Specialmente a… Scicli (RG): dove mangiare tipico
IL CATURRO, LA POLENTA SICILIANA SCONOSCIUTA. LA VIDEORICETTA IN ESCLUSIVA
Il caturro è legato all’incredibile storia dei cavernicoli siciliani, ovvero i poveri di Scicli che vivevano nella grotte del sito rupestre di Chiafura che sovrasta la città. Infatti veniva prodotto grazie alle macine realizzate dagli umili maestri scalpellini di Chiafura, ricavate da quella stessa pietra che costituiva anche l’ambiente in cui (soprav)vivevano.
Il caturro rappresentava tradizione e sostentamento, ma anche un modo per sfuggire a una gabella che opprimeva le classi più deboli alla fine dell’Ottocento, la tassa sul macinato imposta dal Regno d’Italia.
Sul notiziario on line Ragusa News in un intervento viene ricordato come “Bartolo Cataudella nel suo prezioso testo Scicli ci spiega che “si tratta di grano macinato in casa, tra due pietre laviche, e cotto come la polenta””. “La polenta dei poveri”, precisa colui cui si deve il merito maggiore della sopravvivenza di questa pietanza fino ai giorni nostri, il medico e scultore Gaetano Mormina, cultore del cuore antico della Sicilia.
In un articolo di Giovanna Di Raimondo (Dibattito Luglio/agosto 2005), si legge “della macina realizzata in varie dimensioni: esistevano piccole macine familiari e macine più grandi da mulino; la macina piccola era il segno di sopravvivenza ed esisteva quasi in ogni famiglia. Infatti si usava per macinare il frumento in casa e cuocere il caturro (la polenta del Sud), pasto dei poveri”.
Nei tempi passati ma di recente memoria il macinare il frumento in casa per il caturro non era legale, in quanto si sfuggiva all’obbligo del pagamento della tassa sul macinato imposta, allora, dai baroni del luogo”.
LA RICETTA
Giovanna Di Raimondo poi ne spiega la ricetta: “il grano duro frantumato e macinato veniva versato lentamente e a pioggia, in acqua bollente e salata. Per almeno un’ora e di continuo veniva mescolato lentamente con un cucchiaio di legno, per evitare che si formassero grumi”.
Occorrevano circa tre litri d’acqua per mezzo chilo di frumento. A cottura ultimata veniva versato nei piatti e condito con vari ingredienti: olio di oliva, salsa di pomodoro, ricotta, legumi, verdure. Si consumava anche freddo oppure fritto in padella con un filo d’olio”.
Andiamo a vedere la realizzazione di questa incredibile ricetta sconosciuta. La realizza proprio Gaetano Mormina in persona, insieme alla sua famiglia. A suo dire, si tratta della prima volta assoluta nella storia che viene filmata la vera ricetta tradizionale del caturro. Un’esclusiva per i lettori di Storie Enogastronomiche.
Questo piatto della tradizione oggi è praticamente sconosciuto perfino nei luoghi in cui è nato, mentre fuori dai confini sciclitani soltanto studiosi ed etnoantropologi ne hanno sentito parlare.
A salvare il caturro dall’estinzione è l’opera appassionata di Mormina, oggi splendido ottantenne: è lui a prodigarsi per prepararlo a chi gliene fa richiesta, con una passione civile e un’azione culturale che meriterebbero un encomio pubblico da parte dei massimi vertici dello Stato, per non parlare della Regione Sicilia. Invece Mormina continua appartato a macinare grano con le pietre da lui scolpite, con discrezione, ammirato da tutti noi privilegiati che abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo e godere della sua ospitalità.
E’ ancora Giovanna Di Raimondo a far notare come questo recupero del caturro sia “per pochi privilegiati, per pochi che hanno le possibilità di essere invitati a casa del dottore per gustare questo nostro cibo genuino e saporito, arricchito ora da contorni semplici, ora raffinati. […] Questo è il desiderio di Gaetano Mormina: far conoscere a quante più persone possibili il gusto dei tempi antichi e nello stesso tempo far comprendere quanta fatica e sudore c’era dietro la bellezza di un piatto vivace e variopinto, tanto da essere definito da Vittorio Sgarbi “un bene dell’umanità””.
Ecco come Gaetano Mormina parla del caturro.
Info: www.gaetanomormina.it