anche un’occasione per indagarne la produzione, la cui qualità è garantita dal lavoro di un fuoriclasse come l’enologo Salvo Foti. Meticolosa la scelta dei vari terroir da cui Gulfi trae i suoi nettari, una geografia enoica della Sicilia Orientale ben rappresentata dalla cartina sottostante.
Il percorso dei vini proposto da Davide Catania al ristorante, nel corso dell’esperienza gastronomica raccontata sopra, è iniziato con il Valcanzjria blend di due vitigni autoctoni della zona Est della Sicilia, il Carricante e quell’antico Albanello tanto amato dal Maestro Mario Soldati che lo esaltò giustamente nel suo volume Vino al Vino, cui si aggiungono diversi cloni di Chardonnay. Fresco e acido, è perfetto in apertura di pasto.
Si è proseguito con il Carjcanti, un Carricante quasi in purezza con una piccola aggiunta di Albanello. La curiosità è rappresentata in partenza da come possa presentarsi un vitigno tipico dell’Etna come il primo in un territorio diverso come quello ragusano. E’ minerale, dal profumo un po’ torbato, molto elegante.
Il Cerasuolo di Vittoria, unica DOCG siciliana, frutto della magica unione di due glorie isolane come Nero d’Avola e Frappato, scatena al naso un’invasione di frutti rossi, mentre in bocca dà l’appagamento di di un suadente sciroppo, per un vino che sembra di poter masticare.
Al percorso di degustazione aggiungiamo che se volete commuovervi, dovete puntare dritto a quel miracolo chiamato NeroBufaleffj, un Nero d’Avola di incredibile personalità coltivato in una parcella storica del territorio di Pachino: da solo o durante il pasto, illuminerà una giornata indimenticabile.