Specialmente… a Pompei e sul Vesuvio, in un giorno
A Pompei e sul Vesuvio, millenni di storia e sapori da vivere (anche) in un solo giorno
Si possono godere pienamente millenni di Umanità in una sola giornata? Nell’area vesuviana sì. Ed è un’esperienza potente che lascia il segno.
Perché dal mattino alla sera si possono attraversare paesaggi vulcanici mozzafiato, visitare resti archeologici immortali e gustare sapori eterni, senza fretta né grandi spostamenti, appagando tanto la mente quanto il palato.
Basta organizzarsi ed ecco che in una giornata si può raggiungere la bocca di uno dei vulcani più iconici del mondo, per poi scendere verso quella Pompei che lo stesso Vesuvio ha tragicamente immortalato, passando da un pranzo a base di prodotti contadini locali a una cena di alta cucina territoriale.
Alla fine saranno passate soltanto poche ore, ma vi sembrerà di avere vissuto qui da sempre.
In questo Speciale, vi spieghiamo come fare…
La Busvia del Vesuvio, sul vulcano con il fuoristrada collettivo
Un’esperienza di fuoristrada collettivo, lungo le pendici di uno dei vulcani più affascinanti del mondo: la offre la Busvia del Vesuvio che conduce i visitatori a un passo dalla bocca del cratere principale, trasportandoli su uno speciale bus attrezzato per i terreni sconnessi.
Perché ci vogliono pneumatici molto grandi e ammortizzatori speciali per reggere lo sterrato della strada Matrone, “il tracciato costruito nel 1894 dall’ingegnere di Boscotrecase Gennaro Matrone e riaperto solo ai bus ecologici del Parco”, come quelli green di Busvia del Vesuvio.
La Busvia è “un ramo d’azienda della già consolidata Cooperativa Torquato Tasso di Sorrento, cui è stato affidato il delicato compito di gestire un imponente programma di sviluppo turistico che, varato dalla regione Campania, ha consentito la riapertura al pubblico dell’antica strada Matrone”.
I numeri parlano di cinquantamila turisti che ogni anno vengono accompagnati con questi mezzi sul vulcano, lungo un percorso ancora selvaggio che si incunea tra gli splendidi boschi del Parco del Vesuvio.
I quattro mezzi della Busvia sono dipinti “con colori che non infastidiscono né l’avifauna né gli animali del sottobosco” e “possono trasportare venticinque visitatori oltre l’autista”.
L’esperienza è molto divertente: pur agitati dalle sconnessioni del terreno, gli occupanti si divertono a fare un’esperienza ben distante dai noiosi percorsi delle città da cui in gran parte provengono, mentre durante l’ascesa ci si gode realmente la natura circostante.
Intorno al percorso con la Busvia si possono costruire vari programmi di escursione, a partire da una comodissima visita agli Scavi di Pompei.
L’Escursione Base con partenza dalla Stazione della Circumvesuviana di Pompei Villa dei Misteri si muove lungo un percorso naturalistico all’interno della Riserva Alto Tirone Vesuvio: in circa venticinque minuti si giunge a 1050 metri d’altitudine, quindi si scende dal bus e si prosegue a piedi lungo il sentiero che porta al gran cono.
A questa escursione di può associare la visita all’Azienda Vitivinicola Cantina del Vesuvio che si trova a Boscotrecase, per un’esperienza di wine tasting: qui si svolge anche una passeggiata tra i vigneti “con spiegazione tecnica del capo vignaiolo”, seguita da visita alla cantina e degustazione di vini e prodotti tipici.
In alternativa, si può visitare un’azienda che lavora la pietra lavica.
Nel video che segue, vi facciamo vivere l’esperienza di salire sul Vesuvio a bordo del bus fuoristrada.
Info: www.busviadelvesuvio.com
A piedi sul Vesuvio: un’escursione (davvero) mozzafiato
Un percorso facilissimo per gli amanti del trekking, una bella scarpinata per i meno allenati, ma per tutti un incanto da provare: raggiungere a piedi la bocca del Vesuvio dalla fine della Strada Matrone, nel cuore del Parco Nazionale del Vesuvio.
Si tratta di una camminata che si compie tra i venti minuti e la mezz’ora di tempo, in base al proprio passo. Chi non è abituato ai percorsi in salita dovrà ogni tanto fermarsi a rifiatare, ma anche i sedentari possono giungere in vetta al Vesuvio.
Si percorre una stradina sterrata, cinta da una corda di sicurezza che funge anche da corrimano.
A ogni passo, uno scorcio di meraviglia. La natura del parco qui si fa brulla ma ti fa pensare alla ginestra cantata da Leopardi.
Più si sale e più si assiste allo spettacolo delle pendici del vulcano che precipitano fino a mare.
E se la giornata ha le giuste contraddizioni, ecco gli effetti speciali: delle eteree nuvole nebbiose vengono a cercarti, per farti sentire sulla pelle il loro abbraccio delicato.
Ogni tanto, in mezzo all’incanto, qualcosa ti ricorda la potenzialità distruttrice del luogo in cui ti trovi: sono gli strumenti della Rete Sismica di Sorveglianza dell’Osservatorio Vesuviano.
Una volta raggiunta la cima, il premio è la vista del cratere principale del Vesuvio…
… istoriato dalle tracce delle esplosioni laviche che lo hanno consegnato a una tremenda fama…
… ma con giochi cromatici che ne fanno un estasiante dipinto che si materializza en plein air.
Unica stonatura, trovare un bazar per turisti anche a 1281 metri d’altezza, nel mezzo di tanta pacifica bellezza: si rimane basiti davanti a un simile orrore, quasi una vendetta dell’Uomo contro un vulcano che tanta devastazione ha arrecato agli umani nei secoli.
Passando rapidamente oltre, ci si può di nuovo perdere nell’unico luogo in cui “avere la testa tra le nuvole” non ha un’accezione negativa…
Info: www.busviadelvesuvio.com
Alla Cantina del Vesuvio, un magma di sapori esclusivi
Se vuoi bere i veri vini del Vesuvio, devi venire qui.
Se vuoi assaporare il vero olio extra vergine di oliva campano, devi venire qui.
Se vuoi assaggiare i veri pomodorini del piennolo, devi venire qui.
Se vuoi sorseggiare il vero distillato di albicocche vesuviane, devi venire qui.
Non c’è alternativa: se vuoi gustare le autentiche delizie del vulcano napoletano, devi raggiungere il comune di Trecase in provincia di Napoli, nel cuore del Parco Nazionale del Vesuvio, tra vigneti, orti e uliveti “impiantati nella terra nera densa di lava”.
Qui si trova la Cantina del Vesuvio che produce vini, olio, ortaggi e distillati. Prodotti eccezionali che soltanto qui puoi gustare. Perché l’azienda ha adottato una filosofia radicale: nulla di ciò che produce viene poi distribuito all’esterno. Quindi non c’è altro modo per bearsi delle loro bontà che recarsi alla Cantina, la quale si è specializzata in enoturismo.
La formula adottata è il wine tasting: si degustano tutti i vini prodotti, assaggiando i cibi del territorio, con ingredienti in buona parte coltivati nella stessa azienda.
Evoca grande suggestione degustare i vini immersi nei vigneti e a pochi metri da presse, silos e linea d’imbottigliamento, perché alla Cantina del Vesuvio l’intero procedimento avviene in azienda, seguendo le rigide normative sulla produzione biologica.
L’area della degustazione è realizzata con grande gusto, fondendosi con l’ambiente circostante in maniera simbiotica.
L’apertura è affidata al buon Capafresca, Spumante rosato Extra Dry che alla freschezza associa il ricordo della potenza delle uve Aglianico.
Si prosegue con il Lacryma Christi bianco, dalle rare uve autoctone Caprettone in purezza: è come se una delicata polpa bianca ti sfiorasse il naso, mentre l’ingresso al palato è di una dolce acidità minerale.
Il Lacryma Christi rosato è vinificato da uve Piedirosso in purezza: leggero e soave, regge anche qualche abbinamento impegnativo, come il provolone piccante.
Il Lacryma Christi rosso, ancora da Piedirosso in purezza, ha uno spettacolare profumo di amarene sotto spirito che al palato rivelano il frutto in freschezza: vino eccezionale, il top della cantina.
Il Lacryma Christi riserva 2009 ha un 80% di Piedirosso e il 20% di aglianico: sontuoso al naso, il sorso è maturo e denso; con l’ossigenazione svanisce pian piano il legno, lasciando il posto a una delicata composta di gelsi neri.
Splendida la chiusura superalcolica: ha grazia divina il bouquet del Distillato di albicocche del Vesuvio, mentre colpisce la personalità della Grappa invecchiata in botte da vitigni autoctoni del Vesuvio (Coda di volpe – Piedirosso – Aglianico – Falanghina).
Questo effluvio vinoso lo hanno sostenuto con del magnifico cibo.
Eccellenti le bruschette sfornate dal forno a legna, sormontate dal pomodoro ed esaltate dall’olio extra vergine di oliva dell’azienda, amaro e piccante, merito dell’apporto di Coratina, Frantoio, Leccino e Coratina.
Da beatitudine gli assaggi di salumi e formaggi, con sfiziosità annesse.
Ma ecco il trionfo: la più buona pasta al pomodoro mai mangiata nella nostra vita. Un miracolo impossibile da rendere a parole, ma che proviamo comunque a spiegare. La pasta è quella di Setaro, eredi della tradizione pastaia di Torre Annunziata che ha origini collocabili nella metà del XVI secolo. Il Pastificio Setaro “produce ancora la pasta con sistemi artigianali, nel rispetto della natura e della tradizione”, con “le semole di grano duro selezionate, l’acqua di fonte purissima, le antiche trafile in bronzo, il processo di essiccazione della pasta particolarmente lento (da 24 a 120 ore a seconda del formato) e a bassa temperatura, il clima speciale di Torre Annunziata e non ultima la conoscenza dell’arte bianca tramandata per ben tre generazioni; è dal 1939 infatti che la famiglia Setaro si dedica con passione a questa attività” (www.setaro.it).
Il risultato è una pasta ricca di sapore e consistenza, sulla quale alla Cantina del Vesuvio fanno piovere una valanga di pomodorini del piennolo, di una dolcezza sconvolgente che si fonde con una fragrante acidità.
Un piatto leggendario che merita il viaggio, anche a piedi.
In conclusione si viene deliziati dalla pastiera della casa.
Inebriati da tanta bontà, si passa alla visita della cantina, dove maturano i nettari dell’azienda…
… quindi passaggio obbligato all’area shop, per fare incetta di vini dell’azienda, visto che soltanto qui si possono acquistare.
A condurre l’azienda è Maurizio Russo, “seguendo l’esperienza del papà Giovanni, che nel lontano 1951 avvia la storica attività di famiglia”: ecco come ci parla dell’attività della Cantina del Vesuvio.
Info: www.cantinadelvesuvio.it
Pompei, la memoria cristallizzata di un’antica città (ancora) viva
Oggi la guardiamo con gli occhi incantati della Poesia e il rapimento dell’archeologia, ma in realtà Pompei è stata una frenetica città dedita alle attività commerciali e all’edonismo.
Perdendoti nel dedalo infinito delle sue vie…
… è tutto un affacciarsi di botteghe di ogni tipo…
… mentre in qualche angolo più ritirato incroci un postribolo…
… o delle terme equivoche…
… o un pittoresco gioioso inno alla lussuria elegante.
Un vero centro commerciale, dunque, una città attiva e gaudente che però non ha mai rinunciato al Bello, curando la grazia architettonica degli edifici e distribuendo ovunque arte in forma di pittura e scultura.
E’ incredibile quanto la si possa sentire ancora viva questa città cristallizzata dall’eruzione del 79 d.C.. Camminando negli scavi, hai la netta sensazione di percepire i suoni, gli odori, la vita del tempo che fu.
Ti sembra di vedere gli artigiani al lavoro, un orafo che cesella gioielli o un fornaio che impasta uno dei tanti pani tipici della città del tempo.
Gli splendidi affreschi delle case più importanti appaiono come fotografie di quella società, illustrando usi, costumi e credenze.
Una città più grande di quanto chiunque possa aspettarsi: è la sua estensione a colpirti fin da quando entri, perché le mille immagini che ti arrivano non riescono a rendere l’idea di quanto sia vasta l’area degli scavi, nel suo suggestivo stagliarsi contro la sagoma del Vesuvio.
Infatti la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia fa un lavoro molto intelligente di preparazione del visitatore (www.pompeiisites.org).
Sia sul sito ufficiale che ai botteghini, vieni avvertito di quanto sia estesa l’area visitabile: da qui l’invito a crearsi un percorso in base alle proprie curiosità e soprattutto alle disponibilità di tempo. Da un capo all’altro della città, può infatti intercorrere oltre mezz’ora di strada a piedi, mentre è davvero impegnativo pensare di percorrere l’intero perimetro degli scavi in un’unica soluzione.
Due i percorsi suggeriti dalla Soprintendenza.
“Uno in base al tempo che hai a disposizione per la visita”, perché “per visitare tutta Pompei sarebbero necessari diversi giorni”.
L’altro “in base ai tuoi interessi”: partendo dalla constatazione che “Pompei ha conservato tutti gli elementi urbanistici, architettonici e artistici di duemila anni fa”, ecco che tra i suggerimenti ci sono La casa romana, L’amministrazione pubblica, La pittura, La vita quotidiana, Gli spettacoli a Pompei, La cintura muraria, La villa, L’eruzione del Vesuvio.
In ogni caso, per quanto possiate darvi un rigoroso programma di visita, finirete comunque con il perdervi, nel senso letterario del termine, perché l’emozione a fior di pelle vi porterà a farvi risucchiare da un viottolo inatteso, da una deviazione di percorso che sa di avventura nella Memoria.
Basta un’iscrizione, un cartello, un segno su un muro…
… per creare curiosità irresistibile di saperne di più, facendoti deviare in continuazione.
In qualsiasi percorso, l’unico punto fermo rimane la teca che custodisce gli impressionanti calchi in gesso che hanno permesso di “recuperare l’immagine delle vittime dell’eruzione”. Sono i celebri corpi rigidamente cinerei divenuti simbolo degli scavi.
Espressioni di dolore, paura, rassegnazione, tenerezza, i calchi restituiscono concentrate tutte la manifestazioni dell’animo umano, tra chi cerca di ripararsi…
… chi si solleva per resistere alla tragedia…
… chi sembra accettarla supinamente…
… e chi decide di non farsi separare neanche dalla morte.
Ti si gonfiano gli occhi dalla commozione davanti a queste creature fossilizzate, come se il dramma si stesse consumando in quello stesso momento in cui le osservi. Immagini cosa avresti fatto se fossi stato tu al posto loro, pensi a cosa debbano avere provato, investiti dall’apocalisse.
Una delle esperienze più profonde e coinvolgenti che si possano fare, per comprendere il senso della vita, capace di toccare anche il visitatore più attratto dalla magnificenza monumentale…
… dalle vestigia più iconografiche…
… che dai piccoli scorci…
… dalle trame cromatiche eleganti…
… dalla natura che si è riappropriata dello spazio…
… o dai lampi di grazia.
Ci siamo fatti spiegare com’era Pompei duemila anni fa e il senso di visitarla oggi da un’archeologa della Soprintendenza, Antonella Bonini.
Info: www.pompeiisites.org
Vivere e morire a Pompei, nelle visite serali agli scavi
“Venerdì agli scavi”: è il titolo con cui si presentano i “percorsi di visita serali a Pompei ed Ercolano” in corso dai primi di luglio di quest’anno e in programma fino ad ottobre.
Sono gli stessi organizzatori a presentare così l’iniziativa: “tutti i venerdì sera di luglio, agosto, settembre e ottobre agli scavi di Pompei ed Ercolano sarà possibile partecipare a percorsi di visita appositamente predisposti dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia per illustrare la vita e la morte nei due principali siti archeologici vesuviani”.
Proprio questo ambizioso quanto poetico obiettivo di “illustrare la vita e la morte” è il fulcro delle aperture serali, poiché viene perseguito attraverso le arti della letteratura e del teatro. Vengono infatti messe in scena in forma di reading due lettere in cui Plinio il Giovane racconta “con drammatica precisione” il dramma dell’eruzione del 79 d.C..
Non meno imperdibile l’occasione di visitare gli Scavi presi per mano dagli esperti della Soprintendenza che “illustreranno ai visitatori i principali aspetti della vita e della società pompeiana”, come “le Terme e il tempo libero, i templi e l’architettura religiosa, il commercio e le attività economiche”.
Il programma prevede la possibilità di “visitare le Terme Suburbane e partecipare a un percorso che si svilupperà lungo il viale esterno all’area archeologica che costeggia la cinta muraria, il tempio di Venere e la Villa Imperiale, per concludersi presso l’Auditorium di Piazza Esedra con un filmato che illustra le principali fasi dell’eruzione che distrusse la città”.
Il risultato è oltre un’ora di immersione nella Storia che emoziona, trasportando la sensibilità nella dimensione del tempo che fu.
Le appassionate e competenti descrizioni degli archeologi che conducono le visite, le vivide parole di Plinio il Giovane scandite dagli attori, la potenza suggestiva del filmato conclusivo, tutto contribuisce a far vivere un’esperienza culturale di alto profilo che riesce a essere anche molto godibile.
Un esempio perfetto di divulgazione, poiché una visita di questo genere è in grado di accontentare tanto i cultori dell’archeologia quanto i semplici curiosi, anche in mancanza di preparazione scolastica.
Tra i fautori dell’iniziativa della Soprintendenza di Pompei c’è l’archeologa Antonella Bonini, dalla quale ci siamo fatti spiegare le peculiarità di queste visite serali.
Info: www.pompeiisites.org
La fine di Pompei, raccontata da un testimone diretto…
Era lì, Plinio il Giovane, mentre Pompei moriva.
Era lì mentre il Vesuvio zampillava fuoco e portava distruzione.
Era lì mentre un popolo veniva seppellito dalla cenere.
Lo sappiamo perché descrisse tutto ciò in due lettere inviate a allo storico Publio Cornelio Tacito.
Vi racconta anche la fine “dello zio, Plinio il Vecchio, mentre questi cercava di portare soccorso alle città devastate”: “quest’ultimo, che si trovava con il nipote a Capo Miseno dove comandava una flotta romana, il 23 agosto del 79 avendo osservato una grande nube a forma di pino che si levava dal Vesuvio, volle studiare l’eruzione da vicino e nello stesso tempo soccorrere le popolazioni in fuga da Pompei, Ercolano Stabiae e dagli altri insediamenti ai piedi del Vesuvio”.
Quelle lettere cariche di dramma si possono ascoltare nell’interpretazione di un gruppo di attori nell’ambito dei percorsi di visita serali agli scavi di Pompei, tutti i venerdì fino ad ottobre, sotto l’organizzazione della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia.
Per chi non avesse la possibilità di vivere l’intensità di queste letture, vi offriamo il reading della prima lettera di Plinio il Giovane a Tacito.
Info: www.pompeiisites.org
La cucina dell’antica Pompei
Cosa mangiavano gli antichi pompeiani? “E’ documentato dai reperti carbonizzati di cibo”, come sanno bene al ristorante President che ha sede nel cuore dell’odierna Pompei, condotto da un archeo-gastronomo come Paolo Gramaglia, a lungo al fianco degli esperti della Soprintendenza nel lavoro di ricerca su usi e costumi alimentari dei pompeiani di duemila anni fa.
“La cultura alimentare di questo popolo di commercianti si arricchiva spesso di novità provenienti da altri paesi, soprattutto dal nord Africa e dall’Oriente”, ricorda il sito del President: “fondamentalmente la cucina pompeiana era ricca di fibre, proteine vegetali e di minerali; ciò derivava dal fatto che gli alimenti principali erano le verdure e la frutta”.
“Una precisa indicazione di ciò che si produceva e quindi si consumava a Pompei, è fornita dal ritrovamento di semi carbonizzati di melone, fave, piselli, ceci e lenticchie. Un altro alimento particolarmente diffuso erano le olive, che si coltivavano in zona, verso i monti Lattari e venivano conservate, come oggi, in salamoia o in aceto ed anche trasformate in olio. In alcune case di Pompei sono stati ritrovati resti di noci, nocciole e mandorle, conservate su scaffali, tra le scorte alimentari per la famiglia”. Inoltre, “rinomata la produzione di formaggi (caseus), anche affumicati, ricavati sia dal latte di pecora che di vacca”.
Cospicua la produzione di pani, anche questi tra i reperti carbonizzati, oltre a essere raffigurati in affreschi e bassorilievi. Secondo le ricerche, nell’antica Pompei sarebbero stati attivi trentaquattro panificatori che lavoravano con macine di pietra lavica. Dieci le tipologie di pane conosciute che variavano in base alle farine utilizziate, alle forme e alle differenti cotture.
Gramaglia propone tante di queste preparazioni in forma filologicamente corretta nelle serate a tema del President intitolate La Cena con gli Antichi Pompeiani, da quarant’anni imperdibile appuntamento con la cucina storica.
Il menu, suddiviso in tre momenti alla maniera dei Romani, propone piatti come Scriblita (focaccia con spezie), Morek (formaggio all’aglio), Patina Urticarum (tortino di ortiche ed erbe spontanee), Bassica pompeiana (Cavolo pompeiano in salsa di Garum)…
… Aurata Ephesia racemo (orata di Efeso al grappolo d’uva), Esica Omentata (pollo piccante), Porcellus assus (maialino arrostito).
E’ proprio Paolo Gramaglia a parlarci di questo suo lavoro di recupero della cucina dell’antica Pompei.
Info: www.ristorantepresident.it
Al Ristorante President di Pompei, il gusto di conciliare gli opposti
Arredi da locale chic, servizio da stellato, ma ricerca delle materie prime da osteria del territorio: forse nessun ristorante in Italia riesce come il President di Pompei a far convivere estremi inconciliabili.
Riesce nell’impresa di farsi amare tanto dalle guide snob quanto da Slow Food, nella cui guida alle Osterie è stato sorprendentemente inserito. Una presenza che si può spiegare con una parte della sterminata proposta del locale, quella rivolta alla tradizione e alla ricerca di sapori e profumi territoriali.
Due le linee della cucina.
Da una parte un menu mutevole che può cambiare improvvisamente ogni giorno, seguendo estro e umori del titolare Paolo Gramaglia: basta che si alzi al mattino con un’idea in testa o una sfida da lanciare a qualche ospite ed ecco spuntare piatti nuovi di zecca creati in giornata.
L’altra linea è quella dei menu speciali, Serate a Tema dai titoli evocativi e dal forte impianto culturale: La Cena dell’Amore che svela “la storia e i segreti dei cibi afrodisiaci, la loro reale o supposta influenza sul vostro eros, ed i personaggi storici che ne hanno fatto un’arte”; A Cena con gli Dei, “viaggio nel mito enogastronomico” durante il quale “prendere con un pizzico di fantasia l’abbinamento tra cibo, vino ed il mito greco”; A Cena con gli Antichi Pompeiani, una tradizione del President iniziata nel 1974, basata sulle “tradizioni e gli usi alimentari degli antichi Pompeiani, le ricette tipiche del tempo e tanti altri aneddoti e riferimenti bibliografici per approfondire la materia”.
Quindi ancora A Cena con i Fiori, La Cucina nell’Azzurro del Mare: Procida – Profumi e Sapori, La Cucina Povera Napoletana, A Cena con le Repubbliche Marinare, A Cena con i Luciani, A Cena nella Storia di Napoli, A Cena con i Moschettieri d’Italia: I Formaggi.
Ecco in cosa ci siamo imbattuti il giorno in cui abbiamo provato la cucina di Gramaglia.
Siamo stati accolti da uno strepitoso grissino dal sapido retrogusto di Cipolla Ramata di Montore, “varietà autoctona della pianura del Montorese, comune di confine tra la provincia di Avellino e la provincia di Salerno”, “dal sapore dolce e aromatico” (www.cipollaramatadimontoro.it).
Accanto, uno dei celeberrimi pani di Pompei che Gramaglia ha lungamento studiato affiancandosi agli archeologi della Soprintendenza: si tratta del primarius panis, per gli antichi un pan bianco da fior di farina che qui rivive come focaccia dall’ottima fragranza, testimonianza di quanto fosse sviluppata l’arte bianca nel centro vesuviano già duemila anni fa.
Sarà seguito dal panis secundarius, prodotto con farina integrale di farro: conquista con una sapidità nascosta che emerge in un secondo momento.
Accanto al pane, una terrina contenente burro di latte nobile, “prodotto da bovini, bufalini, ovini, caprini, equini il cui sistema di allevamento rispetta le regole stabilite dal disciplinare” (www.lattenobile.it): norme tese a creare “un latte d’altri tempi”, in cui aroma e gusto seguono la natura e mutano con essa, seguendo le stagioni e l’amore degli allevatori.
Nel burro che se ne ricava, la materia grassa muta prodigiosamente in soave dolcezza.
In tavola fa capolino un olio extra vergine di oliva Terre del Casale, dalla cultivar Pisciottana, autoctona del basso Cilento, con una piccola percentuale di Rondinella: dolce e grasso, ha un finale leggermente piccante, per gustare il quale è meglio l’utilizzo a crudo.
Arriva un pacchero fritto che echeggia la pasta al forno alla napoletana, concentrandone al suo interno tutti gli ingredienti canonici: sfizioso, da mangiare in un sol boccone.
Il Cerchio Perfetto è il nome che Laila Buondonno ha dato a una creazione del marito Paolo in cui intorno a freschissimo pesce crudo danzano pomodori di Sorrento allo zenzero e granelli di sale, il tutto umettato da acqua di cetriolo di sorprendente bontà.
Ecco quindi la provocazione del giorno, una capasanta adagiata su salsa di mango e crema di cocco, delizia scaturita dal desiderio di schernire bonariamente un critico.
Il tonno in tempura si fa notare per il corredo di salsa di prugne e le strepitose erbe spontanee del Vesuvio.
I molluschi sono parte della cucina tradizionale napoletana. Nel capoluogo si privilegiano le maruzze, mentre Gramaglia punta sugli scungilli (in italiano sconcigli o murice), molluschi amati già dagli antichi Romani, anche perché vi si può ricavare la porpora. Lo chef li infila in una trama di spaghetti trafilati al bronzo, insaporiti da aglio e olio: un eccellente gioco di consistenze baciato dalla sincerità del mare.
Chiude una spigola del Cilento delicatissima che profuma come appena pescata.
E’ la conferma della mano sicura e delicata di Marco Caputi che cura i fornelli sotto la direzione di Gramaglia.
Ai vini intanto ha pensato Laila Buondonno con la sua competente sensibilità.
Ci ha proposto le bollicine di un Dorè Lacryma Christi, frutto dell’unione di Coda di Volpe e Falanghina: al naso crosta di pane, mentre l’ingresso è potente ma di grande equilibrio.
E’ seguito un Lacryma Christi bianco, questa volta fermo, nella versione di Casa Setaro, dai sentori di cantalupo su una mineralità provocante, dal carattere netto e bouquet floreale che fa pensare alla ginestra.
Ma la carta dei vini è piena di perle territoriali.
Tra una portata e un calice, l’istrionico Paolo Gramaglia si esibisce in racconti divertenti dai perfetti tempi teatrali, manifestando una capacità di comunicatore pari a quella di ristoratore: lo abbiamo intervistato a fine serata.
Info: www.ristorantepresident.it