Specialmente… a Napoli: dove mangiare tipico
Vedi Napoli e poi mangi
Napoli è una delle città con la più forte identità del mondo.
Impossibile confondere qualsiasi suo aspetto con quello di un altro luogo. Dall’architettura ai paesaggi, dalle strade alla cultura popolare, dalle abitudini fino alle problematiche, tutto a Napoli è unico e immediatamente riconoscibile.
Una volta che ti ci trovi immerso, finisci col sentirti parte della città, fino a voler vivere, anche se per poche ore, come un napoletano vero.
Per questo in qualunque città del mondo forse potresti accontentarti della cucina generalista, tranne a Napoli. Chiunque si senta coinvolto da questa città unica, vuole cibarsi non soltanto della sua Bellezza ma anche della sua autentica tradizione gastronomica.
Eppure nemmeno a Napoli è scontato trovare i piatti più antichi e identitari proposti nella giusta maniera. Per questo abbiamo studiato a fondo la ristorazione della città, arrivando a selezionare i locali dove certamente potere mangiare napoletano nella maniera più sincera e rigorosa.
Non senza sorprese e contraddizioni, di cui vi daremo conto in questo Speciale. Si parte infatti da una provocazione talmente estrema che dovrebbe rendere perfino inutile lo stesso Speciale, poiché riportiamo il pensiero di un ristoratore che ritiene impossibile oggi proporre esattamente le ricette napoletane come venivano realizzate una volta, a causa della corruzione e semplificazione del palato degli avventori di oggi.
All’opposto, si trova la posizione di un altro ristoratore che invece è certo di proporre ancora oggi i piatti tipici della cucina povera napoletana con gli stessi esatti sapori di quando lui era piccolo, nella prima metà del secolo scorso.
In mezzo, ci sono ristoratori che fanno semplici gustosissimi piatti pensando anche di far fare due risate ai clienti, mentre altri fanno resistenza culturale impedendo la scomparsa di preparazioni che una volta si gustavano per strada.
Un mosaico di squisitezze per la gola che provengono dal grande cuore di una città di cui innamorarsi follemente.
La vecchia cucina napoletana è morta?
La vera vecchia cucina napoletana non esiste più: la provocazione, intelligente e paradossale, arriva da un ristoratore, Manlio D’Anna, il quale tutti i giorni nel suo locale La Taverna dell’Arte propone proprio i piatti della tradizione partenopea.
Una contraddizione?
No, secondo D’Anna è una presa d’atto di grande onestà intellettuale: la cucina napoletana come si faceva un tempo, oggi non si può proporre in maniera filologicamente corretta. Perché al palato degli avventori di oggi risulterebbe troppo grassa, eccessivamente piccante e dai sapori esageratamente forti.
E allora? Facciamo il funerale a una delle più celebrate cucine del mondo?
No. Manlio D’Anna continua per primo a credere nella cucina tradizionale della sua Napoli, costretto a malincuore ad alleggerire alcune preparazioni, pur di mantenere in vita i piatti ancestrali della cultura culinaria partenopea.
Ecco come ci ha spiegato il suo pensiero.
La Taverna dell’Arte, per avere un quadro della cucina tipica di Napoli
La ricerca di locali di ristorazione che abbiano in carta un elevato numero di ricette codificate della tradizione non è semplice nemmeno a Napoli: i troppi ristoranti anche seri ma contaminati dall’ansia di catturare i turisti preferiscono abbondare con piatti generici della cucina italiana, a scapito delle tipicità.
Tra i pochi locali di Napoli la cui carta ancora abbonda di piatti da ricette tipiche, c’è La Taverna dell’Arte, abbarbicata sulle caratteristiche Rampe San Giovanni Maggiore.
A gestirla, Manlio D’Anna, una vita spesa in avventure gastronomiche d’ogni tipo, dalle bettole ai mega-locali, per approdare oggi a un’osteria davvero tipica che sembra il culmine della sua consapevolezza culinaria, oltre che il naturale approdo di una composita traiettoria professionale, come dimostra il coinvolgimento dell’intera famiglia tra sala e cucina.
Appena seduti, scegliamo di accompagnare il pasto con il Lettere della Penisola Sorrentina, vino beverino che non rinuncia però al carattere. Al naso il potente afflato floreale introduce la violetta, mutando in bocca in un bosco tempestato di piccoli frutti rossi, quindi volgendo a un finale di amarena. Le bollicine, già moderate fin dal principio, tendono ulteriormente ad affievolirsi, fino a conferire soltanto un gradevole leggero sentore di vivacità.
L’antipasto è un insieme di tipicità di piccolo formato, come gli scagliozzi, pezzi di polenta fritti, dalla crosta tenacemente croccante. Più suadente la frittura delle crocché.
Ottime le melanzane grigliate, caratterizzate come tutte le altre verdure da una forte aromaticità. Perfette le zucchine fritte alla scapece, rese golose dall’apporto di aceto e menta.
Primo d’obbligo qui sono gli ziti allo scarpariello, magnificamente al dente, resi sapidi dal formaggio, ma rimanendo semplici come la Natura: piccanti e con, evviva, sentore di aglio evidente.
Altro primo piatto imperdibile, gli ziti alla puttanesca, vera sinfonia per il palato, titillato dalla potente sapidità dei capperi che sposa la carnosità delle olive, donando al sughetto un sapore deciso e appetitoso.
Per quanto riguarda il coniglio all’ischitana, bisogna registrare il pensiero del titolare dell’osteria, secondo il quale questo piatto lo si sarebbe cucinato sempre meglio a Napoli che a Ischia. La ragione risiederebbe nella natura eccessivamente turistica dei ristoranti ischitani, costretti per l’alta domanda a preparare il coniglio molte ore prima per poi riscaldarlo, mentre alla Taverna dell’Arte lo cucinano al momento. Qui il pomodoro è protagonista con la sua acidità, aromatizzata dal basilico.
Non andate via prima di avere provato anche le polpette al pomodoro: sono come fatte in casa, generose di gusto e fragranza.
Altrettando imperdibile una chiacchierata con Manlio D’Anna a fine pasto: nel video che segue, ve ne offriamo un estratto.
La Casa di Ninetta, il più emozionante ristorante di Napoli: qui vive l’arte dell’antica cucina povera
Il più emozionante ristorante di Napoli. Senza ombra di dubbio. Ma è una definizione perfino riduttiva per La Casa di Ninetta.
Perché non è semplicemente un ristorante, bensì un luogo di altissima Cultura, dai libri che occhieggiano da più parti, fino al modo alto e coltissimo di intendere la Cucina.
Perché non è semplicemente il ristorante in cui si mangia meglio: qui, ogni morso a una pietanza alimenta anche il tuo Sapere, ogni atto di golosità è al tempo stesso pura Erudizione.
Perché non è semplicemente il più emozionante, ma anche quello più necessario, essendo custode dell’antica Memoria gastronomica (e non soltanto) di Napoli, svolgendo un’azione di tutela dei beni culturali edibili che pretende enorme rispetto e convinto plauso.
Del resto, come potrebbe essere un semplice luogo di ristorazione un locale che ha lo stesso nome di un monologo teatrale tradotto anche in un volume pubblicato nel 2009 da Marsilio, entrambi firmati dalla grandissima Lina Sastri: opere dedicate alla madre Anna, detta Ninetta, capostipite della famiglia cui si deve il gioiello di posto di cui stiamo scrivendo.
Un racconto che l’Artista ha definito “un flusso dell’anima”: alla stessa maniera si può definire questo locale accoccolato nella riparata via Niccolò Tommaseo, al numero 11.
Un “interno napoletano” arredato con capolavori di antiquariato, scovati in ogni parte d’Italia, recuperati con fatica, portati fino al locale con sacrificio. Perché tutto deve restituire la viva e calda atmosfera di una casa napoletana che emani tradizione, coltivando il Pensiero alla stessa stregua del Gusto.
Basta vedere come si presenta il menù, per comprendere la filosofia della sua gestione. La lista delle vivande scaturisce dai ricordi d’infanzia di Carmelo Sastri, fondatore e anima del ristorante, il quale ha ricostruito nel menu un pezzo di memoria collettiva dell’antica Napoli, attingendo a piene mani dalla grande tradizione della cucina povera.
Alla voce “la nostra cucina” sfavillano così “Ziti spezzati a’ Genovese, Pasta e patate con provola, Manfredi alla ricotta, Bucatino a’ Puveriello, le nostre specialità come primi”, ovvero le pietre angolari di quel patrimonio mondiale che è la cucina tradizionale napoletana.
Da qui un nostro vivo suggerimento: provateli tutti, se potete, così da poter dire di avere finalmente capito Napoli.
Caratteristica comune di tutti questi primi piatti, la perfetta cottura al dente della pasta. E’ sempre messa nel piatto in quel preciso istante sospeso tra il crudo e lo scotto, per individuare il quale occorre essere un fuoriclasse dei fornelli, uno in grado di cogliere l’attimo esatto in cui la bollitura ha raggiunto il suo apice. Può riuscirci soltanto un cuoco che sente la pietanza nel suo divenire e ne raccoglie l’esito nel momento in cui è al massimo della propria espressione. Un cuoco come quello della Casa di Ninetta, Marco Foderaro, del quale ci ha sbalordito non soltanto la capacità, ma anche la sorprendente giovane età.
La prima dimostrazione della qualità eccelsa di questo lavoro in cucina arriva con la pasta e patate con provola, dove anche il condimento ha magnifica consistenza, esprimendo una golosità arcaica.
Il Bucatino a’ Puveriello commuove già a vederlo: non soltanto perché ti ritrovi nel piatto la Storia più autentica di Napoli, ma anche per il suo aspetto che ha la stessa umile ma altissima dignità delle generazioni di napoletani che ha sfamato.
Ai gourmet lo si potrebbe raccontare quasi come una carbonara scomposta, questo miracolo di bontà in cui la pasta è mantecata con il liquido di cottura generato dallo stesso uovo che intero vi troneggia in cima.
Scura, densa, rustica: dopo anni in cui sentivo favoleggiare di come dovesse essere davvero a’ Genovese, finalmente ho potuto constatarlo di persona qui alla Casa di Ninetta. Questo condimento a base di cipolle si incunea tra la fierezza degli Ziti spezzati, facendolo con un’inaudita dolcezza, rincorsa da una stuzzicante acidità che spinge il piatto sulle note del sublime. Piatto clamoroso.
Questi tre piatti sono i cardini della memoria gastronomica della città: da soli, valgono un pellegrinaggio a piedi fino a qui, perché se vale il detto “vedi Napoli e poi muori”, occorre necessariamente aggiungere “non prima di avere provato questi tre strepitosi primi alla Casa di Ninetta”.
In nessun posto tali piatti possono essere sinceri come in questo ristorante, fortemente voluti in carta dal suo gestore, quel Carmelo Sastri che queste pietanze le mangiava già da bambino e le cui ricette ha mutuato dalla nonna e dalla mamma, entrambe donne dell’800, depositarie dei segreti secolari della vera cucina napoletana.
Ecco come Carmelo, detto Carmine, racconta questi tre primi.
Il viaggio nei numeri primi della cucina partenopea lo concludiamo con i Manfredi con la ricotta, ricetta che si porta dietro l’aria della festa delle famiglie napoletane di un tempo: la gentile dolcezza della componente latticina si unisce trionfalmente con la sublime acidità del ragù napoletano fatto come una volta, con l’esito di un piatto di saettante bontà.
Anche il vino nel locale dà grandi gioie. Il pasto lo abbiamo iniziato con il Falerno del Massico bianco della cantine Moio, un sospiro minerale tra le falesie aromatiche tipiche della Falanghina, con un finale abboccato che si attacca alla lingua come in un intenso abbraccio.
Abbiamo quindi proseguito con un consigliatissimo Aglianico della casa, davvero eccelso: lievemente vivace, ha note di melograno esaltate da una fervida acidità beverina, fino a un finale di rosa canina che riannoda i fili della percezione con l’olfatto.
Tutto questo avviene sotto lo sguardo penetrante della bellezza diffusa in ogni angolo del locale…
… dove perfino la toilette dispensa grazia e raffinatezza…
… perché qui nessun particolare è lasciato al caso…
… mentre su ogni parete è presente il teatro, come lo è nella storia della famiglia Sastri: infatti Lina qui è di casa, per condividere con tanti colleghi dello spettacolo e della cultura la cucina di famiglia perpetuata dal fratello Carmelo.
Un’atmosfera così umana e riflessiva che ogni avventore ha la sensazione di vedervi specchiata la propria essenza…
Perché questa cucina è talmente intima che provarla significa davvero entrare in famiglia, quella dei Sastri e per esteso la grande genia dei napoletani che amano talmente tanto la propria identità da farne il cardine della loro esistenza.
E’ con schietta emozione che Carmelo Sastri parla del suo locale, dove auguriamo a tutti di transitare almeno una volta nella vita… anche se una sola volta non vi basterà.
Info: www.lacasadininetta.it
E’ Pront ‘O ‘Mangià, a Napoli: provate ‘o broro ‘e purpo, prima che lo facciano scomparire…
Ci sono tante ragioni per avventurarsi nella zona di Porta Capuana, dall’osservarne le architetture storiche alla possibilità di fare un giro nel mercato rionale ‘O Buvero ‘e Sant’Antonio. Qui si viene anche per la ricca offerta di ristorazione popolare, con posti dove si mangia magnificamente con pochissima spesa.
Ma se siete appassionati di gastronomia, non potete perdervi una specialità di questa zona che rischia di scomparire, ‘o broro ‘e purpo.
“Era la specialità delle bancarelle di Porta Capuana” ricorda Amedeo Colella nel suo imprescindibile MangiaNapoli edito da Ateneapoli: tipico dell’approssimarsi dei primi freddi, quando si prende il polpo bollito, se ne “taglia una grande ‘ranfa e ripone i pezzettini nel fondo della tazza”, quindi si “apre il pentolone bollente e riempie la tazza di fumante brodo di polpo”.
Oggi, quei killer della Comunità Europea che stanno uccidendo la cultura gastronomica popolare italiana in nome delle fisime sanitarie del salutismo idiota, hanno dichiarato fuorilegge il preparare e servire questa specialità laddove è nata, ovvero per strada, determinandone la quasi estinzione.
La sopravvivenza di questa vestigia della cucina popolare napoletana oggi è legata al suo ripararsi al chiuso di qualche locale che ancora persevera nel prepararla.
E’ Pront ‘O ‘Mangià è quello che ha più a cuore il brodo di polpo, perché la famiglia Grossi che lo gestisce ha venduto questa specialità per strada fino a quando le leggi glielo hanno consentito. Oggi ne conserva la memoria e ne propone ancora il gusto in questa trattoria al numero 65 di via Cesare Rosaroll.
Qui ‘o broro ‘e purpo lo servono ancora nella caratteristica tazza bollente, con dentro i tentacoli da catturare con uno stuzzicadenti. Pepatissimo ma irresistibile, commuove gustarlo mentre guardi davanti a te le immagini di come veniva venduto un tempo questo pezzo di storia di Napoli.
Ecco come ne parla Mattia Grossi che sta proseguendo la tradizione di famiglia.
Una volta provato il brodo di polpo, E’ Pronto ‘O ‘Mmangià offre tante altre squisitezze, in una piacevolissima atmosfera ricca di umanità.
Ricco il buffet di antipasti, in buona parte improntato alla tradizione dei mangiafoglie, come venivano un tempo definiti i napoletani, quando la povertà e la penuria di materie prime di origine animale li costringeva a consumare verdure e legumi, dando vita però a una cucina vegetariana di necessità di grande pregio e oggi tornata attualissima.
Diverse le specialità da non perdere.
Intanto i tipici peperoni verdi dolci, più piccoli di quelli lombardi ma dalle caratteristiche organolettiche simili: passati in padella con un po’ di pomodori in pezzi, sono una vera delizia che apre l’appetito.
Le melanzane alla pollastrella sono una vecchia ricetta: hanno un esterno dorato da leggera frittura, mentre all’interno stuzzica il loro ripieno di formaggio e prosciutto.
Tra le tante proposte del pranzo, caldamente consigliabili i primi di pesce, anche perché la famiglia Grossi è di origine luciana, ovvero proviene dal borgo marinaro di Santa Lucia, il più antico di Napoli, dove sono nati alcuni classici della cucina della città.
Abbiamo provato delle perfette linguine al cartoccio ai frutti di mare, tripudio di golosità senza traccia di untuosità: leggeri e gustosi, da manuale.
Strepitosi i paccheri al coccio, ovvero con la gallinella, piatto di monumentale ricchezza e bontà. La gallinella è adagiata intera accanto a una tempesta di pasta sormontata da una colata di ottima salsa di pomodoro a pezzettoni. Già la pasta in sé è così buona che sarebbe gustosa perfino scondita. Figuratevi con l’apporto di un pesce di pregio come la gallinella, cotta alla perfezione. Piatto unico che sazia all’inverosimile e la cui bontà vi rimarrà impressa nella mente per sempre.
Poco convincenti soltanto i vini in bottiglia: meglio, nel periodo estivo, scegliere quello in brocca dentro il quale galleggiano dei pezzi di percoca, tipologia di pesca gialla molto diffusa da queste parti: la composizione può ricordare la sangria, ma è usanza dell’area di Procida insaporire in questo modo il vino.
Uscendo dal locale, non mancate di stringere la mano a Mattia: vi regalerà un sorriso dolce, capace di rassicurare chi teme che l’anima della cucina napoletana possa andare perduta. Grazie a eroi di tutti i giorni come lui, un pezzo della nostra Identità è salvo.
Info: È pront o mangia
Da Nennella, sorrisi e fagioli nella trattoria più verace di Napoli
Per giorni e giorni a Napoli abbiamo chiesto a diverse persone di indicarci quale fosse secondo loro il locale di cucina popolare più verace della città: risposta plebiscitaria, la Trattoria Da Nennella.
Credevamo che tale consenso fosse dovuto a un altro aspetto per cui è famosa Da Nennella: i suoi titolari inscenano continuamente scherzi, macchiette e cabaret popolare, sciorinando salaci barzellette che non lesinano sul linguaggio estremamente colorito. Invece tutti si sono prodigati a garantire che la vera ragione per cui si fa la fila per mangiare Da Nennella è la qualità dei piatti, semplici e genuini come una volta.
Col nostro carico di perplessità e aspettative, ci siamo così recati nel cuore dei Quartieri Spagnoli, in quel vicolo Lungo Teatro Nuovo dove al numero 103 si trova il locale.
Siamo arrivati poco prima dell’apertura, così abbiamo potuto parlare con i titolari prima che mettessero in scena quello che il collega Amedeo Colella chiama con felice definizione “teatro popolare inconsapevole”.
Fuori da scherzi e battute, parlare con i fratelli Vitiello si è rivelato illuminante, un interessantissimo viaggio nella vera cultura gastronomica popolare napoletana. Il racconto della genesi del locale è un’epopea del quotidiano che commuove, in quella Napoli del secondo dopoguerra che si risollevava aggrappandosi anche a materie prime semplici da cui trarre grandissime pietanze.
I Vitiello ci hanno trasmesso quanta dignità ci sia nel fare impresa gastronomica con l’occhio rivolto al popolo, perché significa comprenderne le intime esigenze, assecondarne i legittimi bisogni, ristorarne le continue fatiche, quindi anche allietarne le lunghe giornate, sia pure con il divertimento più basico, perché non sta scritto da nessuna parte che un grande pasto non possa avvenire in un clima gioviale, dove potere mangiare con il sorriso sulle labbra e rinfrancare l’animo senza i freni di un inutile bon ton.
Da Nennella abbiamo trovato grande profondità d’animo, raffinatezza culinaria e perfino intensa ricerca: il giorno che ci siamo andati infatti erano tutti in subbuglio perché Mariano Vitiello aveva deciso di fare la pasta alla Nerano, ricetta tipica dell’area sorrentina a base di zucchine e di Provolone del Monaco, squisita rarità per trovare la quale i familiari hanno dovuto setacciare la città.
In questo clima davvero familiare, nella più nobile delle accezioni, è stato Ciro a raccontarci la storia del locale della famiglia Vitiello, tra tanti momenti divertenti e altri che ci hanno perfino commosso. E’ tutto nel video che segue.
Dopo l’intensa chiacchierata con Ciro, ci siamo messi a tavola per provarne la cucina. E’ stato stupefacente.
Perché fai fatica a credere che un semplice piatto di pasta e fagioli possa rappresentare già da solo una valida ragione per venire a Napoli. Sì, vale proprio il viaggio la pasta e fagioli che si mangia da Nennella. La fanno con la pasta mischiata e i cannellini: la sapiente cottura trasforma questi umili ingredienti in una crema dal sapore sbalorditivo.
Buonissimo anche un altro classico della casa, la pasta e patate con la scamorza.
Intorno ai primi piatti storici, non mancano altre piacevoli sorprese.
In primo luogo, l’immensa bontà del rustico pane dei Camaldoli, dalla crosta sapida e croccantissima, la quale racchiude tenacemente una mollica ariosa e saporita.
Tra i tanti antipasti, abbiamo preferito provare le Scarole alla Monachina, ricetta tradizionale che vede la verdura napoletana identitaria saltata e sapientemente insaporita.
Onesto e adeguato il vino della casa.
Se tutto questo avrete la possibilità di gustarlo nei tavoli all’aperto, lì nel bel mezzo dei Quartieri Spagnoli, potrete ben dire di avere sentito da vicino battere il vero cuore di Napoli.
Info: Trattoria da Nennella
Barzellette e teatro popolare alla trattoria Da Nennella, a Napoli
“L’unico ristorante/teatro inconsapevole del mondo”: è così perfetta e pertinente questa definizione di Amedeo Colella della trattoria Da Nennella che la citiamo convintamente.
Colella la usa nel suo volume MangiaNapoli. 180 cose da mangiare a Napoli almeno una volta nella vita (Ateneapoli Editore, 2012), nel quale racconta così l’atmosfera del locale: “nel prezzo del pranzo è incluso lo show del personale, […] apparentemente spontaneo (ma non ci giurerei) con la regia del titolare Ciro, che sta in piedi all’ingresso e fa da cassiere ed animatore! […] Più i camerieri ti trattano con indifferenza, più loro paiono frustrati, annoiati, mortificati dal capo, più fanno divertire!”
Approfondendo con i titolari questo singolare aspetto del “teatro popolare da Nennella”, abbiamo scoperto che tutto trae origine dall’inconsapevolmente istrionico capofamiglia Pasquale Vitiello, figlio della Nennella che nel 1949 fondò il locale.
La divertente storia di questa caratteristica singolare di un locale unico ce la racconta uno dei figli di Pasquale, Ciro Vitiello, al quale siamo riusciti a strappare anche una delle barzellette più famose raccontate nella trattoria.
Info: Trattoria da Nennella