Specialmente… in Valsassina: le eccellenze gastronomiche
In Valsassina, eccellenze gastronomiche tra industria e artigianato
C’è una valle in Lombardia ancora tutta da scoprire. Si trova in provincia di Lecco e si chiama Valsàssina.
E’ collocata al centro dell’abbraccio delle Grigne con le Alpi Orobie.
Poco più in là, le valli bergamasche, la Valtellina e quel ramo lecchese del Lago di Como fanno sentire la propria vicinanza influenzando la cultura gastronomica di questo territorio.
Terra di formaggi, da quelli più rari e artigianali come il Marscirol fino alle più grandi produzioni industriali: basti pensare che sono nate qui aziende casearie come Galbani, Invernizzi e Locatelli.
A tenere insieme i due mondi, un’azienda come la Mauri, dove le logiche dei grandi numeri rimangono ancorate a una solida tradizione e un potente legame con il territorio, fin nelle sue viscere di pietra.
Ma è anche terra di pasta artigianale tipica, come gli Scapinasc, nonché di celebratissima birra artigianale.
Vi guidiamo alla scoperta di queste delizie…
Gli Scapinasc, i ravioli della Valsassina: storia e ricetta
Questi ravioli in Valsassina vengono chiamati Scapinasc. Il significato deriva dal termine dialettale scapin che sarebbe una calza, fatta con i quattro aghi, di lana grezza; scapinasc invece era una calza-scarpa che veniva fatta con una soletta rinforzata e si portava in casa.
Quando si preparavano questi ravioli, poche volte all’anno per festeggiare, li facevano così grossi e sgraziati che qualcuno ha cominciato a dire: “… ah! L’è gros come scapinasc!”
Vediamo una sintesi video della ricetta, eseguita dallo staff del Ristorante da Gigi di Crandola (Lecco), in Valsassina.
La ricetta degli Scapinasc
Ingredienti
– 400 gr. di farina
– 3 uova: un uovo intero e due tuorli
– 60 gr. di olio
– 200 gr. d’acqua
– sale
– 400 gr. di carne rossa
– 200 gr. di carne bianca
Preparazione
Preparare la farina a fontana, aggiungere acqua, olio, sale e uova, mischiare il tutto a mano e poi tirare la sfoglia molto sottile, meglio se con l’aiuto di una macchina per la pasta.
Lessare la carne rossa per tre ore. Cucinare la carne bianca arrosto con aromi per 40 minuti. Macinare la carne bianca e rossa così da avere un impasto omogeneo da usare come ripieno. Impastare poi con un uovo, la noce moscata, il sale, il pepe e un cucchiaio di parmigiano. Per ammorbidire il ripeino, allungare con il brodo di cottura della carne lessata.
Stendere la pasta a strisce larghe più o meno 15 cm. Posizionare sopra la striscia di pasta un cucchiaino di ripieno dopo l’altro, distanziandolo dal precedente di almeno 5 cm. Chiudere i ravioli ripiegando in due l’impasto, in modo da avere un lato sempre chiuso. Premere e schiacciare con le mani tutto intorno al ripieno sui tre lati restanti. Tagliare i ravioli con l’apposita rotella e infarinarli.
Dopo aver confezionato i ravioli, cuocerli in acqua salata per 5 minuti e scolare. Condire con parmigiano e burro fuso aromatizzato con salvia e aglio.
Gli Scapinasc, ravioli di famiglia da Da Gigi a Charlie
Ci sono piatti talmente identitari da rappresentare la storia di una provincia, di un territorio, di una comunità. E di una famiglia. Come accade con gli Scapinasc, piatto tradizionale che Charlie Maglia del ristorante Da Gigi a Crandola (Lecco) ha ereditato dal suocero e che quindi rappresenta anche la memoria del suo nucleo familiare.
Di questi caratteristici ravioli della Valsassina vi abbiamo già svelato la segretissima ricetta (www.storienogastronomiche.it). Adesso cerchiamo di capire cosa rappresentino per Charlie che da trent’anni li serve nel suo ristorante.
Info: www.dagigicrandola.it
Che formaggio è il Marscirol? Siamo andati in Valsassina a scoprirlo…
E’ uno dei formaggi più strepitosi della Terra, ma se cercate informazioni che lo riguardino, non ne troverete, nemmeno in Rete.
Forse perché il Marscirol è riservato come i malgari della Valsassina che lo producono.
Non a caso perfino chi ce lo ha fatto conoscere lo introduce con un’avvertenza: “piace a molti, ma non a tutti”. E se lo dicono al ristorante Da Gigi a Crandola, potete crederci.
Noto o meno, questo formaggio vaccino stagionato “che si presta ad abbinamenti arditi” è una delle (tante) ragioni per raggiungere il paradiso della Valsassina nel cuore della provincia di Lecco.
Ce lo siamo fatti raccontare da chi lo serve tutti i giorni, Marco Acerboni, braccio destro del mitico chef Charlie Maglia.
Info: www.dagigicrandola.it
Formaggi Mauri, il soffio della tradizione su un successo moderno
Li hai sempre visti al supermercato e pensi ai formaggi della Mauri come a un prodotto industriale. Ma se vai a visitarne la sede di Pasturo in provincia di Lecco, scopri che il cuore di questa azienda batte nelle Lanche, grotte naturali attraversate da soffioni di aria umida che costituiscono un sistema d’aerazione offerto spontaneamente dalla montagna, perfetto per creare ambienti adatti alla stagionatura dei formaggi.
E’ proprio nelle Grotte di Pasturo che è partita la storia della Mauri, azienda oggi di dimensioni internazionali ma che mai si è mossa da questa oasi verde della Valsassina dove tutto è cominciato.
Siamo ai piedi della Grigna, massiccio montuoso nel cuore della provincia di Lecco, il quale non soltanto regala panorami mozzafiato, ma anche una serie di profonde fessure nella roccia dolomitica che collegano tra loro le grotte, “determinando la circolazione di particolari correnti d’aria umida dall’alto verso il basso che garantiscono la temperatura ideale in ogni stagione”.
L’azienda ci tiene a sottolineare che “tali caratteristiche ambientali non sono riproducibili artificialmente, per questo i prodotti Mauri stagionati in grotta sono inimitabili e riescono a soddisfare i gusti di una clientela internazionale”.
Siamo andati a visitare le Grotte di Pasturo e cerchiamo di restituire l’emozione che abbiamo provato attraverso il video che segue, in cui vedrete come l’azienda abbia ricavato tra gli ambienti anche un piccolo museo della tradizione casearia locale.
Qui non sono mai stati traditi i valori del fondatore dell’azienda Emilio Mauri, ovvero “fedeltà al territorio, genuinità e manualità artigianale”, neanche oggi che sotto la guida della nipote Nicoletta Merlo l’azienda conta “più di 120 dipendenti e produce e distribuisce in tutto il mondo formaggi d’eccellenza”.
Unica innovazione di rilievo, la diversificazione delle varie fasi di produzione che ha portato alla necessaria modernizzazione delle sedi e all’apertura di nuove, come quella di Treviglio (Bergamo) dove avviene la raccolta del latte e la produzione del formaggio fresco, mentre a Novara si stagiona il Gorgonzola D.O.P..
“La storia dei formaggi Mauri ha le sue radici profonde nel territorio lombardo” ci tiene a ricordare la Mauri nel proprio sito, poiché la Lombardia, da sempre ricca di latte di qualità, “rappresenta la patria di alcuni tipi di formaggi, su tutti quelli a pasta molle come lo stracchino di monte e lo stracchino quartirolo, le prime denominazioni del Taleggio, il principe dei formaggi lombardi assieme al Gorgonzola”.
Oggi l’azienda propone prodotti freschi e stagionati come taleggio, gorgonzola, robiole e formaggi di capra, quartirolo, fontina, asiago, mozzarella, mascarpone, ricotta. Meno conosciuta al grande consumo la linea dei formaggi a lunga stagionatura, delizie straordinarie che alloggiano tra le vette dei grandi prodotti caseari italiani.
Info: www.mauri.it
Come si produce il formaggio? Alla Mauri tra industria e artigianato
Bisogna visitare la sede della Mauri per rendersi conto di quanta artigianalità possa risiedere anche nel cuore di un’attività casearia industriale. Dove il lemma “industria” ritrova la sua originaria pregnanza etimologica di “destrezza ingegnosa”, “lavoro manuale” e “complesso delle arti febbrili” (www.etimo.it).
Per sfatare luoghi comuni e capire come funzioni la produzione di formaggi in grandi quantità, ci siamo fatti accompagnare Lorenzo Barbieri, Direttore di Produzione della Emilio Mauri.
E’ lui a spiegarci ogni singola fase della lavorazione negli stabilimenti di Pasturo (Lecco), nel cuore della Valsassina.
Info: www.mauri.it
La birra dell’antica Fonte di Tartavalle
“La terra un giorno regalò un’acqua rigogliosa. L’uomo la scoprì e la rese portentosa”.
Il sito idrogeologico di Tartavalle, in provincia di Lecco, ha una storia e una tradizione che risalgono agli inizi del ‘900. E’ stato uno dei primi centri termali della Lombardia e aveva due sorgenti d’acqua: una adatta alla cura di malattie epatiche ed ematiche, e l’altra consigliata per le terapie renali e biliari.
L’acqua delle fonti di Tartavalle era considerata la più ferrosa d’Italia.
L’intero complesso era dotato di un prestigioso albergo e di un ampio giardino in stile che permetteva rilassanti passeggiate a chi alloggiava qui per seguire terapie.
Il tutto nel contesto di un paese tranquillo, Taceno, posto ai piedi dellla Grigna, a circa seicento metri d’altezza, circondato da un paesaggio fatto di boschi e montagne.
Nel 1977 erano state individuate almeno una decina di sorgenti spontanee, alcune minerali e altre oligo-minerali. La sorgente più antica, nota dagli inizi dell’Ottocento, era quella minerale dell’Antica Fonte che sgorgava da polle risalenti dalla piana alluvionale con proprietà medicamentose. Per l’imbottigliamento veniva invece sfruttata la Sorgente Grotto.
Nel 2012 un gruppo di dieci amici si interessarono alle sorti della piana di Tartavalle e, innamorandosi del luogo, decisero di rilevare la proprietà ormai in disuso. In breve, rimisero in funzione l’imbottigliamento dell’acqua e decisero di implementare la loro produzione aprendo un anche birrificio.
La birra è una bevanda semplice, formata al 93% d’acqua. “Se l’acqua è portentosa, lo sarà anche la birra!”, pensarono: avevano ragione.
Per ringraziare quella terra così ricca, hanno scelto per le loro birre dei nomi che attingessero alla tradizione locale. Lasco, per esempio, era un bandito-gentiluomo dai modi alquanto ambigui che, secondo le leggende, imperversava in tutta la Valsassina. Bisaga era, invece, la strega cattiva che abitava originariamente la piana di Tartavalle.
Oggi la produzione di birra è in crescita e ha richiesto l’allestimento di un nuovo laboratorio con macchine all’avanguardia. Tini a cielo aperto per la fermentazione spontanea, macchine per il filtraggio, rulli per l’imbottigliamento. La birra matura nei tini per 50/55 giorni, poi viene imbottigliata e sottoposta ad una fermentazione secondaria, che aumenta la gradazione alcolica e anche la quantità di gas.
Il birrificio produce principalmente quattro linee di birra.
La Lasco, una Stout ottenuta con malto nero tostato al limite della bruciatura e che ha un aroma affumicato con note di caffè e cioccolato.
L’Armelina, una Lager chiara a bassa fermentazione.
La Conte di Mormoro, una Strong Ale, ad alta gradazione alcolica.
E la Bisaga, una Ale ambrata ottenuta con un malto scuro.
Ecco il racconto di queste creazioni.
Info: www.anticafonteditartavalle.it