Specialmente… a Napoli, insolita e segreta
Video-guida alla Napoli insolita e segreta, tra sorprese e scoperte
Quando una città è universalmente nota in ogni suo aspetto, scatta la ricerca degli angoli nascosti, dei luoghi inconsueti, degli aspetti da scoprire.
Ciò vale a maggior ragione per una città dalla ricchezza iconografica sterminata come Napoli, alla quale hanno attinto avidamente reportage giornalistici, documentari, film d’arte, cinema d’autore, trasmissioni tv, blog di viaggi, siti web per turisti e tutto quanto possa annoverare il mondo della comunicazione a ogni livello.
Ma è davvero possibile scoprire ancora qualcosa di nuovo o almeno di diverso su una città come Napoli?
La risposta ci è giunta da un libro edito dalla francese JonGlez, Napoli insolita e segreta, scritto da Valerio Ceva Grimaldi e Maria Franchini.
Prima di sfogliarlo insieme e di tradurlo in alcuni servizi videogiornalistici, abbiamo chiesto a Grimaldi di darci subito gli inevitabili consigli sui posti imperdibili tra i meno battuti dal turismo di massa: ecco cosa ci ha risposto, nel video che segue.
Info: www.jonglezpublishing.com
Andiamo adesso alla ricerca di qualcosa che possa ancora sorprenderci, nella Napoli fuori dall’ordinario tratteggiata dal volume citato.
Napoli insolita e segreta, una guida per i viaggiatori curiosi
“Una serie di guide insolite, scritte dagli abitanti, per gli abitanti ed i viaggiatori curiosi. Le nostre guide segnalano luoghi insoliti e/o sconosciuti, che non si trovano nelle guide tradizionali, consentendo di uscire dai sentieri già battuti”. Si presentano così le pubblicazioni dell’editore francese JonGlez dedicate alle città più affascinanti del mondo.
Tra queste, Napoli.
Il volume sulla Napoli insolita e segreta lo hanno firmato Maria Franchini e Valerio Ceva Grimaldi.
Franchini, già guida ai monumenti della Campania e autrice di diverse pubblicazioni, oggi lavora per il Centro Culturale Italiano a Parigi.
Grimaldi è invece un collega giornalista professionista, dalle numerose collaborazioni con la carta stampata e la televisione, nell’ambito delle quali ha spesso scritto di Napoli.
Il loro è un volume agilissimo, perfetto per la comunicazione al tempo di Internet. In questo caso, un libro anche strumentale, utilissimo come radar intelligente per i visitatori con una visione non convenzionale della Cultura.
“Straordinarie biblioteche antiche, sconosciute anche ai napoletani, i resti di un’antica casa chiusa, un foro che guarisce l’emicrania, ipogei ellenistici unici al mondo, un bunker trasformato in galleria d’arte, una lucertola pietrificata in una chiesa, una Vespa da guerra col cannone, collezioni private rare e di pregio, una torretta greca in un teatro, un singolarissimo orologio che misura l’equazione del tempo, le barre di un cancello nella cattedrale che suonano come uno xilofono, la scala di un palazzo interamente scavata nel tufo, gli enormi impianti idraulici di una fontana tra le più grandi d’Europa, un misterioso simbolo fallico nelle catacombe di San Gennaro, una macchina anatomica settecentesca unica al mondo, una traversata in zattera a 20 metri sotto la città”, sono soltanto alcune delle chicche che si possono scoprire sfogliando la pubblicazione.
A parlarci di questo libro è proprio uno dei due autori, Valerio Ceva Grimaldi.
Info: www.jonglezpublishing.com
L’antico convento nascosto nell’Hotel San Francesco al Monte di Napoli
Un antico convento del ’500 incorporato in un hotel straripante di opere di importanti esponenti dell’arte contemporanea. Questa “storia antica che affonda le sue radici nel cuore della montagna” si svolge al civico 328 di corso Vittorio Emanuele a Napoli, dove ha sede l’Hotel San Francesco al Monte, frutto di un progetto di risanamento e conversione dell’ala sinistra dell’antico convento di Santa Lucia al Monte, curato dell’architetto Luciano Raffin.
“Il monastero risale al XVI secolo ed ebbe origine da una prima unica cella che Frate Agostino da Miglionico dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, detti anche Barbanti per la loro fluente barba, scavò nel fianco della collina di San Martino, in un’area isolata detta la montagna” racconta il sito della struttura.
“Nel progetto di adattamento dell’antico convento sono stati preservati con sapienza ambienti suggestivi e artisticamente rilevanti quali la Cappella di San Giovan Giuseppe della Croce, santo patrono di Ischia, la Sala del Forno e il Refettorio affrescato”…
… “è possibile ammirare frammenti di affreschi, antiche maioliche e decorazioni in ogni angolo dell’hotel”.
Si sono svolti pure pezzi di storia tra queste stanze, tra le quali si trova “anche la cella dove Giovan Giuseppe della Croce visse gli ultimi dodici anni della sua vita”, per poi essere “ricordato per il miracolo delle albicocche che intorno a lui crescevano anche durante l’inverno” che condusse alla sua beatificazione nel 1789.
E’ proprio su una traccia della vicenda di San Giovanni Giuseppe della Croce che si concentra il volume Napoli insolita e segreta edito da JonGlez, parlando del Sedile della Cappella di Santa Lucia al Monte, in legno, sul quale “il religioso si sedeva per pregare” e dove nacque la leggenda del citato “miracolo delle albicocche”.
All’indomani di quella beatificazione del 1789 “la sedia divenne oggetto di culto e si cominciò a credere che avesse il potere di proteggere le donne incinte che vi si sedevano”.
L’hotel offre anche altri angoli suggestivi…
… tra piccole cappelle, affreschi, cunicoli scavati nel tufo.
Fino a giungere a una terrazza che consente una delle panoramiche più belle della città di Napoli.
Anche camminare tra i corridoi e i vari ambienti regala continui sussulti, visto che dalle pareti si affacciano svariate opere di pregio…
… con firme importanti come quelle di Renato Barisani, Vettor Pisani, Gianni Pisani, Robert Rauschenberg, Maurizio Elettrico, Hermann Nitsch.
Ci siamo fatti guidare alla scoperta di questo luogo singolare da Valerio Ceva Grimaldi che ha firmato il volume della JonGlez con Maria Franchini.
Info: www.sanfrancescoalmonte.it
Un vigneto urbano inimmaginabile in piena città a Napoli
“Nessuno immaginerebbe che, oltre un cancello ubicato lungo il trafficatissimo corso Vittorio Emanuele, sia possibile lasciarsi alle spalle l’urbanizzazione più spinta per inoltrarsi in una grande e rigogliosa azienda agricola che si estende su un’area a terrazze ed è delimitata da antichi archi di contenimento in tufo”: è così che il volume Napoli insolita e segreta edito da JonGlez condivide con i lettori la scoperta della Vigna di San Martino a Napoli.
In effetti sorprende trovare un vigneto ancora coltivato e produttivo nel cuore del tessuto urbano cittadino, rara caratteristica che Napoli condivide con poche grandi città nel mondo, tra cui Brescia, titolare a sua volta del vigneto urbano più grande d’Europa, di cui via abbiamo riferito nelle nostre cronache (www.storienogastronomiche.it).
La Vigna di San Martino è talmente bella e prestigiosa da essersi guadagnata il riconoscimento di Monumento Nazionale dal Ministero dei beni artistici e culturali.
Sono circa sette ettari di proprietà del mecenate d’arte Giuseppe Morra, gestiti dall’associazione Piedi per la Terra: insieme hanno dato vita alla Comunità Rurale Urbana Vigna di San Martino “un centro finalizzato alla diffusione della cultura ecologica e dell’economia alternativa”.
I vini prodotti, intorno ai quattromila litri l’anno, vengono da uve Aglianico, Piedirosso, Falanghina e Catalanesca.
“L’antica Vigna dei Monaci di San Martino appare in tutte le immagini di Napoli da almeno sei secoli, grandioso frammento di verde miracolosamente sopravvissuto al saccheggio edilizio, visibile da qualunque parte si guardi la città, dominato dall’edificio monastico del quale era dipendenza e dalla cinquecentesca fortezza Castel Sant’Elmo” racconta Mimmo Di Marzio sul quotidiano Il Giornale il 13 dicembre del 2010.
Ci parla di questa oasi vitivinicola urbana Valerio Ceva Grimaldi che se ne è occupato proprio in occasione della realizzazione del citato libro sulla Napoli insolita e segreta.
Info: piediperlaterra.altervista.org
Museo delle Arti Sanitarie all’ Ospedale degli Incurabili di Napoli, dove “l’arte aiuta a guarire”
C’è una Storia a Napoli che esula da ogni oleografica rappresentazione della città. Una Storia poco conosciuta che getta una luce positiva così potente da rischiarare l’immagine stessa del capoluogo campano, offuscata troppo spesso da cronache impietose.
E’ la storia della Napoli scientifica, di una città leader nella scienza medica, culla della sapienza in materia sanitaria.
La sede elettiva di questo Sapere è il complesso dell’Ospedale di Santa Maria del Popolo, detto degli Incurabili, attivo dal 1522, grazie all’interessamento di Maria Lorenza Longo, “nobildonna spagnola che spese tutti i suoi averi e tutta la sua vita nell’assistenza ai malati, in modo così meritorio da essere proposta per la beatificazione”.
Intorno alla struttura del nosocomio, sorgono monumenti alla medicina napoletana, valorizzati dall’associazione culturale Il Faro d’Ippocrate, dedita alla diffusione della storia della medicina, chirurgia e sanità, attraverso la promozione di “convegni, mostre, manifestazioni, conferenze, studi” e la cura di “pubblicazioni e specifiche ricerche sull’arte e sulla storia sanitaria”.
E’ nata in seno a questa associazione l’idea di creare qui una “casa della memoria della storia della sanità del sud”, partendo dalla considerazione che “per secoli i medici e affini di tutto il meridione d’Italia si sono formati in questo ospedale che esiste da cinquecento anni”.
Per questo, nella sede dell’ex monastero delle Convertite, è stato allestito il Museo delle Arti Sanitarie e di Storia della Medicina.
Dispone attualmente “di una biblioteca e quattro sale espositive dove sono confluite una collezione privata di libri e strumenti medici, donazioni e beni di carattere storico-sanitario provenienti da antiche strutture ospedaliere afferenti all’ASL NA1 Centro, di cui il Museo rappresenta anche il centro di catalogazione, documentazione e ricerca”.
Il percorso di visita è un’immersione negli strumenti e nelle metodologie utilizzati dall’Uomo per ingaggiare la nobile lotta contro il dolore.
“Vecchi ferri e antichi strumenti medici, stampe e libri messi insieme in un luogo particolare per salvare la memoria della scuola medica napoletana e della storia sanitaria del Sud”, ciascuno in grado di raccontare una storia di studio, umana abnegazione, sensibile solidarietà verso i malanni altrui.
Un museo che commuove quando evidenzia l’atto d’amore verso il prossimo insito nella missione medica, mentre inorgoglisce osservare quali vette avesse raggiunto già nei secoli scorsi il pregio intellettuale nel Meridione d’Italia.
“L’idea di un museo negli Incurabili è antica e già vi è traccia nella vita dell’ospedale di percorsi museali a partire dalla fine del XIX secolo” raccontano i curatori, inglobando tra le proposte di visita la fantasmagorica Farmacia storica degli Incurabili…
… definita “il luogo più bello dell’incontro tra scienza e arte”, nonché “insuperato capolavoro del barocco-roccocò”, “al tempo stesso efficiente laboratorio del farmaco e intrigante luogo di rappresentanza per l’élite scientifica dell’Illuminismo napoletano”.
La Spezieria si trova tra il Museo e l’Ospedale, in una posizione che così assume anche un valore simbolico.
A colpire in tutto questo lavoro di recupero e divulgazione non è soltanto il pregio del lavoro espositivo, ma la filosofia dichiarata dai volontari dell’associazione Il Faro d’Ippocrate e l’impegno nell’attuarla.
I cardini sono la salvaguardia del patrimonio culturale delle aziende sanitarie e la tutela della storia medica degli ospedali e delle istituzioni sanitarie della città “che fu capitale di un regno per circa sette secoli”: “salvaguardare Severino, Cotugno, Quadri, Amantea, Santoro, Boccanera, Troja, le loro carte, le loro invenzioni e la loro attività significa salvare capolavori nell’arte di guarire in quanto in queste sale fiorì una scuola medica che si distinse, con l’orgoglio della scienza sperimentale fusa con la tradizione ippocratica, nei contesti scientifici europei”.
Splendida poi la missione che si sono dati: “qui l’arte aiuta a guarire”. Perché in questo luogo “la storia incontra la malattia e l’arte lenisce il dolore per lo stupore e l’incanto di chi osserva attraverso i fatti del dolore e della malattia la storia della città”, introducendo il visitatore in “un’autentica piazza del sapere medico”, offrendo in una visuale nuova “la storia più profonda della città”.
Ecco come ci ha raccontato questo singolare Museo il suo fondatore e direttore, Gennaro Rispoli, noto primario chirurgo.
Per completare l’affascinante visita a questo sito della storia della cultura medica, non bisogna perdersi il Giardino dei Semplici degli Incurabili.
E’ un orto medico collocato in un ampio giardino confinante con il convento di Regina Coeli: “caratterizzato da un grande albero di canfora e da una vasca realizzata in epoca moderna, è il luogo dove si coltivavano erbe medicinali che raccolte venivano utilizzate nelle preparazioni galeniche in Farmacia”.
L’Orto era in stato di abbandono, prima che i volontari del Faro d’Ippocrate lo riportassero all’antico splendore, “reinserendo specie di piante elencate e identificate attraverso i vecchi testi botanici”. Piante utilizzate a suo tempo dai medici della Farmacia Storica per ricavarne medicine.
Simbolo del Giardino è l’albero della canfora, piantato qui nel 1525, considerato tra i più antichi d’Italia.
Sotto quest’albero, l’esperta d’arte Sara Oliviero, volontaria del Museo delle Arti Sanitarie, ci ha raccontato la storia e la funzione del Giardino dei Semplici degli Incurabili.
Info: www.museoartisanitarie.it
Il Parco Archeologico-Ambientale del Pausilypon, Napoli inattesa
Nell’immaginario comune, quando si pensa a Napoli non vengono in mente in prima istanza il verde lussureggiante o resti archeologici del periodo romano. Per questo si rimane sbalorditi quando, raggiungendo la Grotta di Seiano in Discesa Coroglio 36, ti si spalanca davanti la magnificenza del Parco Archeologico-Ambientale del Pausilypon.
“Di estremo interesse naturalistico-archeologico, oltre che paesaggistico” spiegano dalla contigua Area Marina Protetta del Parco Sommerso di Gaiola, “il complesso a cui si accede attraverso l’imponente Grotta di Seiano, traforo di epoca romana lungo più di 700 metri che congiunge la piana di Bagnoli con il vallone della Gaiola, racchiude parte delle antiche vestigia della villa del Pausilypon, fatta erigere nel I Sec a.C. dal Cavaliere romano Publio Vedio Pollione”.
Tradotto in termine di esperienza, si tratta di una visita che regala emozioni varie e potenti.
Si inizia con il percorso dentro la grotta, con il racconto dell’immane lavoro che ha comportato realizzarla e della sua funzione nel corso dei secoli, da prestigioso percorso obbligato per raggiungere i potenti dell’antichità in villeggiatura fino a luogo di riparo per uomini e animali.
Si passa quindi in un ambiente ricchissimo di attrazioni botaniche, in grado di ammaliare anche chi non è un adepto della filosofia green.
Ecco quindi i reperti storici affiorare come d’incanto, stagliandosi tra il verde degli alberi e il blu del mare. Si incontrano “i resti del Teatro, dell’Odeion e di alcune sale di rappresentanza della villa…
… le cui strutture marittime fanno oggi parte del limitrofo Parco Sommerso di Gaiola, su cui si affaccia il belvedere a picco sul mare del Pausilypon”.
Paesaggi cui non seppero resistere gli antichi che “a partire dal I Sec. a.C. resero ricercati tali luoghi, tanto che in breve tempo divennero i più lussuosi e celebri del mondo romano, inducendo senatori e ricchi cavalieri a collocare qui le loro dimore; tra queste certamente la villa del Pausilypon (tregua dagli affanni) è quella di cui restano le più significative testimonianze”.
Di questa villa ci parla Caterina De Vivo, competente esperta che guida i visitatori tra tante bellezze.
A partire dal mese di aprile esiste la possibilità di effettuare una visita guidata con un itinerario che integra il Parco Archeologico del Pausilypon con il Parco Sommerso di Gaiola, fruendo di un battello dal fondo trasparente Aquavision.
Info: www.areamarinaprotettagaiola.it
Il Parco Sommerso di Gaiola, la Napoli subacquea…
Si sa di una Napoli sotterranea, ma ce n’è un’altra ancora più incredibile, la Napoli subacquea, quella del Parco Sommerso di Gaiola, Area Marina Protetta che si trova “nel cuore del Golfo di Napoli, tra storia, natura e cultura”.
“Prende il nome dai due isolotti che sorgono a pochi metri di distanza dalla costa di Posillipo, nel settore nord occidentale del Golfo di Napoli” spiegano dal Parco, aggiungendo che “deve la sua particolarità alla fusione tra aspetti vulcanologici, biologici e storico-archeologici, il tutto nella cornice di un paesaggio costiero tra i più suggestivi del Golfo”.
Chi ha l’originalità di cercare questo scorcio inconsueto di Napoli, può scoprire così “resti di ville marittime, maestose cave di tufo, approdi, ninfei e peschiere”, i quali “sono oggi visibili lungo la costa sopra e sotto la superficie del mare, a causa del fenomeno vulcano-tettonico di lento sollevamento e abbassamento della crosta terreste denominato bradisismo”.
Varia la proposta di itinerari di visite guidate in compagnia di esperti del Parco. Tra questi, i più suggestivi sono gli Itinerari con il Battello dal fondo trasparente: uno sguardo nel Blu tra Storia e Natura che propongono “visite guidate via mare dal borgo di Marechiaro alla suggestiva baia di Trentaremi lungo la costa dell’Area Marina Protetta a bordo di Aquavision, il battello dal fondo trasparente a visione subacquea”.
Abbiamo provato proprio quest’ultima allettante esperienza di visita, con annessi momenti legati a misteri e leggende, come quelle che avvolgono la Villa Maledetta della Gaiola e la Casa degli Spiriti, “vestigia di una villa marittima che letteralmente emerge dal mare con tutto il suo fascino ed austerità”.
L’osservazione empirica invece si concentra sui limpidi fondali in cui, tra un banco di pesce e l’altro, si notano i resti di architetture portuali dei Romani.
Importantissimo l’approccio culturale tout-court dei gestori di questo tesoro.
Sul piano divulgativo, i visitatori vengono preparati con filmati e spiegazioni esaustive già prima della partenza, quasi un mini-corso di cultura ambientale e archeologica.
Forte anche l’impegno per il recupero del pregio ambientale della zona, oggi splendida, ma fino a poco tempo fa del tutto abbandonata al degrado.
Oggi invece rappresenta una delle esperienze più belle e sorprendenti che si possano fare nella città di Napoli, compresa la passeggiata a tratti impegnativa per raggiungere la sede della visita…
… un’area apprezzata anche da tanti bagnanti, chissà quanto consapevoli della rilevanza storica di quanto hanno intorno.
Per questo merita un plauso ancora più accorato il lavoro indefesso dei gestori nell’indirizzare i visitatori verso il turismo colto e consapevole.
Del Parco Sommerso di Gaiola a Napoli ci ha parlato Caterina De Vivo, guida del Parco Archeologico-Ambientale del Pausilypon.
Info: www.areamarinaprotettagaiola.it
Museo Ferroviario di Pietrarsa, treni storici per viaggiare con la mente
Il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa fa letteralmente e inevitabilmente viaggiare i visitatori con la mente, tra memoria collettiva e fierezza aziendale.
Sorge necessariamente nel luogo dove tutto è iniziato, a Portici, nei pressi di Napoli, ovvero la tratta in cui venne inaugurato il primo tragitto ferroviario dell’allora Regno d’Italia: 7.406 metri che collegavano Napoli a Portici in dieci minuti.
Il treno che percorse per primo quel tratto era composto da due convogli trainati da locomotive gemelle, la Vesuvio e quella Bayard di cui è presente nel museo la riproduzione realizzata nel 1939 in occasione dei primi cento anni compiuti dalle Ferrovie dello Stato.
E’ uno dei prezzi pregiati che si incontrano nel corso di “un affascinante viaggio nel tempo tra le locomotive e i treni che hanno unito l’Italia dal 1839 ai nostri giorni, in 170 anni di storia delle Ferrovie italiane”.
Emoziona incunearsi tra le imponenti sagome di questi romantici mezzi di trasporto che hanno cambiato la nostra vita, contribuendo tanto al progresso materiale quanto alla cementazione di un’identità nazionale.
Sembra di vederle le persone su quei sedili, magari i ricchi sui velluti e i meno abbienti in terza classe, tutti intenti a coltivare sogni e bisogni, affidati alla grande possibilità offerta dal treno di muoversi in tempi celeri, superando isolamenti secolari e aprendo gli italiani al contatto con gli altri.
Come ogni buon museo aziendale che si rispetti, alcuni suoi pezzi pregiati sono frutto della passione di chi ha lavorato per le Ferrovie Italiane, come l’ex dipendente Otello Brunetti, la cui passione per il modellismo è sfociata nella creazione dello stupefacente plastico Trecento treni.
Diciotto metri di pannelli che riproducono in miniatura un grande nodo ferroviario, citando la stazione di Santa Maria Novella a Firenze, ma incastonandola in un paesaggio montuoso.
Sbalordisce la precisione dei dettagli, sia nel riprodurre le parti strutturali che nel ricreare i paesaggi naturali.
Lo abbiamo sorvolato con la nostra telecamera.
Altri modellini esposti sono quelli utilizzati dagli ingegneri nella fase di progettazione dei mezzi: notevole la funzione didattica, ma forte anche la sua carica suggestiva.
L’epica del viaggio permea ogni angolo dei grandi spazi espositivi, dove gli allestitori hanno avuto grande gusto nel ricreare perfino alcune sale d’attesa d’antan, in un rarissimo esempio di connubio tra precisione tecnica e cura artistica.
La sensazione di viaggiare nel tempo avviluppa mentre si ammirano treni storici, locomotive a vapore, carrozze e automotrici, rotaie, passando dai vecchi elegantissimi mezzi della famiglia reale a quelli più moderni che hanno segnato l’evoluzione delle tecnica industriale italiana.
Di grande suggestione le Littorine: “costruite dalla Breda di Milano e dalla Fiat di Torino” raccontano dalla Fondazione Fs Italiane..
… “sono una tipologia di rotabile ferroviario tipicamente italiano, nate negli anni ’30 per sostituire la trazione a vapore sulle linee a scarso traffico, economizzandone così la gestione”. Definiti “dei veri e propri autobus su rotaia”, sono ritenute tutt’oggi tra le più alte espressioni raggiunte dall’ingegneria meccanica italiana.
Abbiamo voluto vivere l’emozione di salire a bordo di una littorina esposta al museo: ecco come si presenta al suo interno.
Di grande effetto anche la Sala Cinema, sul cui schermo scorrono spezzoni di film che hanno visto i treni come set se non come protagonisti.
Essendo stati gli ambienti espositivi anche la sede delle antiche officine, di cui sono evidenti le tracce strutturali, è d’obbligo che in questi locali siano conservati utensili e grandi macchinari.
Il primato dell’impatto in magnificenza spetta comunque al padiglione in cui si trovava il reparto tornerie, datato 1840 e quindi edificio più antico del complesso: “è noto con l’appellativo La Cattedrale per gli imponenti e magnifici archi a sesto acuto che gli conferiscono un aspetto suggestivo e maestoso”.
Se tutte queste ragioni di interesse non dovessero bastare, si aggiunga che il complesso si staglia su uno degli scorci più belli dell’area partenopea.
Il nero profondo della pietra lavica che cinge la zona spiega perché la località un tempo chiamata Pietra Bianca mutò il nome in Pietrarsa, dopo l’eruzione del Vesuvio del 1631.
Ebbero buon gusto i regnanti dell’800 a stabilire qui le officine “dell’opificio borbonico che ospitavano i reparti specializzati nelle varie lavorazioni del ciclo produttivo”.
In questi spazi si trovava un tempo “il più grande e moderno polo siderurgico italiano”, nella definizione del volume Napoli insolita e segreta (Edizioni JonGlez), mentre oggi vi sorge uno dei musei più preziosi della nazione.
Grazie alla gentile concessione della Fondazione Ferrovie dello Stato Italiane, vi proponiamo in chiusura un servizio dedicato al Museo in cui il direttore della Fondazione, Luigi Cantamessa, ci guida tra gli ambienti del museo e attraverso le storie che esso racconta.
Info: www.museopietrarsa.it