Specialmente… la cucina latinoamericana
La cucina latinoamericana sta diventando sempre più popolare anche da noi.
La sua versione inutilmente alterata da sofisticazioni per gourmand, da tempo è entrata nell’empireo delle cucine internazionali emergenti, tanto da essere acclamata dalle lobby delle classifichine per ricchi incolti che hanno già cooptato nella propria casta i cosiddetti “grandi chef stellati” sudamericani.
Ovviamente qui non di questo grottesco fenomeno parliamo, bensì della cucina popolare di base dei paesi dell’America del Sud: in questo modo escludiamo quei ricettacoli di junk food camuffati con il folclore da cartoon che sono diventati quasi tutti i ristoranti messicani rumorosamente sparsi sul nostro suolo.
A interessarci è quanto della cultura dei Paesi d’origine si portino dietro cuochi e gestori dei locali che in Italia proprongono i piatti regionali delle nazioni sudamericane a maggiore vocazione gastronomica.
Una ghiotta occasione per indagare questo fenomeno è stato il Festival Latinoamericando che si svolge ogni anno a Milano, al Forum di Assago. Per due mesi ricrea un villaggio in cui tutti i Paesi latinoamericani vengono rappresentati in ogni loro aspetto: incontri culturali, conferenze su questioni sociali, esposizione di abiti tipici, mostre fotografiche.
La maggiore attrazione è naturalmente esercitata dalla musica e dalla gastronomia. Il cartellone prevede decine di esibizioni dei musicisti latinoamericani più rappresentativi, dai più noti a quelli di culto. Non è da meno l’offerta gastronomica: di quattro Paesi – Argentina, Brasile, Perù e Venezuela – viene proposta sia la cucina da ristorante che il cibo di strada, ciascuno con un locale dedicato.
Franca De Gasperi Fabiani, direttrice della manifestazione che ha contribuito anche a fondare, conferma e spiega la vocazione gastronomica della kermesse.
Franca De Gasperi Fabiani parla a buon diritto di gastronomia latinoamericana, anche in veste di esperta: è infatti autrice di diversi volumi su questa cucina, siglati con il nome d’arte di Doña Franca.
Ecco perché è particolarmente interessante che sia proprio a lei a raccontarci la cucina latinoamericana.
Nell’America Latina il cibo non è soltanto piacere ma ha anche importanti valenze sociali.
Lo testimonia la circostanza che il 2013 è stato dichiarato Anno Internazionale della Quinoa. Per le organizzazioni mondiali che si occupano di alimentazione, questo pseudocereale potrebbe rappresentare un valido strumento per sfamare il mondo, oltre ad avere qualità organolettiche tutte da scoprire.
Dell’importanza della quinoa ci parla ancora Franca De Gasperi Fabiani.
Non ci rimane che fare un breve viaggio nelle gastronomie sudamericane, approfittando della loro concentrazione nel villaggio di Latinoamericando.
La cucina argentina raccontata da Martin Sanchez Capezzera
Carne alla brace e patate: banale a dirsi, ma esaltante se a cucinare è Martin Sanchez Capezzera, straordinario chef del ristorante El Taliòn di Buenos Aires, stanziatosi a Milano da giugno ad agosto per deliziare i frequentatori del festival Latinoamericando sotto l’insegna El Rancho de Don Pepe.
Sulla sua brace in quei due mesi venivano messi a crepitare in continuazione i più pregiati tagli della carne proveniente (davvero) dall’Argentina.
Il taglio identitario è l’asado, arrosto di carne di manzo con l’osso di cui sbranereste anche le parti di cartilagine. Si scioglie in bocca il lomo (filetto) tanto da sembrare crema, ma le papille si accendono con l’entraña (diafragma), saporitissimo muscolo che si cuoce nel suo grasso.
I contorni sono prelibatezze a sé, come il chimichurri, salsa verde composta da prezzemolo, aglio, olio e timo, ottima anche sul pane.
Enciclopedica la varietà delle irresistibili patate, fra le quali la più inusuale è una interpretazione delle papas al plomo, in cui il tubero intero viene cotto sul carbone, quindi avvolto nell’alluminio, messo in bagnomaria, spaccato in superficie e farcito con salsa al formaggio: si mangia scavando col cucchiaio.
Sorprendente la lista dei vini. Siate eretici: se andate in un ristorante argentino, anche sulla carne iniziate con un bianco del nord del Paese, il Torrontès, magari il Seleccion, dalla grande stimolante acidità e dai profumi tutti suoi. Per il rosso, inevitabile il Malbec, come il Postales del Fin Del Mundo, rosso da masticare.
Per finire, d’ordinanza il dulche de leche, crema dal sapore di caramello, da provare in due versioni, con la panna cotta e con il panqueque, mentre degustate un passito di Malbec Malamado.
Prima di uscire, abbiamo provato l’incredibile liquore di yerba mate, un tè alcolico.
Siamo anche entrati nella cucina di Martin…
La cucina peruviana raccontata da Diego Muzzi
Se il primo ingrediente che incontri è la quinoa, nell’anno dedicato a questo pseudocereale andino che potrebbe contribuire a sfamare il mondo, ti rendi conto che non di solo stomaco si tratta.
Ha parlato a cuore e cervello Mixtura, il ristorante peruviano rimasto aperto fino ad agosto all’interno del Festival Latinoamericando al Forum di Assago. Lo ha fatto mettendoti subito sotto il naso un’insalata di questa pianta sacra venerata dagli Inca che ti racconta la sua millenaria storia di biodiversità: fresca, sana, per godere senza sensi di colpa.
Lo chef Diego Muzzi si è preso una pausa dal suo Don Juanito per mettere in tavola i sei, sette piatti che mangeremmo se ci trovassimo in Perù. A partire da uno identitario come il ceviche, pesce crudo esaltato da spezie autoctone, tra cui spicca la più diffusa cultivar edibile di capsicum (peperoni o peperoncini) del Perù, l’Ají amarillo: Muzzi ce lo ha fatto provare a fine pasto anche in eccitante forma alcolica fatta in casa, introvabile sul mercato.
Altri classici, la causa rellena, millefoglie di purè di patate con pollo o gamberi, o la peccaminosa yuca frita, manioca sfrigolata in olio caldo.
Per i carnivori, il Perù offre il lomo saltado (manzo, tipico ma di ispirazione cinese) e l’anticucho (spiedino di cuore marinato).
Su quasi ogni piatto si spargono aromi e profumi regalati da limone, zenzero e maracuja.
Per le bevande, siamo usciti dall’ordinario: abbiamo fatto come un vero peruviano, sorseggiando a tutto pasto il pisco sour, cocktail a base di un’acquavite molto aromatica, con aggiunta di lime, zucchero, chiara d’uovo e un pizzico di angostura.
In alternativa, in un pasto peruviano, vanno benissimo anche la chicha morada, tratta da un mais viola, o l’agrumata Inca Kola anti-imperialista alla Hierba Luisa (verbena odorosa).
Muzzi è argentino, quindi anche per lui è stata una scoperta la cucina peruviana, prima che decidesse di portarla in tavola ai milanesi.
Il cibo di strada brasiliano raccontato da Julio Cordeiro
“A Latinoamericando si fa da mangiare come nei Paesi d’origine, senza alcuna distrazione scenografica, affinché ci si concentri sul cibo”: quanto sia applicato alla lettera questo assunto della direttrice Franca De Gasperi Fabiani lo abbiamo verificato non soltanto nei ristoranti del Festival, come l’argentino e il peruviano di cui vi abbiamo parlato, ma anche nei chioschi del cibo di strada.
Quello brasiliano è stato fedelmente rappresentato da Julinho Picanha che già nell’insegna annunciava il suo piatto forte, quel codone di manzo che per i carioca è il pezzo più pregiato del bue e sta alla base del churrasco. Golosamente abbracciato dal proprio grasso, tenero e molto saporito, fa già piatto a sé: i coraggiosi, sostenuti da un potente appetito, hanno affrontato il piatto duro e puro di picanha, ben mezzo chilo di carne!
In alternativa, era possibile gustarla inserita sempre in quantità generose in un panino di circa cento grammi, di cui va fiero il suo inventore, l’irrefrenabile cuoco Julio Cordeiro, il quale ha proposto anche altre specialità della sua Terra.
Il Pastel, un caposaldo dello street food brasiliano, è simile a un panzerotto fritto riempito in vari modi: con carne trita, formaggio, verdure, salsa di gamberetti, o ancora con cuore di palma o il baccalà.
La coxinha, ispirata alla forma di una coscia, è una sorta di arancino, ripieno di petto di pollo sfilacciato, condito con pomodoro, salse e spezie, il tutto contenuto da un impasto a base di farina passato nell’uovo e fritto.
Il pan de yuca, a vederlo, ti verrebbe voglia di snobbarlo, ma, addentatone uno, devi sperare che qualcuno ti blocchi per evitarti di farne fuori a decine: è farina di manioca (yuca), priva di glutine, impastata con una valanga di formaggio grattugiato, fino a farne delle morbide palline cotte in forno.
Julio Cesar Cordeiro trasmette per la sua cucina lo stesso entusiasmo che si ha nel gustarla.
Il cibo di strada uruguayano raccontato da Marcelo Peyrou
La cucina urugayana condivide alcune fondamenta con quella argentina, basandosi molto sulla carne, anche delle stesse razze bovine.
Tuttavia, pur riconoscendone la semplicità, gli uruguayani vanno fieri del loro modo di trattare la carne, sia pure per farne soltanto un panino.
Ma è un panino che rappresenta un pasto gustoso quanto impegnativo.
Chi lo fa, ne parla con trasporto, come Marcelo Peyrou che ce ne mostra nei dettagli la preparazione.
Info: www.latinoamericando.it